SE STESSI E GLI ALTRI:
LE DIFFERENZE NEL CERVELLO
Le basi neurofunzionali della coscienza, dell’Io e del Sé,
potrebbero essere utilmente studiate rovesciando la prospettiva corrente
secondo la teoria biologica della mente di Giuseppe Perrella, ma questo impianto
metodologico, sebbene riceva entusiastici apprezzamenti nelle comunicazioni
scientifiche, rimane inapplicato. Probabilmente ciò accade perché è tanto
stimolante e facile accettare e comprendere concetti nuovi esposti in una forma
piana e coerente, quanto difficile mutare d’un tratto una mentalità o, come si
suole dire, liberarsi di una forma mentis.
In attesa che ciò accada, i soci di BM&L-Italia hanno
tenuto un incontro di aggiornamento sulla neurobiologia del Sé, seguendo
l’impostazione metodologica attualmente prevalente nella ricerca.
Tra i principali obiettivi della sperimentazione vi é la
comprensione delle basi neurali della costituzione, del mantenimento del Sé e della distinzione fra
Sé e “Non-Sé”. E’ evidente che questi studi
possono giungere a spiegare in termini di processi biologici come sia
possibile il verificarsi dei fenomeni attinenti
al Sé, accessibili con queste metodologie; non sono in grado,
invece, di dare risposte a domande poste in termini filosofici, psicologici ed
antropologici. Questa precisazione non ci appare superflua, perché è frequente
che studiosi di neuroscienze propongano soluzioni riduzioniste tendenti
a spiegare ogni interrogativo sul Sé, derivante dalla cultura e dell’esperienza
umana, nei termini dei risultati sperimentali: si tratta di un errore di
livello in cui “oggetti” distinti e distanti vengono trattati come una sola
cosa.
Per inciso, è interessante notare che argomenti come questo,
che investono concezioni psicologiche, neuropsicologiche e psichiatriche della
coscienza, dell’identità e della personalità, sono spesso trattati con maggiore
approssimazione di quelli che riguardano aspetti strumentali delle abilità
cognitive o funzioni psico-senso-motorie, quasi come se le difficoltà
intrinseche della materia, anziché stimolare un maggior rigore, giustificassero
una maggiore disinvoltura (Carl Zimmer, The
Neurobiology of the Self. Sci. Am. Vol 293, No 5, 64-71, 2005).
Gli studi più recenti, soprattutto quelli condotti sull’uomo
e sui primati, impiegano spesso tecniche di neuroimaging funzionale per
visualizzare e riconoscere le zone encefaliche che si ritiene possano essere
sede di processi relativi al Sé. Un modo per distinguere circuiti ed aree
responsabili del senso di sé da quelli preposti ad altre funzioni, si basa
sull’attivazione differenziale: i territori cerebrali che diventano più attivi
quando una persona pensa a proprie caratteristiche e non quando pensa alle corrispondenti di altre persone anche
affettivamente vicine, si ritengono parte della rete funzionale del Sé.
Molte regioni cerebrali rispondono in maniera diversa ad
informazioni relative al Sé rispetto a quelle relative agli altri, anche quando
si tratta di persone con le quali il soggetto esaminato presenta un alto grado
di identificazione ed empatia. Fra queste, il precuneo e la parte anteriore dell’Insula
di Reil, si ritengono responsabili del
riconoscimento, rispettivamente, della qualità autobiografica dei ricordi
rievocati, e dell’appartenenza a se stessi di ritratti e immagini riproducenti la
persona.
La corteccia prefrontale
mediale è riconosciuta come sede di attività
rilevanti per il Sé nella maggior parte dei lavori, ma quale sia effettivamente
il suo ruolo -ammesso che si possa riconoscere e localizzare un simile compito
o sotto-funzione specifica- è difficile dirlo. La convinzione dell’importanza
di quest’area si basa, oltre che su prove in positivo come quelle prodotte dal
gruppo di Heatherton, anche su una prova in negativo, come quella avanzata da
Debra Gusnard della Washington University: la corteccia
prefrontale mediale è l’area cognitiva più
attiva quando il cervello è a riposo e risulta spesso più attiva in assenza di
qualsiasi impegno cognitivo che durante prove che la vedono selettivamente
interessata (Macrae, Heatherton and Kelley, A
Self Less Ordinary: The Medial prefrontal Cortex and You. Cognitive
Neurosciences III, Edited by Michael S. Gazzaniga, The MIT Press, 2004).
La ratio su cui si basano queste deduzioni non è scevra da
critiche. Ad esempio, si può osservare che tutta la fisiologia corticale è
controllata da un’attività tonica di inibizione: l’attivazione di alcune parti
potrebbe configurarsi come una disinibizione che richiede un minore impegno
energetico e metabolico. Ancora, la maggiore attività a riposo potrebbe essere solo il frutto di un
errore di valutazione, dovuto alla bias che ci porta a ritenere a riposo
un cervello che non sta svolgendo un compito cosciente in quel preciso momento:
chi ci dice che non lavori di più, proprio negli intervalli liberi da attività
coscienti, un’area che si è dimostrata importante in processi di organizzazione
e categorizzazione delle memorie? Tuttavia anche queste argomentazioni possono
essere discusse e criticate (Gillihan &
Farah, Is Self Special? A Critical Review […] Psychological Bull.
131, 76-97, 2005).
L’autrice di questa nota, osservando che le attività cognitive ed affettive in cui si è rilevata l’attivazione della corteccia prefrontale mediale sono quanto mai numerose e varie, ha sollevato numerose obiezioni di metodo e di interpretazione dei risultati della ricerca, che hanno dato luogo ad un interessante dibattito, al termine del quale si è deciso di proseguire l’approfondimento critico della letteratura scientifica in un prossimo incontro aperto a tutti i soci.
L’autrice della
nota ringrazia Isabella Floriani per la correzione del testo.