BASI DELLE SCELTE CHE INCIDONO SUL VALORE

 

 

La psicologia ci mostra quanto vasta e complessa sia la realtà che sottende le nostre decisioni coscienti, da quelle più minute e ordinarie fino a quelle che condizionano un’intera esistenza.

Per gestire le innumerevoli decisioni quotidiane, il cervello deve assegnare un valore attuale ad ogni opzione disponibile; queste operazioni, influenzate da molti fattori, costituiscono un oggetto sperimentale di grande interesse perché sono alla base di una parte considerevole dell’attività cognitiva automatica e volontaria.

Fin dagli anni Novanta, il progresso delle conoscenze in neurobiologia e neurofisiologia, ha favorito l’affermarsi della convinzione che le scelte siano eseguite mediante automatismi neurali comuni e indipendenti dalla rappresentazione culturale delle questioni in oggetto. In altre parole, la decisione del piatto da ordinare ad un pranzo al ristorante e la risoluzione di dichiarare una guerra ad uno stato nazionale per la rottura delle trattative, avrebbero un’identica base neurale nella loro esecuzione. Se si dà credito a questo punto di vista, si accresce l’importanza dei processi che precedono la fase esecutiva e, in particolare, di quelli che concorrono a definire differenze e preferenze sia in base al patrimonio genetico ed appreso, sia in base alle condizioni ed alle circostanze in cui avviene la scelta.

Il valore percepito ed attribuito alle opzioni in campo ha dunque la massima importanza e, pertanto, si ritiene che definirne la base neurale in vivo possa aiutare a comprendere la logica neurale di molti processi cognitivi. Un aspetto rilevante, in proposito, è costituito dalla circolarità di nesso fra valore e scelta, ossia non accade solo che si scelga in base all’attribuzione di una stima, ma anche che si stimi in base a una scelta compiuta.

Ad esempio, quando si è costretti a selezionare una fra varie possibilità ugualmente attraenti, si può essere a lungo indecisi ma, allorquando la scelta sia stata compiuta, le aspettative circa il valore di ciò che si è scelto tendono ad essere maggiori di quelle nutrite per il valore delle opzioni escluse.

Sharot, De Martino e Dolan del Wellcome Trust Centre for Neuroimaging, Institute of Neurology, University College of London, hanno studiato mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI, da functional Magnetic Resonance Imaging) l’encefalo di volontari impegnati nel valutare quanto avrebbero gradito trascorrere le vacanze in varie destinazioni, ed hanno comparato i quadri funzionali rilevati prima e dopo aver scelto fra due località ugualmente apprezzate (Sharot T., De Martino B., Dolan R. J. How choice reveals and shapes expected hedonic outcome. Journal of Neuroscience 29, 3760-3760, 2009).

E’ emerso che le dimensioni relative dei segnali dipendenti dal livello di ossigeno ematico (BOLD) nel nucleo caudato, registrate alla presentazione iniziale delle località turistiche, consentivano di prevedere le scelte successive. Come i ricercatori si attendevano, dopo aver operato la selezione, i volontari conferivano alle località prescelte un valore maggiore di quello attribuito alle destinazioni scartate.

Le differenze nel segnale BOLD rilevato in corrispondenza del nucleo caudato fra le località prescelte e quelle escluse sono aumentate dopo la selezione, suggerendo che l’atto della scelta può incidere sulla rappresentazione neurobiologica del valore di un’opzione.

La nostra tendenza ad attribuire ad un oggetto di nostra proprietà, quando lo poniamo in vendita, un valore maggiore di quello che attribuiremmo da acquirenti ad oggetti equivalenti, è definita “endowment effect” (endowment = dote, dotazione) e si ritiene che origini dal fatto che il valore di un oggetto rispetto ad un punto di riferimento, che in questo caso è il possesso, vari al variare della posizione individuale di venditore o acquirente[1]. In uno studio recente, De Martino e collaboratori del California Institute of Technology (CIT) di Pasadena, hanno chiesto a dei volontari quanto sarebbero stati disposti ad accettare in pagamento o quanto sarebbero stati disposti a spendere, per biglietti di lotterie con montepremi diversi (De Martino B., et al. The neurobiology of referenced-dependent value computation. Journal of Neuroscience 29, 3760-3760, 2009).

Lo studio dell’encefalo mediante fMRI dei partecipanti ha evidenziato che l’attività nella corteccia orbitofrontale e nello striato dorsale rifletteva parametri quali il valore atteso dei biglietti della lotteria, mentre l’attività nello striato ventrale correlava strettamente con la tendenza comportamentale all’ipervalutazione dell’oggetto di transazione nella posizione di venditore ed alla sottovalutazione in quella di acquirente, così suggerendo che l’attività dei neuroni di questa parte dei nuclei della base encefalica contribuisca alla valutazione dipendente dal riferimento.

Presi insieme, i due lavori forniscono un’indicazione anatomica alla ricerca finalizzata all’individuazione delle basi biologiche della codificazione del valore nel cervello e delle variazioni della rappresentazione del valore per effetto di precedenti decisioni o influenze contestuali.

 

L’autrice della nota, che ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza, invita i visitatori del sito a leggere le numerose recensioni di argomento connesso pubblicate nelle nostre “Note e Notizie”.

 

Diane Richmond

BM&L-Maggio 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 



[1] Prospettive teoriche diverse consentono di proporre altre interpretazioni ed osservazioni: 1) un oggetto posseduto è un oggetto “investito” affettivamente e, pertanto, di maggior valore percepito da parte del possessore; 2) l’attribuzione di un prezzo e più in generale la stima economica, sono da alcuni interpretati come l’esercizio di un potere di affermazione di sé collegato all’autostima e all’identità e, dunque, il maggior valore di ciò che è posseduto o semplicemente trattato, esprime un’affermazione di sé nel rapporto col mondo; in tali  casi l’ipervalutazione può essere razionalizzata come un “dovere” legato a un ruolo e rivestita da una caratterizzazione asetticamente professionale; 3) la sovrastima di ciò che appartiene a sé può essere conseguenza di un generale rapporto conflittuale con l’altro, che presuppone un’inferiorità avvertita dal possessore e un tentativo di compenso mediante la cosa posseduta; ecc. (Per maggiori dettagli si veda G. Perrella, Valore di sé e valore degli oggetti: dalle interpretazioni psicoanalitiche alle basi neurobiologiche delle scelte. BM&L-Italia, Firenze 2003).