SCIENZA E FEDE UNITE NELLA RAGIONE

 

 

La contrapposizione fra scienza e fede, data per implicita in un recente dibattito fra Lawrence Krauss e Richard Dawkins[1], e nel monologo del Premio Nobel per la letteratura Dario Fo al “Festival della Creatività”[2], ha suggerito un incontro dei soci di BM&L-Italia, dal titolo “Scienza e fede unite nella ragione”, che si è tenuto lo scorso 28 di ottobre a Firenze.

Alcuni argomenti proposti alla discussione, che ha preso le mosse dal pensiero del fondatore del razionalismo moderno, sono qui di seguito sintetizzati.

L’attribuzione a Cartesio dell’introduzione nel pensiero razionale di un’artificiosa e drastica separazione fra mente (res cogitans) e corpo (res extensa), affermatasi già negli anni Ottanta nella letteratura medico-scientifica di cultura prevalentemente americana, è divenuta poco a poco “uno stereotipo acriticamente passato di bocca in bocca e riprodotto di foglio in foglio, senza più lo scrupolo di una verifica sulla sua fondatezza e, di fatto, diffuso ed amplificato nella sua portata, in tutto il mondo, da persone prive di una formazione filosofica” (G. Perrella, Seminario sull’Arte del Vivere. BM&L-Maggio, 2004). Senza nemmeno scomodare i massimi interpreti del pensiero del matematico francese, ad un’attenta lettura di alcuni suoi scritti e di comuni testi didattici in uso in Francia e in Italia, emerge chiaramente che la sua analisi non esita in una separazione, ma nella distinzione di due poli speciali in un continuum caratteristico dell’essere vivente. D’altra parte, la presunta negligenza del corpo da parte di Cartesio, della quale si favoleggia per psittacismo di maniera in tanti seminari di psicologia clinica e convegni di scienze biomediche, è assolutamente falsa. Chi afferma una cosa simile, non solo ignora alcuni aspetti importanti degli studi cartesiani, ma mostra di non aver letto nemmeno l’opera più nota del padre del moderno razionalismo. La quinta parte del Discorso sul metodo (1637) è, infatti, centrata sulla fisiologia umana e, in particolare, sulla circolazione sanguigna, e nella sesta parte si legge: “…mi limiterò a dire che sono deciso ad impiegare il tempo che mi resta da vivere esclusivamente nel tentativo di acquistare qualche conoscenza della natura, così da poterne ricavare regole per la medicina più sicure di quelle seguite fino a oggi”[3].

Cartesio non scinde la mente dal corpo, ma ha l’esigenza cristiana di distinguere l’anima immortale, posseduta solo dall’uomo, da tutte quelle manifestazioni del mentale e del cerebrale nel corporeo che definisce, come molti filosofi e medici del suo tempo, “spiriti animali”. La sua visione dell’esperienza umana è profondamente radicata nel corpo, al punto di aver progettato la compilazione di un trattato che spiegasse in termini di fisiologia tanto la motilità quanto le funzioni psichiche; si legge infatti nel citato Discorso: “In esso avevo poi mostrato quale doveva essere la struttura dei nervi e dei muscoli del corpo umano per far sì che gli spiriti animali che vi sono dentro abbiano la forza di muovere le membra […] quali cambiamenti debbano verificarsi nel cervello, per causare il sonno, la veglia e i sogni; in che modo la luce, i suoni, gli odori, i gesti, il calore e tutte le altre qualità degli oggetti esterni possano imprimervi diverse idee mediante i vari sensi; in che modo la fame, la sete e le altre passioni interne possano, anche esse, inviarvi le loro; che cosa dobbiamo intendere per senso comune, il senso dove tutte queste idee sono ricevute; che cosa per memoria, la facoltà che le conserva; e per fantasia, la facoltà che le può in vario modo cambiare e comporne delle nuove, e che, con lo stesso mezzo, può anche, distribuendo gli spiriti animali nei muscoli, far muovere le membra di questo corpo in tante maniere diverse…”[4].

Bastano queste parole per fugare ogni dubbio su quale fosse la ricerca di René Descartes.

Due secoli dopo, lo sfondo culturale sul quale si staglia il pensiero scientifico in Europa è profondamente mutato e, dall’egemonia cristiana nella filosofia e nelle ideologie legate al potere, si è passati alla diffusa prevalenza di un agnosticismo laico nelle istituzioni, come eredità della Rivoluzione Francese, e di un empirismo logico tendenzialmente ateistico nel pensiero scientifico, come effetto del primeggiare delle teorie e della prassi scientifica di oltremanica.

