BRAIN MIND & LIFE: nuove prospettive per L’encefalopatia da prioni

AGGIORNAMENTO

 

 Firenze, 24 luglio 2004

SCHEDA INTRODUTTIVA

 

Lo stato dell’arte di Stanley B. Prusiner

 

 

La recente scoperta di casi di encefalopatia spongiforme bovina (BSE) negli Stati Uniti, in Canada e in altri paesi finora rimasti indenni, riporta di attualità la necessità di mettere a punto migliori tests di screening e più efficaci norme sanitarie per circoscrivere tanto il pericolo reale, quanto l’allarme diffuso dalle notizie relative ad una condizione poco controllabile.

Sebbene numerosi nuovi tests rendano l’identificazione più rapida di quanto fosse in passato, e sensibile anche a bassi tassi di prione patogeno (PrPSc), sarà necessaria la realizzazione di un esame del sangue che consenta la diagnosi clinica nelle persone affette, oltre che negli animali vivi, soprattutto in vista delle terapie attualmente in fase di sperimentazione.

La rivista Scientific American ha chiesto a Stanley B. Prusiner di fare il punto sulla cosiddetta “malattia della mucca pazza”.

Prima di conseguire il Premio Nobel (1997), Prusiner aveva già scritto due articoli per Scientific American, nel 1984 (S. B. Prusiner Prions, October) e nel 1995 (S. B. Prusiner The Prion Diseases, January); in questa occasione (S. B. Prusiner Detecting Mad Cow Disease, Vol 291, 1, 60-67, July 2004) oltre ad una generale panoramica dei principali problemi patologici, Prusiner mette a fuoco il problema dei tests. La sua attenzione a questo aspetto lo ha indotto a fondare una società, InPro Biotechnology, che offre vari tests per i prioni, alcuni dei quali con licenza della Beckman Coulter.

 

L’articolo di Prusiner offre lo spunto introduttivo per la nostra discussione.

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 TESTS

 

Attualmente sono in uso quattro tipi di test per rilevare la proteina prionica patogena nel tessuto encefalico di bestiame morto. Alcuni di questi tests sono lunghi e costosi, così la ricerca lavora per sviluppare una diagnostica ideale, che potrebbe rilevare anche minime tracce di PrPSc nel sangue e nelle urine.

 

BIOLOGICO – Può richiedere fino a sei mesi per fornire risultati ed è ritenuto molto costoso. Il test si basa sull’inoculazione di campioni di cervello in topi. Il tempo richiesto perché gli animali inoculati sviluppino la malattia, consente di effettuare una stima del grado di infettività del campione.

IMMUNOISTOCHIMICO – E’ considerato lo standard ottimale con il quale si confrontano gli altri tests. E’ il primo test che abbia consentito di rilevare specificamente i prioni. E’ necessario osservare tutti i preparati per il risultato e questo può richiedere anche sette giorni. Non è impiegabile per gli screening di massa.

 

IMMUNOLOGICO – Test rapido, eseguibile entro le otto ore, è impiegato in Europa ed è entrato in uso anche negli Stati Uniti. Funziona solo con alti livelli di PrPSc.

 

IMMUNOLOGICO DIPENDENTE DALLA CONFORMAZIONE (CDI) – Questo test può essere espletato in circa cinque ore. I campioni di tessuto cerebrale dell’animale in esame vengono trattati con composti capaci di separare il prione cellulare innocuo dal PrPSc. Il preparato viene cimentato con anticorpi che emettono fluorescenza quando riconoscono il PrPSc.

E’ un test automatizzato molto sensibile, ovvero in grado di rilevare livelli molto bassi di prione patogeno, fornendo una buona stima quantitativa.

E’ stato approvato per lo screening in Europa e si ritiene che potrà impiegarsi come test ematico appena la ricerca avrà fornito i dati necessari.

 

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Questo schema sui tipi di esami disponibili ci ha introdotto immediatamente al problema clinico ed epidemiologico della diagnosi e della prevenzione, ma, seguendo il professor Prusiner, faremo alcune osservazioni di carattere generale, note a molti tra voi, ma non a tutti.

 

Poiché le malattie da prioni hanno aspetti simili a quelle da virus, molti impiegano analogie virali per descriverle. Ma queste analogie possono indurre in errore. Un esempio è la supposta causa della BSE in Canada e negli USA. Sebbene sia vero che questa sindrome è apparsa per la prima volta nel Regno Unito, e poi si è diffusa altrove, attraverso l’assunzione di carni contaminate da prioni, l’idea di una classica epidemia batterica o virale per interpretarne gli sviluppi può essere utile solo in parte. Infatti sebbene le quarantene ed i divieti sortiscano buoni effetti, non bastano, perché i prioni possono insorgere spontaneamente, importante caratteristica che li distingue dai virus.

A questo proposito bisogna ricordare che il Kuru, che si manifesta con una degenerazione del sistema nervoso centrale, è una malattia spontanea da prione.

