ROGER SPERRY E LA SUA SCUOLA: UNA PREZIOSA EREDITA’

 

 

“Quanto è grande il ruolo che l’eredità gioca nel comportamento? Nei più bassi vertebrati, almeno, molti elementi della percezione visiva -il senso di direzione e localizzazione nello spazio, la percezione del movimento e simili- sono parte della costituzione dell’organismo e non devono essere appresi”. Così si esprimeva Roger Sperry esattamente cinquant’anni fa, sintetizzando in tal modo le ragioni della sua incrollabile fiducia nella decifrabilità dell’organizzazione del sistema nervoso: la forma esprime la funzione e la precede nello sviluppo, perché è il prodotto dell’evoluzione conservato nei geni della specie come piano strutturale di collegamento punto per punto (Roger Wolcott Sperry, The hardwired brain, Scientific American, May 1956).

Con questa citazione si è aperta la relazione di Giuseppe Perrella all’incontro dei soci di BM&L-Italia dello scorso venerdì 26 maggio, intitolato: “Roger Sperry e la sua scuola: una preziosa eredità”. Interessanti contributi sono pervenuti non soltanto dai soci, ma anche da allievi e testimoni del tempo, numerosi in terra di Toscana per i rapporti intrattenuti fin dalla giovinezza da Michael Gazzaniga, il principale allievo di Sperry, con la Scuola Normale Superiore di Pisa.

L’attualità di questi studi non consiste solo nell’approccio topobiologico allo sviluppo ed alla macro-fisiologia del sistema nervoso, ma va oltre, ricordandoci che la rigidità è principio costitutivo imprescindibile e base per ogni forma di plasticità, in un binomio morfologico il cui corrispettivo funzionale è dato da specificità e variabilità.

Oggi l’attenzione dei neurobiologi è focalizzata sulle basi molecolari e cellulari della variabilità e della plasticità delle reti neuroniche, tuttavia nulla di questa componente variabile del sistema nervoso sarebbe risultato comprensibile senza la conoscenza della sua impalcatura stabile, geneticamente preordinata e definita da rapporti topografici fissi corrispondenti a precisi valori funzionali.

Le ricerche di Sperry cominciarono fin da quando, studente a Chicago, si opponeva alle tesi del suo maestro Paul Weiss, sostenendo che i nervi periferici non assumono la loro funzione per effetto del territorio di innervazione, ma sono già specificati geneticamente. Così, dimostrò che nel ratto, deviando chirurgicamente il nervo della zampa posteriore sinistra all’arto corrispondente di destra, questo sarebbe stato azionato come fosse il sinistro per tutta la vita dell’animale.

Roger Sperry sosteneva che simili esperimenti fossero la prova della pianificazione genetica rigida di tutte le connessioni nervose, quale parte speciale di una più generale specificità somatotopica di tutte le funzioni. Gli fu obiettato: se questa specificità non appartiene solo ad un programma funzionale che il sistema nervoso centrale impiega per controllare il movimento, ma è un piano genetico di tutto l’organismo, allora dovrebbe essere possibile dimostrare anche il contrario, ossia che terminazioni nervose dirette dalla periferia al centro mantengano un rigido piano di specificità funzionale per area topografica.

Il nervo ottico dei pesci rossi, se reciso, ricresce. Sperry recideva i nervi ottici dei pesci rossi e ne studiava la traiettoria rigenerativa all’interno del cervello. La specificità degli assoni delle cellule gangliari retiniche che raggiungevano le strutture interne era impressionante, rappresentando con precisione assoluta i punti della retina da cui provenivano. Se il percorso del fascio di assoni del nervo ottico rigenerante veniva deviato in una direzione innaturale, si assisteva ad un evento straordinario: le fibre si avventuravano in territori sconosciuti, fino a trovare la strada giusta che le conducesse alla struttura cerebrale cui erano collegate in precedenza.

Ma tutto il mondo imparò a conoscere Sperry per gli animali split-brain, ossia con cervello diviso.

Il termine era stato coniato per descrivere il risultato di un intervento chirurgico eseguito su gatti e scimmie, consistente nella resezione delle strutture mediane che collegano i due emisferi cerebrali. La crudeltà dell’esperimento non attraeva certo le simpatie dei nascenti movimenti animalisti e delle persone più sensibili al riguardo, ma i risultati di quelle ricerche hanno fornito un contributo di inestimabile valore per il progresso delle neuroscienze. Lo scopo immediato era quello di affrontare un nodo problematico serrato intorno al maggiore enigma della neurofisiologia: tutte le vie nervose di moto e di senso sono crociate rispetto al piano sagittale mediano, così che l’emisfero cerebrale destro controlla la parte sinistra del corpo e l’emisfero sinistro la parte destra. Perché? Quale rapporto ha questo incrocio con la sintesi di tutte le informazioni operata dal cervello?

Anche l’occhio non sfugge a questa regola e, se una piccola parte di fibre proveniente dalla retina di ciascun occhio rimane nell’emisfero cerebrale del proprio lato, il contingente maggiore passa al lato opposto formando una struttura che prende il nome di chiasma ottico. Dunque, la parte destra del cervello dovrebbe “sapere” ciò che riguarda la parte sinistra del corpo e ciò che vede l’occhio sinistro e, viceversa, il cervello sinistro sa ciò che è a destra. Dopo avviene una sintesi. Se si riflette su questo punto, ci si rende facilmente conto che cercare di capire come avviene la sintesi e quale rapporto abbia con l’incrociarsi delle vie nervose, vuol dire andare al cuore della differenza funzionale fra la periferia del sistema nervoso, dove tutto è diviso, e il cervello, che esprime l’unitarietà dell’individuo.

