SINESTESIA COME FINESTRA SULLA NATURA DEL PENSIERO

 

 

Nel 1880 Francis Galton, studioso poliedrico e cugino di Charles Darwin, pubblicò sulla rivista Nature uno scritto su un fenomeno curioso e interessante definito “sinestesia”: alcune persone riferivano di percepire, costantemente associata ad alcuni stimoli reali, una qualità non presente ai sensi come, ad esempio, il colore di un numero. Galton aveva compreso che non si trattava di un’associazione concettuale, come quella che può portare qualcuno a considerare più appropriato un colore freddo e scuro per i numeri dispari ed un colore caldo e chiaro per i numeri pari o viceversa, ma di un fenomeno di percezione paradossa. Tuttavia la comunità scientifica dell’epoca rimase scettica, e la maggior parte degli studiosi si tenne a debita distanza da un presunto fenomeno che, non potendo essere sottoposto al vaglio sperimentale per la sua qualità di sensazione soggettiva, si prestava ad essere considerato il parto di menti fantasiose, suggestionabili, immaginifiche o propense ad ingannare il ricercatore.

Nel corso del secolo seguente, sebbene si fosse sviluppato lo studio scientifico della mente e molti fenomeni psichici avessero trovato spiegazioni razionali, per la sinestesia non si fecero passi in avanti, anche a dispetto dei numerosi studi condotti sugli effetti sinestesici di sostanze dislettiche -erroneamente dette allucinogeni- quali la dietilammide dell’acido lisergico (o LSD, la droga degli hippies degli anni Sessanta), la mescalina, la psilocibina e vari altri composti fra cui i derivati sintetici della 5-HT. Ma ciò è comprensibile, perché le associazioni sensoriali dovute a queste sostanze psicotrope si studiavano come effetto di un’azione tossica su un funzionamento normale, per cui contribuivano ad allontanare l’attenzione scientifica dalla possibilità che alcune persone, in condizioni normali, reagissero ad uno stimolo sensoriale specifico anche con l’evocazione di una risposta ordinariamente associata ad uno stimolo diverso.  

Si è dovuto attendere lo sviluppo delle più recenti tecniche di studio della fisiologia encefalica, per il riconoscimento della sinestesia come fenomeno percettivo conseguente ad un particolare tipo di funzionamento cerebrale.

All’inizio del nuovo millennio, Vilayanur Ramachandran, direttore del Center for Brain and Cognition della University of California in San Diego e il suo allievo Edward Hubbard (ora in Francia come postdoctoral fellow presso l’INSERM) sono stati fra i primi ad individuare alcuni processi cerebrali alla base di questa curiosa esperienza psico-percettiva. (Psychophysical Investigations into the Neural Basis of Synaesthesia. Proceedings of the Royal Society of London, B, 268, 979-983, 2001).

La sinestesia non è un fenomeno unitario, potendosi presentare con qualità e caratteristiche diverse, ed oggi la si descrive come una condizione in cui una persona sperimenta l’associazione o la commistione di due o più sensazioni per effetto di reciproco stimolo da parte di aree cerebrali che in condizioni normali agiscono separatamente.

Si stima che una persona su 200 possa presentare una delle 50 forme attualmente riconosciute di sinestesia. La più frequente sembra essere quella in cui un dato numero evoca uno specifico colore; proprio in questo tipo è stata recentemente dimostrata la reciproca attivazione di aree del cervello che normalmente non interagiscono quando elaborano numeri e colori (Hubbard et al., Individual Differences among Grapheme-Color Synesthetes: Brain-Behaviour Correlations. Neuron 45 (6), 975-985, 2005).

Le stime epidemiologiche sono solo agli inizi ma alcuni dati, come la prevalenza nel sesso femminile e nelle persone creative, hanno trovato riscontro in tutti i lavori condotti. A tal proposito è opportuno rilevare che non sono state ancora vagliate sperimentalmente le eventuali associazioni causali che determinano la maggiore incidenza; è nota, tuttavia, un’elevata frequenza in alcune famiglie, per cui una pista interessante per comprendere i meccanismi molecolari delle differenze fra soggetti normali e sinestesici, potrebbe essere quella neurogenetica.

Gli studi su questo interessante fenomeno, sebbene siano solo agli inizi, si stanno rivelando preziosi per i dati che possono fornire per la comprensione dell’elaborazione dell’informazione sensoriale e dei processi che consentono al cervello di fare collegamenti astratti fra categorie di memorie correlate a stimoli diversi. Per questo motivo Ramachandran, Hubbard e i loro collaboratori considerano la sinestesia una finestra sulla natura del pensiero.

 

Roberto Colonna & Giovanni Rossi

BM&L-Dicembre 2005

www.brainmindlife.org