LA RICERCA DELLO SPIRITO NEL CERVELLO

 

(SECONDA PARTE)

 

E’ noto che il contenuto emozionale di uno stato mentale, grazie alla mediazione limbico-ipotalamica, è trasmesso dal sistema nervoso vegetativo alla cute, nella quale determina una variazione della resistenza elettrica, detta “risposta galvanica”, proporzionale all’intensità dell’emozione. Il gruppo di Ramachandran ha sfruttato questo fenomeno secondo un collaudato modello sperimentale, facendo ascoltare a pazienti affetti da epilessia temporale una serie di parole dal significato sessuale, religioso o neutro, e poi rilevandone la risposta cutanea. E’ risultato che parole come “Dio”, producevano una reazione insolitamente intensa, che non aveva riscontro nelle persone non affette.

I ricercatori di San Diego hanno ritenuto gli esiti di questa sperimentazione una conferma della maggiore propensione alla manifestazione di sentimenti religiosi in questi pazienti. Secondo Ramachandran, l’attività elettrica patologica ha rafforzato le connessioni fra le aree corticali temporali e le formazioni del sistema limbico, producendo questo effetto[1].

Si può osservare che una tale interpretazione non è una spiegazione neurofisiologica del fenomeno perché, se è accettabile che l’epilessia determini una maggiore influenza delle strutture limbiche su quelle temporali, non si comprende perché questo debba aumentare la propensione al sacro o al divino. Infatti, una maggiore attivazione dell’amigdala, complesso nucleare sito nella profondità dorso-mediale del lobo temporale e principale componente limbica nella mediazione delle emozioni, può aumentare, ad esempio, l’intensità di risposta negli stati di paura, rabbia, innamoramento o eccitazione sessuale e, dunque, in questo caso avrebbe potuto tutt’al più produrre maggiori effetti sulla cute per parole offensive o erotiche.

Perché la tesi di Ramachandran possa ritenersi una spiegazione, è necessario accettare l’ipotesi che i sentimenti legati al sacro e al divino siano generati da una particolare forma di emotività con una base limbica non ancora definita.

D’altra parte, da una sperimentazione che desume attività cerebrali da variazioni della resistenza elettrica della pelle, non si poteva pretendere di più.

L’ipotesi dell’importanza del lobo temporale, la cui lunga tradizione è stata tenuta viva dalla scuola di Geschwind, è stata messa alla prova, in esperimenti ben più articolati, da Michael Persinger della Laurentian University in Ontario (Canada).

Persinger e il suo gruppo hanno realizzato un apposito strumento in grado di generare campi elettromagnetici deboli e focalizzarli in aree circoscritte della superficie corticale. Simile ad un casco da motociclista, di un vistoso colore giallo, il copricapo in grado di stimolare parti discrete del lobo temporale, ha ricevuto il suggestivo nome di “God helmet”.

E’ difficile sintetizzare in poche righe il lavoro di Persinger e dei suoi collaboratori, perché i loro esperimenti sono stati condotti per anni su centinaia di volontari e con diversi paradigmi sperimentali; per questo ci limiteremo a considerare solo il risultato più rilevante ottenuto dal team canadese: il “casco divino” è in grado di indurre la sensazione di una presenza spirituale e materiale al contempo, in assenza di altre persone nella stanza in cui avviene l’esperimento.

Durante i tre minuti di stimolazione temporale mirata, le persone sottoposte all’esperimento riferiscono ciò che provano traducendolo nel linguaggio della propria religione e della propria cultura. Alcuni dicono di sentire la presenza di Dio, altri di Budda, altri ancora parlano di una presenza benevolente o del miracolo dell’universo. In questo stato mentale, qualcuno riferisce di sentire come una beatitudine cosmica che rivela una verità universale.

Persinger conclude che l’esperienza religiosa e la fede in Dio, non sono altro che la conseguenza di anomalie elettriche cerebrali, e la vocazione, anche delle figure più carismatiche delle grandi religioni, quali Mosè, San Paolo, Maometto e Budda, sia originata da tali disturbi neurologici.

Studiando attentamente i resoconti delle prove sperimentali condotte con il “God helmet”, non si può aggiungere molto, in chiave concettuale, alla sintesi appena riferita e, dunque, sulla base di quanto appena esposto, si può affermare che le conclusioni di Michael Persinger non sono desumibili dal risultato degli esperimenti; in altre parole, non sono la conseguenza logica ed obbligata della lettura degli esiti della sperimentazione.

Infatti, che una sensazione sia prodotta da condizioni patologiche o artificiali, non vuol dire che solo queste la possano produrre, ma solo che il cervello è predisposto a generarla. Lesioni ipotalamiche possono causare fame intensa, e lesioni dell’amigdala causano desiderio sessuale, ma non per questo diciamo che l’appetito per i cibi e il desiderio di accoppiarsi non siano altro che il prodotto di danni cerebrali. Si può dunque supporre che, come per le pulsioni alimentari ed erotiche esiste una fisiologia, esista una condizione fisiologica degli stati mistici e spirituali, che non ha bisogno dell’epilessia o del “God helmet” per manifestarsi, e della quale si sa ancora poco in termini biologici[2].

