SINAPSI DEL SISTEMA IMMUNITARIO

 

 

Il testo che segue costituisce le prime due parti di una relazione presentata da Nicole Cardon al seminario permanente sulle sinapsi di Brain Mind & Life: la prima parte nell’incontro del 18 febbraio, la seconda in quello del 29 aprile. La prima parte era già stata pubblicata con le “NOTE E NOTIZIE” del 25/02/06. Il testo integrale, completo di tutte le indicazioni bibliografiche, è a disposizione dei soci-membri che ne facciano richiesta.

 

 

La prima dimostrazione e gli antecedenti. Nel 1995, al simposio di immunologia di Keystone, Abraham Kupfer presentò le prime immagini tridimensionali ad alta definizione di cellule del sistema immunitario interagenti in una forma simile a quella delle sinapsi fra neuroni. Era nozione già consolidata che la segnalazione mediata da citochine richiedesse una stretta vicinanza fra le cellule, tanto che si era diffuso l’impiego dell’espressione “sinapsi immune”, tuttavia nessuno in precedenza aveva mai visto e fotografato simili strutture.

Nelle immagini presentate da Kupfer si vedeva l’interazione fra antigen-presenting cells (APC), ossia quegli elementi che, presentando l’antigene alle cellule T, ne inducono l’attivazione. Nella definizione funzionale di APC rientrano cellule del sistema monociti-macrofagi estesamente studiate da decenni, quali le dendritiche dei linfonodi, della milza e del timo, e le cellule di Langerhans della cute e del timo. Nella ripresa fotografica dell’interazione era possibile distinguere un anello esterno di molecole in grado di mantenere l’adesione fra le membrane, e un aggregato di proteine in forma di “occhio di bue”, cui Kupfer diede il nome di supramolecular activation clusters (SMACs).

La prima visualizzazione di sinapsi immuni ha dovuto attendere gli anni Novanta per lo sviluppo delle nuove tecniche di microscopia ad alta risoluzione e i progressi nell’elaborazione computerizzata delle immagini, anche se l’ipotesi di una superficie di contatto con strutture molecolari specializzate per la segnalazione mediata da citochine, era già stata avanzata all’inizio degli anni Ottanta in un progetto dell’NIH che non condusse ai risultati sperati. L’ipotesi originava dalla dimostrazione che la raccolta di alcune specifiche proteine in un’area della membrana dei linfociti T, era sufficiente per innescarne l’attivazione. Nel 1984 Michael Norcross dell’NIH aveva anche proposto un interessante parallelo fra la comunicazione sinaptica neuronica e quella ipotizzata fra cellule immunocompetenti, ma il lavoro fu ignorato perché pubblicato su una rivista letta solo da una piccola minoranza di ricercatori.

Un elegante esperimento, condotto nel 1988 dal gruppo di Charles Janeway alla Yale University, ebbe un ruolo non secondario nel tenere viva l’ipotesi sinaptica, fornendo una conferma della capacità degli immunociti di rilasciare proteine in una specifica direzione. Janeway e collaboratori posero cellule T all’interno dei pori di una membrana che divideva in due una camera contenete una soluzione alla quale aggiunsero uno stimolante in uno solo dei due comparti, dimostrando che gli immunociti attivati secernevano proteine soltanto verso la fonte della stimolazione e non sull’altro versante della membrana.

Nel 1994, William E. Paul e Robert A. Seder dell’NIH, ricavarono dai dati in loro possesso un modello di sinapsi fra cellule del sistema immunitario, costituito da due superfici in stretta vicinanza, l’una caratterizzata da un pattern di proteine agenti come recettori, l’altra dalla presenza di molecole con funzione di ligandi. Paul e Seder definirono con chiarezza una differenza concettuale importante, anche se intuitiva, con le giunzioni neuroniche: la temporaneità. Le sinapsi immuni si fanno e si disfano nel volgere di un tempo breve fra cellule dotate di notevole mobilità; al contrario, le strutture specializzate per la neurotrasmissione, pur nella dinamica delle variazioni morfo-funzionali, nella maggior parte dei casi sono stabili o permanenti e stabiliscono contatti fra cellule fisse.

 

L’ultimo decennio e le prospettive attuali. Nel decennio successivo al simposio di Keystone, sono stati individuati gli elementi essenziali per la formazione delle sinapsi ed è stato possibile generalizzare le osservazioni iniziali. Dustin, Allen e Show dimostrarono che per la formazione di una sinapsi non erano necessarie due intere cellule, ma era sufficiente l’interazione di una cellula T con una membrana artificiale posta su un supporto di vetro e contenente le proteine-chiave della cellula APC. Dopo la dimostrazione di giunzioni fra cellule APC e cellule T, si sono moltiplicati i lavori che hanno evidenziato simili strutture molecolari fra altri tipi di cellule del sistema immunitario, suggerendo l’ipotesi che questa modalità di comunicazione rappresenti un paradigma comune a diverse esigenze fisiologiche. Nel 1999 Daniel Davis e Jack Stromiger hanno osservato le prime sinapsi delle cellule NK (natural killer). E’ interessante notare che una cellula NK può stabilire una giunzione con una cellula B e, riconoscendo l’innocuità delle sue proteine, risparmiarla, così come può congiungersi con una cellula che esponga antigeni patogeni e distruggerla immediatamente.

