PROGRESSI NELLA TERAPIA GENETICA DEL PARKINSON

 

 

Nonostante l’entusiastica presentazione dei primi risultati da parte di molte riviste scientifiche, la terapia genetica della malattia di Parkinson ha deluso le attese nutrite nel corso degli anni Novanta e, fino al 2006, il bilancio della sperimentazione non poteva considerarsi positivo,  ma più di recente il cammino della ricerca sembra aver avuto un’accelerazione.

Eidelberg e collaboratori del dipartimento di Neurochirurgia del Weill Medical College della Cornell University (NY), nel giugno del 2007, hanno pubblicato i risultati parziali ottenuti con una terapia implicante il rilascio di geni direttamente nel nucleo subtalamico (Corpo di Luys), per correggere la riduzione dell’input inibitorio a questo nucleo, conseguente alla perdita dei neuroni dopaminergici. Questo trattamento, nella I fase di sperimentazione clinica,  ha mostrato effetti rilevanti nel migliorare la funzione motoria dei pazienti (Kaplitt M., et al. Safety and tolerability of gene therapy with an adeno-associated virus (AVV) borne GAD gene for Parkinson’s disease: an open label phase I trial. Lancet 369, 2097-2105, 2007; per un commento editoriale si veda: Lancet 369, 2056-2058, 2007).

Chi segue questo campo di studi sa che miglioramenti temporanei talvolta non di breve durata sono possibili, ma non costituiscono esiti stabili e costanti, pertanto la valutazione dell’affidabilità di un risultato positivo nella sperimentazione clinica non dovrebbe basarsi solo sulla riduzione dei sintomi, ma dovrebbe avvalersi di un’approfondita conoscenza e verifica dei processi che sono stati modificati dalla terapia. Un importante passo in questa direzione sembra sia stato compiuto dallo stesso gruppo di Eidelberg con un nuovo studio condotto presso il Center for Neuroscience del Feinstein Institute (NY) e pubblicato lo scorso dicembre, nel quale si propone un metodo che consente una misura oggettiva degli effetti della terapia genica (Feigin A., et al. Modulation of metabolic brain networks after subthalamic gene therapy for Parkinson’s disease. Proceedings of The National Academy of Sciences USA 104, 19559-19564, 2007).

In precedenti ricerche, studiando il cervello di pazienti affetti da malattia di Parkinson mediante PET (tomografia ad emissione di positroni) con 18F-desossiglucosio, è stata dimostrata un’attività metabolica abnorme in singole regioni e in due distinte reti neuroniche, la prima associata alla fisiologia motoria, la seconda a quella cognitiva. Eidelberg e i suoi collaboratori si sono proposti di verificare se la loro terapia genica fosse in grado di normalizzare il quadro dell’attività metabolica, definendo esattamente se e dove sia stato ripristinato il regime fisiologico.

La terapia consisteva nell’infusione monolaterale, direttamente nel nucleo subtalamico, di un vettore virale adeno-associato contenente il gene per l’enzima GAD (acido glutammico decarbossilasi) che catalizza la decarbossilazione del mediatore eccitatorio glutammato a GABA, trasmettitore inibitorio, riducendo la trasmissione glutammatergica nei nuclei della base encefalica e favorendo il ripristino del tono inibitorio. I ricercatori hanno studiato il metabolismo del glucosio con rilievi in condizioni di base e a distanza di 6 e 12 mesi dal trattamento.

La terapia genica ha agito solo sull’emisfero operato, determinando riduzione del metabolismo regionale del glucosio in corrispondenza del talamo ed aumento nell’area motoria primaria e nella corteccia premotoria, ad entrambi i rilievi. Lo studio dei cambiamenti nell’attività delle reti neuroniche ha fatto registrare i risultati più interessanti.

Il trattamento, anche in questo caso solo nell’antimero sottoposto all’intervento, ha svolto la sua azione sulla rete associata al movimento, riducendone il metabolismo abnormemente accresciuto nella malattia di Parkinson, sia al rilievo del primo semestre, sia a quello ad un anno di distanza dall’iniezione del gene per GAD. Un elemento veramente rilevante è dato dal fatto che il declino del metabolismo patologico nella rete neuronica era strettamente correlato al miglioramento della funzione motoria.

Altro aspetto di interesse è la completa mancanza di effetti sulla rete associata alla cognizione, nella quale l’accresciuta attività metabolica dovuta alla malattia è rimasta inalterata in entrambi gli emisferi.

Questi risultati indicano che la terapia della malattia di Parkinson mediante iniezione del gene dell’enzima GAD nel nucleo subtalamico, agisce sull’attività metabolica regionale e su quella delle reti implicate nel movimento, non interessando le aree associate alle funzioni cognitive e determinando un netto miglioramento dei sintomi motori.

Eidelberg e i suoi collaboratori propongono la misura dell’attività metabolica nelle reti neuroniche come marker fisiologico per la valutazione di efficacia di nuove terapie per la malattia di Parkinson ed altre malattie neurodegenerative.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Febbraio 2008

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