LA RICERCA SULLA PEDOFILIA

 

(SECONDA PARTE)

 

Attualmente la pedofilia è classificata fra le parafilie nel Manuale Diagnostico e Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM nella versione IV-TR, codice F65.4, corrispondente al 302.2 dell’ICD-10 dell’OMS), nel quale si legge: “La focalizzazione parafilica della Pedofilia comporta attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli). Il soggetto con Pedofilia deve avere almeno 16 o più anni, e deve essere di almeno 5 anni maggiore del bambino. Per i soggetti tardo-adolescenti con Pedofilia, non viene specificata una precisa differenza di età, e si deve ricorrere alla valutazione clinica; bisogna tener conto sia della maturità sessuale del bambino che della differenza di età. I soggetti con Pedofilia di solito riferiscono attrazione per bambini di una particolare fascia di età. Alcuni soggetti preferiscono i maschi, altri le femmine, e alcuni sono eccitati sia dai maschi che dalle femmine […]”.

E nello schema dei “criteri diagnostici” si precisa:

“A. Durante un periodo di almeno 6 mesi, fantasie, impulsi sessuali, o comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano attività sessuale con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli).

B. La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali o gli impulsi o le fantasie sessuali causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali.

C. Il soggetto ha almeno 16 anni ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei bambini di cui al Criterio A.”[1]

Lasciamo al lettore una riflessione critica sulla concezione che ha ispirato la commissione del DSM, ci limitiamo solo ad osservare che, discostandosi dalla tradizione delle grandi scuole di psichiatria mitteleuropea che caratterizzavano il disturbo in base a specifici aspetti qualitativi del funzionamento psichico[2], l’associazione degli psichiatri americani tende a privilegiare criteri come la definizione della durata, i limiti di età e la differenza in anni perché una persona che commette un abuso si possa considerare un pedofilo. Una tale impostazione fa pensare più alla legislazione penale, o tutt’al più alla psichiatria forense, che a una semeiotica che indirizzi la diagnostica psicopatologica.

 

LA PROSPETTIVA BIOLOGICA. La maggior parte dei ricercatori ritiene che la pedofilia, al pari di altri tratti psicologici complessi, origini da una combinazione di fattori genetici e ambientali, nessuno dei quali sarebbe sufficiente da solo a produrre la tendenza sessuale anomala. In altre parole, si ritiene che un particolare genotipo presente alla nascita o un fenotipo cerebrale che si manifesti in età evolutiva, così come un particolare tipo di esperienza, non possano singolarmente considerarsi causa di pedofilia. E’ tuttavia opinione comune che l’individuazione di componenti biologiche favorenti o necessarie ma non sufficienti possa aiutare a comprendere l’origine del disturbo.

Un gruppo della Johns Hopkins School of Medicine guidato da Fred Berlin, impiegando questionari per la raccolta e lo studio di dati familiari, ha rilevato una frequenza più elevata di pedofilia nelle famiglie della parentela stretta di pedofili che nelle altre. Su questa base si riteneva possibile accertare dei fattori genetici comuni, ma non è stata trovata alcuna variante genica associabile alla pedofilia. Naturalmente gli studi proseguono, anche in considerazione del fatto che l’esito negativo potrebbe spiegarsi con l’attuale mancanza di dati che orientino sul target genetico da ricercare.

Alcuni studi condotti a partire dal 2002 hanno collegato traumi cerebrali infantili con lo sviluppo della pedofilia. Ray Blanchard e colleghi dell’Università di Toronto, confrontando le anamnesi di 400 pedofili con quelle di 800 non-pedofili, hanno rilevato che i primi avevano un tasso molto più alto di incidenti traumatici con perdita della coscienza prima dei sei anni di età. Nello studio, gli incidenti erano anche associati ad un più basso livello di prestazioni intellettive e a un minore grado di istruzione. Gli stessi autori notano che il loro lavoro non dimostra un nesso di causalità fra le lesioni traumatiche e lo sviluppo della pedofilia, e si può ipotizzare che la presenza di un difetto congenito che predisponga all’alterazione dell’orientamento sessuale renda anche più vulnerabili agli incidenti.

L’associazione fra pedofilia e disturbo dell’attenzione con iperattività (ADHD) ha fatto molto discutere.

 

[continua] 

 

La curatrice della nota ringrazia il Presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, Giuseppe Perrella, autore della relazione qui sintetizzata e divisa in parti per i visitatori del sito.

 

Isabella Floriani

BM&L-Luglio 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: SINTESI DI UNA RELAZIONE DI AGGIORNAMENTO]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Si veda in DSM-IV-TR Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – Masson, Milano 2001, alle pp. 610-611. A parte le imprecisioni di carattere formale nella resa in lingua italiana del testo inglese, possono essere mosse varie critiche sostanziali, fra cui l’arbitraria adozione della durata di sei mesi come criterio temporale per formulare la diagnosi. Per una discussione più generale sulla necessità di una nuova concezione per lo studio dei disturbi sessuali si rimanda ancora alla scheda introduttiva dell’aggiornamento già citato nel testo: Aggiornamenti – Sesso e Psicopatologia – Necessità di una nuova concezione.

[2] Ad esempio, un masochista non è una persona che si fa del male o accetta passivamente il dolore, ma qualcuno il cui funzionamento psichico è caratterizzato dal provare piacere, soddisfazione o gratificazione nell’infliggersi o nel subire una sofferenza, ed ha in questa forma paradossale di reazione una componente del proprio equilibrio psicoadattativo.