SINGOLI NEURONI IN FASE TETA PER LA FORZA DELLA MEMORIA UMANA

 

 

Durante l’apprendimento si generano nell’ippocampo oscillazioni teta che si ritiene supportino la plasticità sinaptica e la formazione della memoria. Non è nota l’esatta relazione di questa frequenza con l’attività del singolo neurone che risponde ad uno stimolo e, di questo stimolo, crea una memoria. Schuman e collaboratori del Computation and Neural Systems and Division of Biology, California Institute of Technology (CIT), Pasadena, California, hanno accertato che, nell’uomo, il tempo di picco del singolo neurone dell’ippocampo e dell’amigdala è agganciato alla fase dell’oscillazione teta e che il grado di tale associazione consente di prevedere la forza della memoria che si sta formando (Rutishauser U., et al. Human memory strength is predicted by theta-frequency phase-locking of single neurons. Nature 464 (7290), 903-907, 2010).

Apprendere dall’esperienza è un compito di primaria importanza per il sistema nervoso centrale e, nei mammiferi, viene attuato in gran parte mediante processi rapidi che hanno luogo nella parte mediale del lobo temporale. Si ritiene che i cambiamenti determinati dalla plasticità nelle sinapsi e nei circuiti neuronici siano alla base del costituirsi delle memorie, perciò ha avuto notevole rilievo la scoperta dell’importanza della coordinazione temporale dei potenziali d’azione nelle popolazioni neuroniche per l’induzione della plasticità. Tale attività coordinata è caratterizzata da oscillazioni di diverse frequenze che possono essere registrate nei potenziali di campo locali. Lo spettro di frequenza appartenente alle onde teta (3-8 Hz) è stato spesso associato all’induzione delle modificazioni plastiche delle sinapsi e della memoria comportamentale. Su questa base i ricercatori del CIT hanno condotto una sperimentazione sull’uomo, registrando singoli neuroni e potenziali di campo in soggetti volontari impegnati in un compiti di memoria visiva.

I volontari che hanno preso parte allo studio, durante l’esecuzione delle prove di memoria, avevano gli elettrodi impiantati nell’ippocampo e nell’amigdala per la registrazione dell’attività delle singole cellule e delle popolazioni neuroniche di queste due formazioni cerebrali. L’esperimento era articolato in due sessioni consecutive, la prima di apprendimento e la seconda di memoria. Durante la prima sessione sono state mostrate 100 immagini, metà delle quali sono state riproposte in un nuovo set di 100 immagini nel corso della seconda sessione, durante la quale i volontari dovevano indicare per ciascuna immagine se l’avevano già vista (riconoscimento) e quale grado di certezza attribuissero alla propria risposta.

Durante tutto il tempo delle prove venivano registrati i potenziali di campo locali e l’attività dei singoli neuroni ippocampali e amigdaloidei.

Sebbene l’accensione di molti neuroni aumentava in risposta alle immagini presentate durante la sessione di apprendimento, la quota di attivazione sia delle singole cellule che delle intere popolazioni, non costituiva un elemento in alcun modo affidabile per prevedere se la memoria per quell’immagine si sarebbe formata. Le registrazioni hanno però evidenziato un aspetto che si è rivelato decisivo nell’orientare le fasi successive dello studio: circa 1/5 dei neuroni registrati erano funzionalmente associati alla fase delle oscillazioni teta in corso, rilevate nel potenziale di campo locale, e la maggioranza di questi neuroni scaricava, in risposta all’immagine, sia in corrispondenza del picco che della parte intermedia dell’oscillazione teta.

Per indagare la rilevanza funzionale di questa temporizzazione dei potenziali d’azione, i ricercatori hanno cercato di determinare la relazione esistente fra i potenziali d’azione dei singoli neuroni e l’oscillazione teta durante l’apprendimento. A questo scopo hanno misurato il parametro SFC (spike-field coherence), che definisce il grado di connessione fra i due tipi di attività, rilevando che era maggiore per le immagini che successivamente sarebbero state ricordate.

Analizzando in dettaglio l’SFC, i ricercatori del CIT hanno notato che il suo grado più elevato nelle prove in cui l’immagine era stata memorizzata con successo rispetto a quelle in cui sembrava dimenticata, era particolarmente evidente in un preciso intervallo temporale, ossia circa 500 millisecondi prima e circa 500 millisecondi dopo l’apparire dello stimolo. E’ verosimile che questi due tempi di massima coerenza fra attività delle singole cellule e frequenza teta espressa dalla popolazione neuronica, corrispondano a uno stato recettivo nella fisiologia della memoria.

Schuman e i suoi colleghi hanno poi verificato se il collegamento di fase consentisse di prevedere il grado di sicurezza dei soggetti circa la precisione del proprio ricordo. I dati relativi all’SFC hanno confermato che la più alta coerenza corrispondeva alle immagini ricordate meglio e per le quali i volontari mostravano la maggiore certezza, mentre all’estremo opposto le immagini dimenticate coincidevano con i valori più bassi di SFC.

Nel loro complesso, i risultati di questo interessante studio suggeriscono che i processi di formazione delle memorie sono più efficienti quando i neuroni scaricano sincronicamente e che il ritmo teta agisce come un orologio interno mediante il quale i neuroni possono temporizzare i potenziali d’azione durante l’apprendimento. Uno speciale interesse per gli esiti di questo studio deriva dal fatto che fornisce dati relativi alla memoria esplicita umana, formata e rievocata grazie a processi che appartengono alla coscienza dichiarativa.

Alle ricerche future il compito di individuare le specifiche fibre e i trasmettitori che regolano, nell’amigdala e nell’ippocampo, la temporizzazione dei potenziali d’azione in rapporto all’apprendimento.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che compaiono su questo sito.

 

Diane Richmond

BM&L-Maggio 2010

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]