La tesi di Persinger, che ricalca ed amplia quella di Norman Geschwind, era già bene espressa venti anni or sono, quando lo studioso dell’Ontario spiegava che la base neuropatologica delle esperienze mistiche di alcuni, aveva creato un pensiero che, formalizzato e custodito nelle religioni, si era sviluppato e consolidato attraverso una serie di condizionamenti psicologici ad associare il positivo ed il piacevole con il sacro[3]. In tal modo, nelle società pervase dalla cultura religiosa, ogni vissuto paragonabile a quelli ottenuti con il casco erogatore di campi magnetici, sarebbe stato ricondotto ad una interpretazione obbligata secondo principi, dogmi e tematiche della religione professata in quella comunità. Come esempio delle associazioni del piacere al soprannaturale, lo studioso della Laurentian University, cita l’uso ebraico e cristiano di recitare una preghiera prima dei pasti, ed afferma che Dio non è nulla di più mistico di ciò.

Nonostante numerose critiche, la tesi e le interpretazioni di Persinger hanno goduto di un notevole credito fino al 2005, quando un gruppo di ricercatori svedesi ha condotto uno studio di verifica provando a ripetere i risultati ottenuti con il “God helmet”. Il rigore e l’impegno del team scandinavo ha consentito l’allestimento di procedure ottimali, ma gli esperimenti non hanno riprodotto i risultati canadesi[4], che pertanto non sono stati confermati.

Una critica più generale, che è stata mossa alle ricerche basate sull’ipotesi del lobo temporale, consiste nel rilevare che l’esperienza spirituale include elementi vari e di diversa natura, e nella vita di molti può essere del tutto priva di stati mentali collegati alla dimensione mistica e, perciò, rimane lontana dalle suggestioni prodotte dal disturbo epilettico o dalla stimolazione con campi magnetici deboli.

Hanno accolto questa critica i gruppi di ricerca che indagano, nel corso di esperienze dello spirito e di pratiche religiose, i correlati neurofunzionali degli stati mentali, considerando la possibilità che a condizioni, pratiche ed esperienze differenti, possano corrispondere quadri di attività diversi, potenzialmente localizzati in qualsiasi lobo del cervello o area dell’encefalo.

In questo tipo di studi, i ricercatori hanno spesso confrontato i rilievi ottenuti studiando stati mentali accostabili in termini di apparenza funzionale, anche se generati in realtà culturali diverse. Ad esempio, la calma indotta dalla recita del rosario nei cattolici, è stata paragonata all’effetto prodotto nei seguaci di altre religioni da pratiche caratterizzate dalla ripetizione di specifiche formule. Naturalmente, l’accostamento può difficilmente essere accettato dai praticanti, ma l’intento è quello di definire e mettere alla prova un’ipotesi di lavoro un po’ più generale, circa i processi che operano quando si è assorti e concentrati in preghiera, magari verificando se le caratteristiche o i contenuti di pratiche buddiste, cattoliche, induiste o islamiche, inducono differenti schemi di attività cerebrale.

Andrew Newberg della University of Pennsylvania e il suo compianto collega Eugene d’Aquili, hanno studiato il cervello di buddisti praticanti, mediante tomografia ad emissione di singolo fotone (single photon emission computed tomography o SPECT).

Questa metodica di neuroimaging, impiegando radionuclidi gamma-emittenti convenzionali, fornisce quadri funzionali del cervello con un grado di sensibilità abbastanza alto, e presenta anche il vantaggio di consentire il rilievo delle immagini con una gamma-camera, simile a quella che si impiega per le comuni scintigrafie. Lo svantaggio di questa metodica è dato da una bassa risoluzione spaziale; in altre parole con la SPECT la delimitazione anatomica delle aree attive, rispetto a quelle silenti, risulta imprecisa.

Newberg e d’Aquili hanno iniettato il radionuclide nel sangue dei volontari durante la meditazione buddista, una pratica costituita da un insieme di rituali formalizzati, volti al fine di ottenere definiti stati spirituali, come la sensazione di fusione con l’universo. La formazione delle immagini, che deriva dall’assunzione del radionuclide da parte dei neuroni in proporzione diretta del loro grado di attività, presentava un quadro caratteristico nella fase corrispondente al picco della trance meditativa […]

 

[continua]

 

La terza parte de “La ricerca dello spirito nel cervello”, che proseguirà con un confronto con suore cattoliche, sarà pubblicata la prossima settimana; la quarta parte è prevista per quella successiva. Le autrici della nota ringraziano il presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, che ha fatto conoscere loro questo campo di studi, presentandone i risultati al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere.

 

Monica Lanfredini & Nicole Cardon

BM&L-Novembre 2007

www.brainmindlife.org

 

 



[1] Vilayanur S. Ramachandran & Sandra Blakeslee, Phantoms in the Brain: Probing the Mysteries of the Human Mind. William Morrow, New York 1998.

[2] Come vedremo più avanti, la ricerca della neurofisiologia dello spirito è l’oggetto degli studi più recenti. Si può osservare che la posizione di Persinger sembra gravata dal fardello del pregiudizio della psichiatria ottocentesca che considerava ogni stato o fenomeno mentale ricondotto al soprannaturale, espressione di patologia.

[3] Michael Persinger, Neuropsychological Bases of God Beliefs. Praeger Publishers 1987.

[4] Si fa menzione di questo lavoro alla p. 41 di David Biello, Searching for God in the Brain. Scientific American MIND 18 (5), 38-45, 2007.