COME LA RIDUZIONE DI CIBO ALLUNGA LA VITA

 

 

Ero appena diciannovenne quando ho imparato da Erspamer che un vecchio trucco di laboratorio per allungare la vita dei topi consisteva nel dimezzargli la razione di cibo; ero così affascinato dalla causa di questo fenomeno da proporlo ai miei docenti dell’epoca come oggetto di studio, anche se non era compatibile con i fini e i programmi di ricerca del nostro istituto. Nel tempo, ho appreso che il prolungamento della vita dovuto a restrizioni alimentari è stato accertato in molte specie animali. Nei decenni seguenti, nonostante gli straordinari progressi nella conoscenza del controllo genetico del metabolismo, del ciclo cellulare e dei fattori che incidono su invecchiamento e durata della vita, non si è riusciti a risalire ai meccanismi mediante i quali mangiare di meno fa vivere di più.

Bishop e Guarente sembra che abbiano risolto il mistero almeno in una specie animale, tracciando la via da seguire per gli studi nelle altre specie: alla base vi sarebbe, in Caenorhabditis elegans, l’attivazione di un fattore di trascrizione in due particolari neuroni (Bishop N. A. & Guarente L. Two neurons mediate diet-restriction-induced longevity in C. elegans. Nature 447, 545-549, 2007).

Dopo aver confermato l’effetto di longevità da restrizione alimentare in Caenorhabditis elegans, sperimentando la riduzione del suo abituale cibo batterico, i due ricercatori hanno focalizzato l’attenzione sul fattore di trascrizione SKN-1 che, oltre ad avere un ruolo nell’embriogenesi, partecipa alla regolazione dello stress ossidativo, un processo in stretta relazione con l’invecchiamento.

Caenorhabditis elegans, una delle “cavie” preferite dalle neuroscienze dell’ultimo decennio, è un nematode di circa 200 μm di lunghezza, costituito da 959 cellule somatiche, 302 delle quali sono neuroni, ripartiti in ben 118 classi che formano circa 5600 sinapsi e 2000 giunzioni neuromuscolari. Questa schematica semplicità ha consentito di elaborare un modello completo del genoma, dell’anatomia e dello sviluppo, sul quale si può agevolmente sperimentare mediante metodiche genetiche, tecniche di ablazione laser e analisi chimica.

I ricercatori hanno rilevato che due mutazioni del gene skn-1 (zu135 e zu169) impedivano l’allungamento della vita dei vermi sottoposti a restrizione dietetica, ma non producevano effetti sui nematodi a dieta normale. Se ne deduceva un probabile ruolo del gene skn-1 dipendente dalla restrizione dietetica. Inserendo un transgene esprimente SKN-1 nei vermi portatori dei geni difettosi, si ristabiliva l’estensione di lifespan con la riduzione del cibo, confermando il ruolo di skn-1.

DAF-16, noto mediatore della longevità di C. elegans, è risultato estraneo al processo dipendente dalla restrizione dietetica.

Il gene skn-1 codifica per tre isoforme: SKN-1A, SKN-1B e SKN-1C. Bishop e Guarente hanno dimostrato che la proteina SKN-1B è espressa esclusivamente in due neuroni sensoriali ASI, mentre SKN-1C è esclusiva dell’intestino.

A questo punto la sperimentazione è stata volta a stabilire quale delle due isoforme abbia un ruolo preminente nella genesi dell’effetto.

E’ risultato che la riespressione di skn-1b nei neuroni ASI dei vermi portatori della mutazione inattiva skn-1(zu135), ristabiliva l’effetto, mentre la riespressione dell’isoforma intestinale rimaneva inefficace; inoltre la restrizione alimentare aumentava l’espressione di skn-1b nei due neuroni ASI, ma non aveva effetto su skn-1c dell’intestino.

Per avere una riprova del ruolo dei neuroni ASI, i ricercatori li hanno eliminati mediante microraggi laser. Il risultato è stato sorprendente perché, se era prevedibile che l’eliminazione delle due cellule nervose abolisse l’effetto prodotto dalla riduzione di cibo, come infatti è accaduto, non era immaginabile che prolungasse la vita nei vermi a dieta normale.

La maggiore durata della vita indotta dalla distruzione dei due neuroni è risultata dipendere dal gene daf-16.

Si può dunque dedurre che l’influenza dei neuroni ASI si esplica in due diversi modi:

a) agendo sulla durata di base della vita (basal lifespan) mediante DAF-16;

b) traducendo gli effetti della restrizione dietetica sulla durata della vita (diet restriction-dependent lifespan) mediante SKN-1B.

Ma qual è il meccanismo che consente ad un fattore di trascrizione localizzato in due neuroni di influenzare la durata della vita dell’intero organismo?

Bishop e Guarente hanno rilevato che la restrizione dietetica generava un aumento globale del consumo di ossigeno. Gi esperimenti successivi hanno dimostrato che l’espressione di SKN-1B era in grado di tradurre la riduzione di cibo in un’aumentata attività mitocondriale.

E’ noto che la riduzione dell’attività mitocondriale è associata al processo di invecchiamento, pertanto è lecito ipotizzare che la riduzione di cibo, attraverso SKN-1B, rallenti questo processo.

La proiezione di questi risultati sui mammiferi offre uno spunto straordinario alla ricerca: individuare i neuroni cerebrali che fungono da sensori delle restrizioni dietetiche e, inviando una specifica segnalazione di aumento dell’attività mitocondriale ai tessuti periferici, determinano un allungamento della vita.

 

L’autore della nota ringrazia Diane Richmond e Roberto Colonna con i quali ha approfondito e discusso gli argomenti e i risultati della ricerca più strettamente correlati con il lavoro qui recensito.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Settembre 2007

www.brainmindlife.org