Roger Sperry e il suo allievo Ronald Myers scoprirono che, tagliando corpo calloso, commessura anteriore e chiasma ottico, le informazioni visive apprese da una metà del cervello erano del tutto ignote all’altra. Ad esempio, un gatto col cervello diviso e l’occhio sinistro bendato imparava, usando solo l’occhio destro, che spingendo un pannello contrassegnato da un triangolo otteneva un gustoso bocconcino di fegato. Se gli si bendava l’occhio destro sembrava perdere completamente la conoscenza acquisita, che ritornava quando poteva usare l’occhio e la metà del cervello addestrati: l’informazione non passava da un emisfero all’altro.

La sperimentazione sugli animali split-brain non fu che il prodromo della ricerca su persone alle quali era stato diviso il cervello per il trattamento chirurgico di una gravissima forma di epilessia. Questi studi rimangono un modello esemplare per la ricerca neuropsicologica e cognitiva in genere, sia per la logica con cui furono concepiti i disegni sperimentali, sia per l’originalità a tratti geniale delle soluzioni ai problemi affrontati. Non meraviglia che quella felice stagione abbia consegnato alla storia delle neuroscienze i suoi principali protagonisti. Fra questi ricordiamo Michael Gazzaniga e sua moglie Charlotte Smylie, Joseph Le Doux, John Sidtis e Jeffrey Holtzman, prematuramente scomparso nel 1985.

Nel 1981 Roger Sperry fu insignito del premio Nobel per la Medicina.

E’ la scuola di Roger Sperry che ha introdotto il termine “dominante” per indicare l’emisfero sinistro che controlla la mano destra e le facoltà connesse con l’uso della parola; la stessa scuola procedendo nelle conoscenze preferì chiamare l’emisfero sinistro “categoricale” e quello destro “rappresentazionale”, avanzando l’ipotesi della complementarietà fra aspetti della cognizione privilegiati da ciascuna delle due metà del cervello. L’ipotesi dei “moduli cerebrali” parzialmente indipendenti, guidati dal modulo del linguaggio-pensiero cosciente, ha una sua plausibilità ed utilità euristica per l’organizzazione dei dati da sottoporre ad ulteriore sperimentazione, e si giustifica come “modello operativo” alla luce della visione di Roger Sperry. Perde efficacia e senso nell’astrazione artificiosa della “mente modulare” di Fodor.

Non bisogna dimenticare che la ricerca su pazienti con cervello diviso ha consentito la prima dimostrazione scientifica dell’esistenza di processi mentali inconsci e della loro influenza sulla cognizione e sulle emozioni.

Da ipotesi formulate dal  gruppo di ricerca di Roger Sperry -e poi dallo stesso superate- sono nati alla fine degli anni Sessanta dei “miti moderni” quali l’emisfero della creatività (destro) contrapposto a quello della razionalità (sinistro). Si è trattato di libere interpretazioni dei risultati del lavoro di questi studiosi -spesso opera di pedagogisti e di operatori dell’informazione- ma che ebbero un tale impatto culturale da indurre il cambiamento delle leggi del sistema scolastico della California per favorire lo sviluppo del “cervello destro” degli allievi della scuola primaria.

La moda dei “due cervelli” si diffuse nei decenni successivi in tutto il mondo, trovando terreno fertile in un dualismo culturale ovunque presente, che sembrava non vedere l’ora di potersi giustificare sulla base di una dicotomia cerebrale e, dunque, naturale. Come accade per tutte le mode, la diffusione avvenne per una emulazione acritica ed istintiva, e così schiere di replicanti dell’interpretazione “libera” di alcuni dei risultati, hanno distorto e stravolto l’operato di questi studiosi in una ridicola caricatura in grado di fare presa sulle persone semplici o superficiali.

Fiorirono centinaia di pubblicazioni più o meno tecniche sull’argomento, e alcune di esse, come quella dal titolo “Disegnare con la parte destra del cervello”, in Italia hanno ancora un buon mercato, nonostante che per oltre vent’anni i ricercatori abbiano smentito l’esistenza di un cervello destro, abile disegnatore, represso dal sinistro, freddo calcolatore.

Le cose sono molto più complesse, e i documenti scritti e filmati degli esperimenti con i pazienti dal cervello diviso non cessano di affascinare e porre interrogativi. Oggi si dispone di metodiche di indagine molto più sensibili e specifiche di quelle dei decenni passati, ma molti ricercatori lamentano la mancanza fra loro di qualcuno che abbia la capacità di leggere costantemente la realtà naturale in termini di problema e di concepirne la soluzione mediante la stringente semplicità di una prova che obblighi la natura a dare una risposta netta ed inequivocabile, quella capacità che certo non mancava a Roger Sperry e che noi, comuni mortali, chiamiamo genio.

 

La presente nota è tratta dalla relazione del presidente di BM&L-Italia, Giuseppe Perrella, al quale va uno speciale ringraziamento per averla messa a disposizione dello scrivente.

 

Filippo Rucellai

BM&L-Maggio 2006

www.brainmindlife.org