SARS e Psicologia

 

E’ nozione nota in microbiologia e in infettivologia che l’acquisizione da parte di un microrganismo di potere invasivo e patogeno per una specie, procura maggiori danni nelle fasi iniziali, quando il sistema immunitario dell’ospite non conosce l’agente microbico. Il persistere di un batterio, di un virus, di un protozoo o di un micete in una popolazione determina la “conoscenza” immunologica, fino a delle vere e proprie “vaccinazioni” naturali. Questo è un meccanismo non acuto, lento e noto da tempi antichi, che interviene nella limitazione degli effetti delle nuove malattie infettive. D’altra parte la forma acuta più devastante, ovvero l’epidemia, agisce operando una selezione sugli individui di una specie, perché quelli naturalmente resistenti sopravvivono; per cui dopo il decesso di quelli geneticamente più vulnerabili la mortalità si riduce drasticamente. Inoltre, un altro fattore di limitazione è dato dall’equilibrio microrganismo-ospite, particolarmente delicato per i parassiti endocellulari obbligati che, come si suol dire, non tendono ad uccidere l’organismo che consente loro di vivere.

Tutto ciò senza considerare i farmaci. E’ vero che nel caso dei virus non disponiamo, come per i batteri, di antibiotici e chemioterapici in grado di uccidere con grande efficacia l’agente patogeno, ma è anche vero che una buona percentuale di decessi nelle malattie virali è dovuta a complicanze batteriche e che una serie di rimedi e qualche farmaco di una certa efficacia, può essere impiegato anche nel supporto all’azione difensiva dell’organismo contro i virus.

Assumendo questa prospettiva e considerando il numero di casi dell’attuale epidemia di Severe Acute Respiratory Sindrome (SARS), molti esperti hanno criticato la misura straordinaria, presa per la prima volta nella sua storia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), di dichiarare l’Allarme Globale o Mondiale. Esaminando freddamente i dati si deve riconoscere che in altri casi (per l’AIDS, ad esempio) sussistevano ragioni scientifiche e condizioni epidemiologiche ben più preoccupanti, ma non è stato dichiarato lo stato di massima allerta.

Per questo si è parlato di ragioni emotive e psicologiche all’origine della grave decisione. A tal proposito si potrebbero scrivere saggi interi di psicologia sociale e di antropologia per discutere del mutato atteggiamento che il genere umano, medici compresi, ha nei confronti della malattia; si potrebbe citare l’indisponibilità a morire di infezioni come millenni fa, perché la cultura di massa ha acquisito i modelli delle malattie infettive in costante congiunzione con le loro cure; si potrebbero cercare e scovare ragioni collettive di ogni genere, come recentemente è stato fatto.

Si può anche fare un’osservazione apparentemente più banale ma, a modesto avviso di chi scrive, relativa al motivo che ha realmente determinato la decisione. A marzo uno degli infettivologi di vertice dell’OMS è stato colpito dalla SARS ad Hanoi e ne è morto, casi simili di specialisti in malattie infettive dell’OMS si sono avuti ad Hong Kong nello stesso periodo e, secondo quanto afferma Barry R. Bloom della School of Public Health di Boston, anche in Cina. Coloro che hanno preso la decisione hanno avuto molte vittime nelle loro stesse file, nel giro di pochi giorni: questo non era mai accaduto nella storia dell’OMS.

 

                                                                                                                BM&L-Maggio 2003