La storia della conoscenza di questa patologia è molto interessante, perché è stata l’antropologia a mettere la ricerca sulla giusta pista. Il Kuru decimava una popolazione tribale della Nuova Guinea chiamata “Fore”, presentandosi con sintomi neurologici e con una vera e propria psicosi che precedeva l’esito fatale. Per molto tempo ritenuta malattia genetica, per la sua diffusione limitata a quella piccola popolazione fortemente endogamica, se ne erano addirittura ipotizzate le modalità di trasmissione genica. Gli studi antropologici avevano poi rivelato l’esistenza di un macabro rituale cannibalico presso i Fore, durante il quale, specialmente i maschi guerrieri, mangiavano il cervello dei defunti. Si ipotizzò, così, che il Kuru fosse causato da un virus neurotrofico presente nel cervello e che non si sarebbe altrimenti diffuso in assenza della barbara usanza. La scoperta del prione come causa del Kuru, deve ricordarci che nell’uomo, come in qualsiasi altro animale, può aversi una spontanea transizione dal prione cellulare o normale a quello patogeno, senza un agente infettante proveniente dall’esterno. Nel caso dei Fore, si era avuta una transizione del prione in un soggetto che era andato incontro ad una Human Spongiform Encephalopathy (HSE) o malattia di Creutzfeld- Jacob, poiché alla sua morte molti avevano mangiato del suo cervello e, poi, il loro cervello era stato consumato nei successivi riti funebri, si era determinata una sorta di “epidemia”.

Questo ci ricorda che le misure volte ad impedire la diffusione dei prioni patogeni sono necessarie, ma non eliminano il problema della spontanea trasformazione del prione in agente di malattia.

Al riguardo Prusiner afferma: “Un divieto relativo agli alimenti animali che impedisca alle vacche di mangiare resti di altri animali è cruciale nel prevenire la BSE. Ma un simile bando non eliminerà la presenza di mucche pazze perché i prioni patogeni insorgono spontaneamente. Se ogni anno uno su un milione di esseri umani sviluppa spontaneamente una malattia da prione, perché non dovrebbe accadere la stessa cosa ai bovini? Infatti io sospetto che i casi di encefalopatia spongiforme bovina insorti in Nord America, siano insorti spontaneamente […] Molti preferiscono l’idea che i due casi di mucca pazza in Nord america abbiano acquisito i prioni dagli alimenti. Un simile ragionamento consente di equiparare i prioni ai virus, cioè pensare ai prioni solo come agenti infettivi […] Ma, ignorare i concetti rivoluzionari che governano la biologia dei prioni può soltanto invalidare gli sforzi di sviluppare un programma efficace per proteggere il pubblico americano dall’esposizione a questi agenti mortali”.

E’ opportuno ricordare che le malattie da prioni possono colpire esseri umani ed animali in vario modo. Molto spesso appaiono come “sporadiche”, ovvero casi isolati e non determinati da una causa accertata. L’encefalopatia descritta Creutzfeldt e Jacob, nota come malattia di  Creutzfeldt-Jacob (CJD), è la più frequente malattia da prioni in patologia umana, con un’incidenza approssimativa di uno su un milione, interessando prevalentemente persone in età avanzata.

Le malattie da prioni possono anche derivare da una mutazione nel gene che codifica per la proteina prionica, così come accade in quelle famiglie in cui si trasmette la forma ereditaria di CJD e due altre sindromi, ovvero la Gerstmann-Straussler-Scheinker e la cosiddetta Insonnia Fatale. Attualmente si conoscono più di trenta mutazioni nel gene per la PrP, tutte in grado di condurre a forme di disturbi ereditari rari, stimati nell’ordine di un caso ogni dieci milioni di persone nella popolazione generale. Infine, le malattie da prioni possono avere cause infettive, come nel caso in cui derivino dall’assunzione di cibo costituito da carni o interiora di bovini od ovini contenenti PrPSc. In quest’ultimo caso si configura il quadro della malattia epizootica, ovvero trasmessa da animali affetti all’uomo. Si ricorda in proposito lo scrapie, ossia la forma che colpisce gli ovini, su cui sono state fatte le prime osservazioni, precedenti la rapida diffusione della malattia della “mucca pazza”.

La trasmissibilità era nota da tempo. Studi su animali avevano dimostrato la possibilità di trasmissione mediante trasfusione da animali affetti ad esemplari sani: questa nozione fu all’origine della rigida regolamentazione sulle trasfusioni promulgata dal Regno Unito nel 1966.

 

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OSSERVAZIONI SULLA DIFFUSIONE NEL MONDO

 

Dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della International Organization for Epizootic Diseases e dell’Università della California a San Francisco.

 

Sebbene non si possano considerare equivalenti le possibilità e le capacità diagnostiche in tutti gli stati del mondo, il numero di casi di variante della malattia di Creutzfeldt-Jacob (vCJD), presumibilmente originata da BSE, rimane ovunque estremamente basso.

Alcuni dati fanno riflettere sull’alterazione nella pubblica opinione, per effetto della presentazione da parte dei mass-media, della percezione dell’entità degli eventi.

Ad esempio, ha fatto molto scalpore l’unico caso di BSE rilevato negli Stati Uniti, (dove, peraltro, sono assenti casi di morte per vCJD: l’unico sospettato è un cittadino britannico), al contrario della Francia con 891 casi di BSE e con il record negativo di morti (sei casi) da vCJD dopo il Regno Unito, si parla poco.

Si deve rilevare che nei 27 paesi colpiti, secondo l’OMS, 20 non hanno fatto registrare alcun decesso e, gli altri 5, uno soltanto.

Il Regno Unito ha avuto 183.803 casi di BSE, con la morte di 141 persone su un totale di 151 nel mondo intero.

 

BM&L-luglio 2004