TERAPIA SBAGLIATA PER L’ALZHEIMER

 

 

Uno degli eventi cruciali nella patogenesi della malattia di Alzheimer è l’accumulo di peptidi β-amiloidi di 42-43 aminoacidi prodotti per azione delle secretasi sul polipeptide precursore β-APP, il cui ruolo funzionale è solo in parte noto.

Recentemente, nel tentativo di mettere a punto farmaci in grado di arrestare la più grave e diffusa forma di demenza neurodegenerativa, sono state sperimentate varie molecole inibenti la formazione dei peptidi β-amiloidi, talvolta imprudentemente, ossia senza tener conto dell’interruzione dei processi fisiologici presumibilmente svolti da altre proteine.

In passato, e in varie occasioni, studiosi attualmente afferenti alla Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, hanno prospettato il rischio che tali inibitori interferissero con funzioni delle quali non si conoscono i meccanismi molecolari. E’ accaduto, infatti, che si siano sperimentati per alcuni anni inibitori della γ-secretasi che bloccavano la sua azione sul recettore Notch, una proteina di superficie che, proprio per effetto di questo enzima, genera un frammento che invia un segnale al nucleo.

Attualmente si è accertato che Notch prende parte a funzioni molteplici e vitali, che vanno dalla scelta del tipo cellulare nel corso della differenziazione, a processi fondamentali nell’arco dell’intera vita del neurone maturo.

Non era difficile intuire l’importanza di questa via di segnalazione, tuttavia la sperimentazione è stata portata avanti fino a quando si è avuto riscontro di effetti devastanti causati dall’inibizione di Notch.

Sull’onda dello stesso entusiasmo imprudente, alcuni ricercatori hanno scelto come bersaglio dell’azione terapeutica un enzima agente sul sito-β della grossa proteina β-APP, ossia il BACE1 (da Beta Amyloid precursor protein Cleaving Enzyme 1), del quale non si conosceva, fino ad oggi, il ruolo in condizioni fisiologiche.

Un gruppo di ricerca guidato da Ma ha ottenuto risultati di notevole importanza per l’inquadramento del ruolo di BACE1, dimostrando l’inutilità di proseguire la sperimentazione per una terapia che appare scientificamente infondata e potenzialmente dannosa.

I ricercatori hanno studiato topi transgenici in grado di produrre quantità elevate di  β-APP, riscontrando in questi roditori migliori prestazioni in compiti di memoria spaziale e, nell’ippocampo, un’accentuata plasticità sinaptica dipendente dall’attività, ossia una più marcata espressione di un fenomeno associato all’apprendimento (Ma H., et al. Involvement of β-site APP cleaving enzyme 1 (BACE1) in amyloid precursor protein mediated enhancement of memory and activity-dependent synaptic plasticity. PNAS 19, 8167-8172, 2007).

Sia le migliori prestazioni basate sulla memoria spaziale, sia l’incremento dei fenomeni di plasticità sinaptica nei neuroni dell’ippocampo, richiedevano l’attività di BACE1.

I risultati di questo lavoro chiaramente evidenziano l’intervento di BACE1 su β-APP in rapporto alle necessità delle funzioni cognitive in corso di attività, sia sostenendo un più efficiente utilizzo di memorie di lungo termine (processi a sostegno della working memory), sia favorendo l’apprendimento e la formazione di nuove memorie in corso di esperienza.

In conclusione, la dimostrazione dell’importante ruolo di BACE1, oltre a costituire una nuova tessera del mosaico che chiarirà la fisiologia della β-APP, a nostro avviso può fungere da monito per coloro che, presi dalla foga del risultato, dimenticano che nella ricerca le scorciatoie raramente pagano.

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Nicole Cardon

BM&L-Giugno 2007

www.brainmindlife.org