Identificato un gene controllore di tutti i ritmi circadiani  

 

 

Negli anni Settanta ed Ottanta i ritmi circadiani, ossia le variazioni ritmiche di produzione e attività di molecole biologiche nelle 24 ore, erano tanto di moda che nascevano come funghi in tutto il mondo riviste e società scientifiche su questo argomento. Chronobiology, la prima e più autorevole pubblicazione specializzata, diventò un “must” per ricercatori e medici. Era difficile partecipare ad un convegno e non trovare, sugli argomenti più disparati, almeno una relazione di argomento cronobiologico; così come era impensabile che una nuova ipotesi in fisiologia non facesse i conti con i ritmi circadiani, mensili o annuali.

Purtroppo la parte del leone, in questo fenomeno, l’aveva avuta l’amplificazione mass-mediatica, in grado di influenzare le fonti di finanziamento della ricerca, così si era creata una sorta di fenomeno di costume: divi dello spettacolo, dello sport, della televisione, facevano sapere di essere attenti ai propri ritmi biologici e di frequentare palestre e centri di benessere che ne tenessero conto; spiegavano che l’affidabilità professionale di un dietologo o di uno psichiatra era sostanzialmente data dalla sua competenza in questo campo. Come in tutti i grandi fenomeni di mercato, la “merce” che crea tendenza determinò fenomeni quali l’effetto “alone” e l’effetto “traino”, che consentirono di vendere imitazioni e contraffazioni. La fervida fantasia dei ciarlatani immediatamente “pataccò” i ritmi circadiani con un equivalente alternativo, i “bioritmi”, ovviamente collegato alle millenarie e sempreverdi cialtronate astrologiche. Programmi televisivi e rubriche giornalistiche presentavano i grafici delle oscillazioni settimanali, mensili e annuali di calciatori, ballerini o cantanti. In breve i bioritmi e tutta la caterva di sciocchezze che li accompagnava, seppellirono quel poco di informazione scientifica che era giunta al grande pubblico su questo affascinante argomento di fisiologia animale ed umana.

La moda finì, così che negli anni Novanta lo studio biochimico e genetico secondo il parametro tempo era ridotto ad argomento di nicchia.

Non è accettabile che la comunità scientifica internazionale si lasci condizionare dalle mode e dalle strumentalizzazioni che servono interessi estranei alla conoscenza, tanto da trascurare ricercatori e ricerche che oggi, con i loro risultati, danno risposta a molti degli interrogativi formulati nei decenni passati.

La ricerca di cui diamo conto qui di seguito è la punta emergente di un iceberg di studio e lavoro ingiustamente trascurato, i cui dati offrono nuove ed affascinanti prospettive per la comprensione di una grande quantità di fenomeni fisiologici e patologici.

Il sistema che controlla nei mammiferi i ritmi circadiani è molto simile a quello della Drosophila Melanogaster, il moscerino della frutta, “cavia” preferita dei genetisti. Nella Drosophila una serie molto complessa di cicli a feed-back è alla base della regolazione dell’espressione dei geni circadiani. Il Clk (transcriptional activator clock) ha sia il ruolo di attivatore trascrizionale che quello di inibitore di questi cicli e potrebbe essere il fattore limitante per l’eterodimero fondamentale CLK/CYC. Quest’ultimo ruolo ha fatto ipotizzare che Clk sia il regolatore al vertice della gerarchia di controllo, il “master circadian control gene”, come dicono i ricercatori americani.

Zhao e i suoi collaboratori hanno ideato una prova molto ingegnosa per testare questa ipotesi e, ancora, un test di riscontro per verificare se un altro importante gene con funzione di orologio potesse assumere lo stesso ruolo (Zhao J. e coll., Drosophila Clock can generate ectopic circadian clocks. Cell 113, 755-766, 2003). La sperimentazione, condotta in maniera brillante, non lascia adito a dubbio, tanto che Nick Campbell, che ha recensito il lavoro per Nature Reviews Genetics, parla di scoperta della funzione di master clock del Clk in Drosophila da parte dell’équipe di Zhao.

Questo risultato, oltre ad essere estremamente interessante per le implicazioni che può avere nello studio del sistema di controllo dei geni circadiani nell’uomo, è anche affascinante perché ci rivela un’organizzazione molto simile a quella che recentemente è stata scoperta per i geni che controllano lo sviluppo.

Ci auguriamo che i comitati di redazione delle riviste scientifiche divulgative e gli autori dei manuali universitari si accorgano di queste ricerche e ne diffondano la conoscenza, per rimediare almeno in parte al paradosso per cui, quando si sapeva poco o nulla di ritmi circadiani ed orologi biologici, tutti ne parlavano mentre ora, in presenza di una vasta conoscenza e di scoperte di importanza cruciale, nessuno ne parla e ne scrive più.

 

BM&L-Settembre 2003