Gli studi successivi si sono concentrati soprattutto sulla comprensione dei meccanismi molecolari che portano le proteine a migrare nel punto di contatto fra le cellule e ad organizzarsi in specifici patterns. Sulla base dei risultati di varie ricerche si è supposto che i movimenti dei filamenti del citoscheletro consentano alle cellule di controllare il tempo ed il luogo dell’accumulo delle proteine per costituire la giunzione.

Accanto al ruolo del citoscheletro è stato ipotizzato l’intervento di numerosi altri meccanismi; tutte le ipotesi sono riconducibili a due insiemi concettuali.

1) Nel primo gruppo di ipotesi si postula l’esistenza di piccole piattaforme costituite da poche molecole proteiche in grado di muoversi lungo la superficie della cellula. Quando nella sinapsi queste “zattere” molecolari si uniscono con le proteine recettoriali-chiave, si determinerebbe l’interazione in grado di attivare la cellula. Tuttavia, le loro dimensioni non ne consentono una diretta visualizzazione e le prove della loro esistenza sono essenzialmente indirette.

2) Il secondo gruppo di ipotesi si basa sul fatto che le dimensioni dei singoli tipi di proteine formanti le sinapsi siano critiche nel definirne la posizione. Questa possibilità ha ricevuto sia conferme dirette, sia indirette. Arup Chakraborty, impiegando un modello matematico per testare l’ipotesi, ha dimostrato che la differenza di volume è sufficiente a determinare che gruppi omogenei per dimensioni si collochino in regioni specifiche e separate della sinapsi immune.

Col procedere delle ricerche e l’accrescersi delle conoscenze, la concezione di sinapsi immune si è andata evolvendo. Inizialmente lo SMAC, ossia il complesso di proteine che si forma all’interfaccia delle due cellule interagenti, era considerato un semplice raccordo, una sorta di guida in grado di indirizzare il flusso di citochine verso lo spazio recettoriale post-sinaptico, evitandone la dispersione ed aumentandone l’efficienza. Questa visione semplicistica è stata abbandonata perché, a poco a poco, si sono accumulate evidenze che hanno arricchito il quadro dei ruoli fisiologici svolti da questa struttura proteica temporanea.

Numerosi studi avevano dimostrato che la segnalazione fra cellule T ed APC comincia prima che lo SMAC abbia preso forma, tuttavia è rimasta oscura la natura di questi segnali fino al 2002, quando il gruppo di Kupfer ne riconobbe l’importanza nel promuovere l’adesione fra le due cellule. Gli esperimenti suggerivano che questa segnalazione fosse in grado di favorire l’adesione ma, per avere una risposta delle cellule T fosse necessaria la costituzione di uno SMAC.

Shaw, Allen, Dustin e i loro collaboratori, hanno dimostrato che i segnali in grado di produrre risposte fra cellule APC e T sono rilevabili prima che si determini quella configurazione delle molecole proteiche dello SMAC cui si è fatta corrispondere la definizione di sinapsi matura. Da qui ha avuto origine l’ipotesi che l’arrangiamento finale delle proteine “occhio di bue”, non sia altro che un segnale di fine comunicazione.

Si è supposto che, oltre a determinare l’inizio e la fine di una speciale trasmissione di informazioni, la configurazione molecolare potesse essere in rapporto con altri aspetti funzionali. La sperimentazione volta ad accettare questa possibilità ha prodotto risultati di grande interesse.

Nell’interazione con le cellule APC, le cellule T sono in grado di modulare l’intensità della propria risposta in relazione a particolari esigenze. Ad esempio, nel caso vi sia un eccesso di antigene, i recettori possono essere allontanati lungo la superficie della membrana, con una conseguente diminuzione di entità della reazione. Questa riduzione del numero dei recettori presenti nella struttura sinaptica, si rivela di importanza vitale quando la quantità di antigene è tale che l’iper-stimolazione condurrebbe a morte la cellula T. Qualora si verifichi la condizione opposta, ossia si abbia una bassa quantità di antigene, i linfociti possono amplificare la segnalazione raccogliendo e raggruppando i recettori in stretta vicinanza all’interno dell’area sinaptica.

Anche le cellule NK sono in grado di modulare la propria risposta, consistente nella distruzione di cellule danneggiate o portatrici di danno, rilevando la configurazione delle proteine di membrana. Cellule patologiche per una mutazione cancerosa o perché infettate da un patogeno, possono perdere l’espressione di alcune proteine di superficie: l’assenza di queste molecole è riconosciuta come segnale dalle cellule NK, che provvedono alla loro distruzione. Il gruppo di ricerca di Daniel Davis ha recentemente dimostrato che la quantità di proteine presenti sulla superficie delle cellule patologiche influenza la configurazione delle sinapsi formate dalle cellule NK. Si hanno, così, patterns specifici corrispondenti alla decisione di uccidere la cellula o risparmiarla; pertanto se ne deduce che il pattern della cellula killer rifletta le informazioni che questa impiega per determinare l’identità nociva della cellula con la quale entra in sinapsi.