Aveva una solida impostazione razionale e matematica l’abate Gregor Mendel[5] che, fissando nelle sue celeberrime tre leggi, della dominanza, della segregazione e dell’indipendenza, le regole seguite dalla natura nella trasmissione dei caratteri ereditari, aveva aperto la strada alla moderna genetica. Probabilmente condivideva l’impianto evoluzionistico del pensiero di Darwin, per il quale nutriva una grande ammirazione, pur non potendo aspirare ad una sua diretta conoscenza, data la condizione di celebrità e privilegio in cui viveva il nobile inglese, scarsamente propenso a rapporti con sconosciuti che non fossero suoi pari. Mendel conosceva bene l’Origine della Specie di Charles Darwin, come testimoniato da una copia tradotta in tedesco, conservata nella sua aggiornatissima biblioteca presso il Monastero di San Tommaso, dove visse per quasi quarant’anni, fino alla morte. Si tratta della seconda traduzione nella lingua germanica, condotta sulla terza edizione inglese del 1863. Il volume fu letto ed annotato da Mendel anche con doppie sottolineature e punti esclamativi. Dalle annotazioni si evince che l’abate era contrariato per l’idea darwiniana della miscelazione dei caratteri ereditati, perché lui ne aveva accertato la trasmissione indipendente[6].

Per anni, gli storici della scienza si sono chiesti quali sviluppi avrebbe avuto il pensiero del padre dell’evoluzionismo se questi avesse conosciuto le leggi dell’ereditarietà.

E’ documentato che Mendel aveva ordinato quaranta estratti del suo lavoro sugli ibridi da inviare ai più importanti studiosi di scienze naturali del suo tempo: Charles Darwin era fra i destinatari.

In quegli anni lo scienziato inglese, incrociando varietà di bocche di leone con fiori bianchi e rossi, notava che la prima generazione era di soli fiori bianchi, mentre la seconda era composta di fiori rossi e bianchi: il motivo gli appariva incomprensibile. Gli estratti del lavoro mendeliano sulle regole seguite dalla trasmissione dei caratteri negli ibridi, furono ignorati da quasi tutti i riceventi[7] ed è documentata una sola risposta, peraltro non troppo lusinghiera[8]. Non meraviglia, perciò, che l’opuscolo dell’abate, redatto in tedesco, sia stato rinvenuto intonso su uno scaffale della biblioteca darwiniana.

E’ interessante rilevare che Mendel, cristiano, aveva studiato ed accettato le principali tesi della teoria dell’evoluzione[9], mentre Darwin, ateo, non aveva neppure sfogliato l’opuscolo dell’abate contenente la soluzione di un problema che si portò irrisolto nella tomba […].

 

Un testo completo degli argomenti discussi all’incontro sarà presto redatto e messo a disposizione dei soci-membri.

 

Monica Lanfredini

BM&L-Novembre 2007

www.brainmindlife.org

 

 



[1] Lawrence M. Krauss and Richard Dawkins, Should Science Speak to Faith? Scientific American 297 (1), 70-73, 2007.

[2] Il Festival della Creatività, che ha visto quest’anno la sua seconda edizione, si è tenuto a Firenze presso la Fortezza da Basso dal 25 al 28 ottobre scorsi.

[3]Cartesio, Discorso sul metodo - per ben condurre la propria ragione e ricercare la verità nelle scienze, p.74, Mondadori, Milano 1993.

[4] Cartesio, op. Cit., pp. 53-54.

 

[5] Johann Mendel nacque il 20 (alcune fonti riportano il 22) di luglio del 1822, nel villaggio rurale di Heinzendorf (attuale Hynciče) in Slesia, da Anton Mendel e Rosine Schwirtlich. A 21 anni, divenendo frate, assunse il nome di Gregor, italianizzato in Gregorio, con il quale è universalmente conosciuto.

[6] Adriana Giannini, Mendel - Il padre “postumo” della genetica (I grandi della scienza,  n.34). Editoriale “Le Scienze”, Roma 2003.

[7] Ad esempio, nella biblioteca di Anton Kerner von Marilaun dell’Università di Innsbruck, il maggior esperto di ibridi dell’epoca, fu trovato l’estratto di Mendel con le pagine ancora da tagliare.

[8] La meditata e documentata risposta di Karl Wilhelm von Nägeli, si risolve in una serie di contestazioni, alle quali Mendel rispose a sua volta con puntuale precisione scientifica in una lunghissima missiva degna di un articolo, alla quale allegò pacchettini numerati contenenti i semi dei piselli necessari alla ripetizione dei suoi esperimenti per una verifica dei risultati. Non vi fu risposta da parte di von Nägeli a questa lettera e nemmeno a quella successiva in cui l’abate, per attrarre l’attenzione sui suoi nuovi esperimenti condotti nel genere Hieracium, si introduce con una narrazione autobiografica in un accattivante stile letterario.

[9] Si è soliti riferirsi alla complessa articolazione del pensiero darwiniano con l’etichetta di “teoria dell’evoluzione”, anche perché lo stesso Darwin aveva l’abitudine di impiegare l’espressione “my theory”, al singolare, in ogni riferimento al suo paradigma teorico; in realtà si possono distinguere, nell’opera del fondatore dell’evoluzionismo, cinque teorie fra loro indipendenti in termini logici (si veda: “Darwin’s Five Theories of Evolution” alle pagine 97-105 di Ernst Mayr, What Makes Biology Unique. Consideration on the Autonomy of a Scientific Discipline. Cambridge University Press, 2004). Nessuno, tra i maggiori evoluzionisti, ha accettato tutte e cinque le teorie ed alcuni, come De Vries e Morgan, hanno recepito solo la prima, ossia quella del progenitore comune.