LA RICERCA DELLO SPIRITO NEL CERVELLO

 

(QUARTA PARTE)

 

Andrew Newberg  e i suoi colleghi hanno esaminato l’attività cerebrale di cinque donne che, all’acme di un’esperienza mistica, articolavano espressioni verbali insolite, suggestivamente accostabili al dono di parlare lingue sconosciute, ed hanno paragonato i reperti a quelli di cinque persone impegnate in canti religiosi (gospel). Il risultato evidenziava, nelle donne in trance mistica, una caduta di attività nei lobi frontali. Poiché questa parte del cervello ha un ruolo importante nell’autocontrollo e nei processi cognitivi coscienti, i ricercatori concludono che la singolare prestazione linguistica è il semplice effetto della perdita di questa funzione di controllo[1].

In proposito si deve osservare che, in psichiatria, una lunga tradizione aveva associato tali manifestazioni alla personalità isterica e le aveva attribuite ad uno stato dissociativo descrivibile come perdita dell’inibizione esercitata dal controllo corticale cosciente su processi non coscienti[2]. Se a questo si aggiunge che, in chiave neuropsicologica, il controllo inibitorio è attribuito alla corteccia dei lobi frontali, si può affermare che i risultati di questo studio non aggiungono nulla di concettualmente nuovo al quadro interpretativo tradizionale e, soprattutto, non consentono di mettere in relazione il fenomeno con una specifica esperienza religiosa e con un processo cerebrale esclusivo del “parlare le lingue”.

Gli autori dello studio osservano, tuttavia, che dalla sperimentazione si ricava un interessante spunto per una riflessione critica dell’impostazione “patogenetica” delle tradizionali spiegazioni di tali manifestazioni. Infatti, gli elementi emersi dall’esame delle cinque donne, non consentono di far rientrare nella psicopatologia l’insolito fenomeno locutorio, non più di quanto lo si possa fare per il parlare nel sonno, in corso di ipnosi o di un rilassamento profondo. Secondo Newberg e i suoi collaboratori, questi risultati sono una prova ulteriore di capacità intrinseche del nostro cervello e non espressione di patologia.

D’altra parte, Newberg e d’Aquili avevano ricavato dai propri studi una visione opposta a quella di Geschwind, Bear e Persinger[3], e già espressa in un saggio pubblicato nel 2001, nel quale si legge: “Noi non crediamo che le vere esperienze mistiche possano essere spiegate come il risultato di allucinazioni epilettiche o come il prodotto di altri stati allucinatori indotti da droghe, malattia, prostrazione fisica o deprivazione sensoriale. Le allucinazioni, non importa quale ne sia la fonte, semplicemente non sono capaci di fornire alla mente un’esperienza così convincente come quella della spiritualità mistica”[4]. E più avanti: “Al cuore della nostra teoria c’è un modello neurologico che fornisce un legame fra l’esperienza mistica e il funzionamento cerebrale osservabile. In termini semplici, il cervello sembra avere la capacità intrinseca (built-in) di trascendere la percezione di un sé individuale. Noi abbiamo teorizzato che questo talento per l’auto-trascendenza è alla radice del bisogno religioso”[5].

L’aspetto che ha maggiormente attratto l’attenzione di altri studiosi, in questa ricerca di una fisiologia della spiritualità nel cervello, è la dimostrazione di attività in varie aree dell’encefalo, in particolare le evidenze, nello studio delle tre suore menzionato in precedenza[6], di diversi processi fra loro coordinati. Mario Bauregard e i suoi collaboratori dell’Università di Montreal, che si erano prefissi di accertare se esista una specifica base per la coscienza mistica nel lobo temporale e se la contemplazione mistica produce stati cerebrali non associati alla coscienza ordinaria, hanno ricevuto uno stimolo significativo da questo studio.

I ricercatori canadesi nutrivano molti dubbi sull’esistenza del “God Spot” teorizzato da Persinger, tuttavia sapevano che questa tesi si era basata sull’esame di centinaia di volontari, mentre le evidenze di una pluralità di circuiti erano affidate solo alle immagini delle tre religiose ottenute mediante SPET, una metodica con bassa risoluzione spaziale e da molti ritenuta obsoleta. Per questo si sono proposti lo studio di un numero più elevato di suore mediante fMRI e QEEG.

Delle caratteristiche della risonanza magnetica funzionale si è già detto[7], a ciò si aggiunga che l’équipe canadese dispone di un’apparecchiatura all’avanguardia e di una discreta esperienza maturata presso il CRIUGM (Centro di Ricerca dell’Istituto Universitario di Geriatria di Montreal) e il CERNEC (Centro di Ricerca in Neuropsicologia e Cognizione). L’elettroencefalografia quantitativa (QEEG), in sintesi, consiste nel rilievo di patterns elettrici -che riflettono schemi di onde cerebrali- nella loro analisi statistica e nella successiva traduzione, secondo una scala cromatica, in immagini a colori.

Bauregard e colleghi, non senza difficoltà, sono riusciti ad ottenere un campione costituito da 15 carmelitane che, dopo un’accorta e rispettosa opera di persuasione[8], hanno accettato di lasciare il ritiro claustrale per sottoporsi ad uno studio fondato sull’ipotesi della partecipazione di varie aree cerebrali formulata da Newberg e d’Aquili, ma concepito secondo un procedura in grado di fornire dati di gran lunga più dettagliati e specifici.

Vincent Paquette, studente di dottorato di Beauregard, aveva suggerito lo studio della “unio mystica”, uno stato di totale unione con Dio, raggiunto mediante la preghiera contemplativa. Per questo la scelta è caduta sull’ordine delle carmelitane, suore che nella loro vita di contemplazione hanno il fine dell’unione spirituale col divino.

