LE SINAPSI DEL SISTEMA IMMUNITARIO    

 

 

Nel corso della riunione per l’avvio di un lavoro di revisione bibliografica sulle sinapsi del sistema immunitario da parte del gruppo strutturale di BM&L che studia la psiconeuroimmunologia, Nicole Cardon ha proposto la prima parte -che qui di seguito riportiamo- di una relazione che sarà compiutamente svolta al seminario permanente sulle sinapsi. La prima e la seconda parte saranno pubblicate insieme, prossimamente, nella sezione “IN CORSO”.

 

La prima dimostrazione e gli antecedenti. Nel 1995, al simposio di immunologia di Keystone, Abraham Kupfer presentò le prime immagini tridimensionali ad alta definizione di cellule del sistema immunitario interagenti in una forma simile a quella delle sinapsi fra neuroni. Era nozione già consolidata che la segnalazione mediata da citochine richiedesse una stretta vicinanza fra le cellule, tanto che si era diffuso l’impiego dell’espressione “sinapsi immune”, tuttavia nessuno in precedenza aveva mai visto e fotografato simili strutture.

Nelle immagini presentate da Kupfer si vedeva l’interazione fra antigen-presenting cells (APC), ossia quegli elementi che, presentando l’antigene alle cellule T, ne inducono l’attivazione. Nella definizione funzionale di APC rientrano cellule del sistema monociti-macrofagi estesamente studiate da decenni, quali le dendritiche dei linfonodi, della milza e del timo, e le cellule di Langerhans della cute e del timo. Nella ripresa fotografica dell’interazione era possibile distinguere un anello esterno di molecole in grado di mantenere l’adesione fra le membrane, e un aggregato di proteine in forma di “occhio di bue”, cui Kupfer diede il nome di supramolecular activation clusters (SMACs).

La prima visualizzazione di sinapsi immuni ha dovuto attendere gli anni Novanta per lo sviluppo delle nuove tecniche di microscopia ad alta risoluzione e i progressi nell’elaborazione computerizzata delle immagini, anche se l’ipotesi di una superficie di contatto con strutture molecolari specializzate per la segnalazione mediata da citochine, era già stata avanzata all’inizio degli anni Ottanta in un progetto dell’NIH che non condusse ai risultati sperati. L’ipotesi originava dalla dimostrazione che la raccolta di alcune specifiche proteine in un’area della membrana dei linfociti T, era sufficiente per innescarne l’attivazione. Nel 1984 Michael Norcross dell’NIH aveva anche proposto un interessante parallelo fra la comunicazione sinaptica neuronica e quella ipotizzata fra cellule immunocompetenti, ma il lavoro fu ignorato perché pubblicato su una rivista letta solo da una piccola minoranza di ricercatori.

Un elegante esperimento, condotto nel 1988 dal gruppo di Charles Janeway alla Yale University, ebbe un ruolo non secondario nel tenere viva l’ipotesi sinaptica, fornendo una conferma della capacità degli immunociti di rilasciare proteine in una specifica direzione. Janeway e collaboratori posero cellule T all’interno dei pori di una membrana che divideva in due una camera contenete una soluzione alla quale aggiunsero uno stimolante in uno solo dei due comparti, dimostrando che gli immunociti attivati secernevano proteine soltanto verso la fonte della stimolazione e non sull’altro versante della membrana.

Nel 1994, William E. Paul e Robert A. Seder dell’NIH, ricavarono dai dati in loro possesso un modello di sinapsi fra cellule del sistema immunitario, costituito da due superfici in stretta vicinanza, l’una caratterizzata da un pattern di proteine agenti come recettori, l’altra dalla presenza di molecole con funzione di ligandi. Paul e Seder definirono con chiarezza una differenza concettuale importante, anche se intuitiva, con le giunzioni neuroniche: la temporaneità. Le sinapsi immuni si fanno e si disfano nel volgere di un tempo breve fra cellule dotate di notevole mobilità; al contrario, le strutture specializzate per la neurotrasmissione, pur nella dinamica delle variazioni morfo-funzionali, nella maggior parte dei casi sono stabili o permanenti e stabiliscono contatti fra cellule fisse.

 

L’ultimo decennio e le prospettive attuali. Nel decennio successivo al simposio di Keystone, sono stati individuati gli elementi essenziali per la formazione delle sinapsi ed è stato possibile generalizzare le osservazioni iniziali. Dustin, Allen e Show dimostrarono che per la formazione di una sinapsi non erano necessarie due intere cellule, ma era sufficiente l’interazione di una cellula T con una membrana artificiale posta su un supporto di vetro e contenente le proteine-chiave della cellula APC. Dopo la dimostrazione di giunzioni fra cellule APC e cellule T, si sono moltiplicati i lavori che hanno evidenziato simili strutture molecolari fra altri tipi di cellule del sistema immunitario, suggerendo l’ipotesi che questa modalità di comunicazione rappresenti un paradigma comune a diverse esigenze fisiologiche. Nel 1999 Daniel Davis e Jack Stromiger hanno osservato le prime sinapsi delle cellule NK (natural killer). E’ interessante notare che una cellula NK può stabilire una giunzione con una cellula B e, riconoscendo l’innocuità delle sue proteine, risparmiarla, così come può congiungersi con una cellula che esponga antigeni patogeni e distruggerla immediatamente.

Gli studi successivi si sono concentrati soprattutto sulla comprensione dei meccanismi molecolari che portano le proteine a migrare nel punto di contatto fra le cellule e ad organizzarsi in specifici patterns. Sulla base dei risultati di varie ricerche si è supposto che i movimenti dei filamenti del citoscheletro consentano alle cellule di controllare il tempo ed il luogo dell’accumulo delle proteine per costituire la giunzione.

Accanto al ruolo del citoscheletro è stato ipotizzato l’intervento di numerosi altri meccanismi; tutte le ipotesi sono riconducibili a due insiemi concettuali.

1) Nel primo gruppo di ipotesi si postula l’esistenza di piccole piattaforme costituite da poche molecole proteiche in grado di muoversi lungo la superficie della cellula. Quando nella sinapsi queste “zattere” molecolari si uniscono con le proteine recettoriali-chiave, si determinerebbe l’interazione in grado di attivare la cellula. Tuttavia, le loro dimensioni non ne consentono una diretta visualizzazione e le prove della loro esistenza sono essenzialmente indirette.

2) Il secondo gruppo di ipotesi si basa sul fatto che le dimensioni dei singoli tipi di proteine formanti le sinapsi siano critiche nel definirne la posizione. Questa possibilità ha ricevuto sia conferme dirette, sia indirette. Arup Chakraborty, impiegando un modello matematico per testare l’ipotesi, ha dimostrato che la differenza di volume è sufficiente a determinare che gruppi omogenei per dimensioni si collochino in regioni specifiche e separate della sinapsi immune.

 

[Continua]

 

[Il testo completo con l’elenco di tutte le fonti bibliografiche consultate sarà presto a disposizione dei soci che ne facciano richiesta mediante e-mail all’indirizzo soci@brainmindlife.org]

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella e Diane Richmond con i quali ha discusso l’argomento trattato ed Isabella Floriani per la correzione della bozza dell’intero lavoro.

 

Nicole Cardon

BM&L-Febbraio 2006

www.brainmindlife.org