LE CELLULE STEM RENDONO RESISTENTE IL GLIOBLASTOMA

 

 

I glioblastomi costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie maligne della glia che, a differenza della controparte benigna, ossia i glomi, presentano una crescita invasiva che infiltra e distrugge il tessuto nervoso dell’encefalo con un’evoluzione rapidamente progressiva. La mediana nelle statistiche relative al tempo di sopravvivenza dalla diagnosi, si colloca intorno ai 2 anni. Uno degli elementi che peggiora la prognosi è dato dalla tendenza molto marcata alla recidiva dopo terapia radiante. In questi casi i tumori, quando riprendono a svilupparsi, si presentano come masse focali, perciò si ritiene che la nuova crescita dopo la radioterapia, origini da una piccola quota di cellule. Studi recenti volti a caratterizzare cellule stem cerebrali e tumorali, hanno dimostrato che quelle esprimenti prominina 1, dette CD133+, presentano molti caratteri delle cellule immature. Un gruppo di ricerca, nel laboratorio di Rich, ha testato la sub-popolazione CD133+ del glioblastoma, per vedere se fosse responsabile della radioresistenza (Bao S., et al. Glioma stem cells promote radioresistance by preferential activation of the DNA damage response. Nature 444, 756-760, 2006).

I primi esperimenti hanno confermato l’ipotesi del ruolo della sotto-popolazione di cellule CD133+, sicché i ricercatori si sono chiesti se questi elementi cellulari fossero più resistenti alla radioterapia. La risposta sperimentale è stata positiva anche questa volta, allora il gruppo guidato da Bao si è chiesto in cosa consistesse la radio-resistenza di queste cellule. Per cercare di rispondere a questa domanda hanno analizzato i checkpoints di danno del DNA in sub-popolazioni CD133+ e CD133-, rilevando una precisa differenza: le proteine dei checkpoints di danno, quali ATM e RAD17, mostravano un maggior grado di fosforilazione e, perciò, di attivazione. Analizzando il DNA mediante il comet assay, è stato possibile evidenziare che il grado di danno indotto da radiazione nelle due sub-popolazioni era identico. La riparazione delle interruzioni, invece, presentava una differenza notevole: le cellule CD133+, riparavano il danno con una velocità dalle 4 alle 9 volte maggiore.

Prima di esporle alle radiazioni, i ricercatori hanno sottoposto le cellule esprimenti prominina 1, ossia le CD133+, ad un trattamento con inibitori delle chinasi dei checkpoints di danno del DNA, CHK1 e CHK2, rilevando una riduzione della sopravvivenza di queste cellule dopo l’irradiazione.

I risultati di questo lavoro incoraggiano l’impiego di molecole in grado di agire sui  checkpoints di danno del DNA come farmaci nel trattamento dei glioblastomi, e, considerato che alcuni di tali composti sono attualmente in fase pre-clinica e clinica di sperimentazione, si può sperare che, a breve, la loro introduzione in terapia migliori la prognosi di questa terribile neoplasia.  

 

L’autrice della nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Nicole Cardon

BM&L-Dicembre 2006

www.brainmindlife.org