In questa breve rassegna non possiamo trascurare la menzione di una giunzione temporanea simile a quelle fin qui trattate, che ha per protagoniste cellule infettate da virus e, perciò, denominata sinapsi virale. E’ noto che i virus sono in grado di impiegare l’apparato molecolare della cellula che li ospita per riprodursi, ma non si conosceva la capacità di sfruttare la formazione di tali giunzioni per passare da una cellula ospitante all’altra. La prima dimostrazione di un’aggregazione di proteine in forma di struttura sinaptica proprio nel punto di scambio delle particelle virali fra due cellule infettate, si deve al gruppo di ricerca di Charles Bangham, che lavora presso l’Imperial College di Londra, come il già menzionato Daniel Davis, ritenuto il massimo esperto di sinapsi delle cellule NK.

Mi piace fare, a questo punto, un’osservazione in termini di psicologia della ricerca.

E’ noto che uno dei requisiti impliciti nell’impiego quotidiano della razionalità scientifica da parte del ricercatore, consiste nell’esercitare la propria intelligenza in forma “appropriata”. Questo vuol dire non abbandonarsi a salti logici non giustificabili sulla base delle conoscenze provate sperimentalmente o non sostenuti da un ragionamento intrinsecamente coerente secondo i criteri della logica matematica. Ma ciò induce talvolta, per un effetto psicologico che possiamo paragonare ad un “alone di inibizione”, ad una prudenza eccessiva ed inconsapevole che porta il ricercatore a non azzardare lo sguardo oltre i confini della proprio specifico campo di indagine. Tale inibizione può giungere a creare degli invisibili, ma insormontabili, muri di parole.

Sulla base di questa osservazione si può spiegare il fatto che, solo quando le giunzioni delle cellule immunitarie sono state chiamate sinapsi come quelle dei neuroni, la ricerca immunologica si è “accorta” che molte proteine di queste strutture si identificavano con quelle da decenni conosciute dai neuroscienziati.

E’ il caso dell’agrina, studiatissimo polipeptide delle giunzioni neuromuscolari colinergiche, in grado di determinare la concentrazione in corrispondenza dei siti di rilascio di macromolecole sinaptiche di fondamentale importanza. L’agrina si accumula nella membrana delle sinapsi dei linfociti e si è dimostrata in grado di potenziare alcune risposte immunitarie.

Anche la neuropilina-1 delle sinapsi neuroniche è stata trovata nelle cellule immunocompetenti e, recentemente, è stato proposto che intervenga nel determinare la formazione di sinapsi con alcuni tipi di cellule patologiche. Ma la lista di proteine delle cellule nervose allo studio nel sistema immunitario è molto lunga.

Le sinapsi non sono l’unica novità in fatto di comunicazione fra cellule del sistema immunitario.

Neurobiologi tedeschi e norvegesi hanno osservato la formazione fra cellule nervose di speciali ponti di membrana a struttura nanotubulare, spesso in forma di lunghe e sottili propaggini, in grado di determinare una continuità protoplasmatica tra neuroni distanti. Questa osservazione ha indotto il gruppo di Davis ad ipotizzare e dimostrare l’esistenza di simili strutture di comunicazione fra numerosi tipi di cellule del sistema immunitario. Le lunghe propaggini, veri e propri canali in grado di determinare continuità ionico-metabolica e scambio di segnali a distanze finora ritenute proibitive, potrebbero consentire la secrezione mirata di specifiche citochine verso un particolare bersaglio, troppo lontano dal punto in cui il partner cellulare ha ricevuto la stimolazione. E potrebbero anche essere un veicolo di amplificazione selettiva di processi reattivi noti. Watkins e Salter hanno recentemente scoperto che una popolazione di cellule immunitarie impiega questi ponti nanotubulari per la trasmissione di segnali mediante ioni calcio. Centinaia di micrometri in pochi secondi sono percorsi da ioni Ca2+ che trasmettono a grande distanza un segnale ricevuto da una cellula di un’area che, sulla base dei criteri di giudizio convenzionalmente adottati in biologia, si dovrebbe ritenere funzionalmente separata.

La scoperta delle sinapsi e di queste strutture nanotubulari di comunicazione, sta sempre più avvicinando il quadro generale della fisiologia del sistema immunitario a quello del sistema nervoso, aprendo nuovi orizzonti alla ricerca e nutrendo nuove speranze, non solo per la soluzione di alcuni dei tanti problemi irrisolti, ma anche per lo sviluppo di una più solida base molecolare e cellulare per una disciplina giovane e promettente, quale la psiconeuroimmunologia.   

 

L’autrice ringrazia Giuseppe Perrella e Diane Richmond con i quali ha discusso l’argomento trattato, ed Isabella Floriani per la correzione della bozza dell’intero lavoro.

 

Nicole Cardon

BM&L-Febbraio-Maggio 2006

www.brainmindlife.org