E’ vero che un’intensa esperienza mistica, percepita come un cambiamento dello stato di coscienza così profondo da modificare la percezione di sé e del mondo, si verifica solo una o due volte in tutta la vita di una religiosa, ma è pur vero che un costante esercizio all’orazione contemplativa facilita il raggiungimento di condizioni mentali di serena quiete e di gioia, che  non hanno riscontro nella quotidiana esperienza di molti, anche fra i religiosi.

Inizialmente i ricercatori, un po’ ingenuamente, avevano immaginato che le suore potessero giungere alla “unio mystica” durante gli esperimenti, ma Sister Diane, la madre superiora del Convento delle Carmelitane di Montreal, ridendo aveva osservato: “Dio non può essere convocato a richiesta.”[9]

L’osservazione non è stata priva di conseguenze, ed ha infatti avviato un dialogo ed una riflessione sul modo di condurre gli esperimenti stessi. A proposito della ricerca volontaria dell’esperienza mistica, la religiosa aveva avvertito: “Non puoi cercarla. Più accanitamente la cerchi, più a lungo dovrai aspettare”[10]. I ricercatori hanno fatto tesoro delle sue parole e le hanno tradotte in termini neurofunzionali: l’intenzione volontaria può creare un’interferenza, un disturbo (mental noise), che dovrà poi essere eliminato per ottenere la condizione più adatta allo stato contemplativo.

Nella definizione del protocollo si è deciso di ricorrere alla rievocazione, secondo il seguente schema sperimentale:

 

1) rievocazione o riviviscenza delle più significative esperienze mistiche vissute in precedenza (condizione mistica);

 

2) rievocazione o riviviscenza del più intenso stato di unione esperito con una persona facente parte dell’ordine religioso (condizione affettiva);

 

3) stato di riposo come riferimento di base (condizione neutra).

 

In tutti e tre i casi, gli occhi dovevano rimanere chiusi. La condizione affettiva del punto “2” è stata concepita come controllo diretto di quella mistica: un confronto fra i correlati neurali dei due stati avrebbe potuto consentire di rilevare differenze e ipotizzare eventuali specificità. Lo stato di riposo era stato previsto come controllo generale.

Su questa base sono stati allestiti due differenti studi.

STUDIO 1 (fMRI): Attività cerebrale durante un’esperienza mistica.

STUDIO 2 (QEEG): Correlati neuroelettrici dell’unione mistica.

 

[continua]

 

La quinta parte de “La ricerca dello spirito nel cervello” sarà pubblicata la prossima settimana. Con l’ultima delle note su questo argomento, saranno forniti i riferimenti bibliografici delle fonti citate nel testo. Le autrici della nota ringraziano il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, che ha fatto conoscere loro questo campo di studi, presentandone i risultati al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.

 

Monica Lanfredini & Nicole Cardon

BM&L-Dicembre 2007

www.brainmindlife.org

 

 

 

 



[1] Dello studio, ancora in corso, gli autori hanno dato comunicazione nel 2006, e un riferimento si trova alla p. 42 dell’articolo di David Biello citato la scorsa settimana (Searching for God in the Brain. Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007).

[2] Attualmente in psichiatria sono descritte e classificate varie condizioni di coscienza alterata e crepuscolare che si accompagnano a forme di esecuzione verbale non comunicativa.

[3] Tre studiosi che avevano ricondotto le esperienze mistiche a forme di epilessia del lobo temporale e ad altri fenomeni patologici; si veda: Note e Notizie 10-11-07 La ricerca dello spirito nel cervello – prima parte; Note e Notizie 17-11-07 La ricerca dello spirito nel cervello – seconda  parte.

[4] Andrew Newberg, Eugene d’Aquili e Vince Rause, Why God Won’t Go Away: Brain Science and the Biology of Belief, p. 111, Ballantine Books, New York 2001.

[5] Andrew Newberg, Eugene d’Aquili e Vince Rause, op. cit., p. 174.

[6] Si veda in Note e Notizie 24-11-07 La ricerca dello spirito nel cervello – terza  parte.

[7] Si veda in Note e Notizie 24-11-07 La ricerca dello spirito nel cervello – terza  parte.

 

[8] I ricercatori ottennero che il cardinale Jean-Claude Turcotte, arcivescovo di Montreal, accettasse di scrivere una lettera indirizzata alle religiose, in cui si precisava che non vi era alcuna obiezione della Chiesa alla partecipazione allo studio. Tuttavia le suore, libere di accettare o rifiutare, si riservarono di valutare la proposta e, successivamente, la superiora del principale convento interpellato, riferì che alcune sorelle avevano deciso di partecipare, ma vincolavano il loro consenso all’accettazione, da parte della Templeton Foundation, della richiesta di finanziamento del progetto; probabilmente ritenendo la Fondazione un affidabile garante della serietà promessa dall’Università di Montreal. Dopo l’inizio della sperimentazione, si verificò un incidente che stava per mandare tutto a monte: il quotidiano “The Globe and Mail” pubblicò una foto -rubata non si sa come- della superiora Sister Diane. Solo l’abile opera diplomatica di Vincent Paquette, riuscì a scongiurare il ritiro delle carmelitane.

[9] Mario Beauregard & Denise O’Leary, The Spiritual Brain., p. 266, HarperOne - Harper Collins Publishers, New York 2007.

[10] Mario Beauregard & Denise O’Leary, op. cit., ibidem.