RIBOTIDE, UN PONTE FRA CERVELLO E PRESSIONE ARTERIOSA

 

 

Giovanni Rossi di BM&L-Life Italia, presentando i risultati delle ricerche condotte alla Mount Sinai School of Medicine e pubblicati alcuni giorni fa su Proceedings of the National Academy of Sciences, ha parlato di importante scoperta.

Da decenni, dice Giovanni Rossi, sapevamo che quando un particolare recettore cerebrale viene stimolato in eccesso, si ha vasocostrizione ed innalzamento della pressione arteriosa. Da tempo questo dato veniva incluso nelle evidenze circa l’importanza dei meccanismi psicosomatici nell’ipertensione, ma non si poteva dire nulla di preciso, non conoscendo né il neurotrasmettitore protagonista dell’effetto, né, più in generale, la fisiologia di questo fenomeno.

Un gruppo di ricerca condotto George Prell, che è un professore associato di farmacologia e chimica biologica presso la Mount Sinai, ha identificato la molecola che si lega ai recettori imidazoli(ni)ci, ampiamente diffusi nel cervello e mediatori dell’effetto di aumento della pressione arteriosa. Gli studiosi -ha spiegato Rossi- hanno sperimentato delle molecole simili a quel composto che chiamavamo NAD (Nicotinamide Adenin Dinucleotide), indicati col nome di ribotidi ed hanno trovato che l’imidazol-4-acetato ribotide (Ribotide) si lega a quei recettori imidazolici presenti in aree dei nuclei del Tronco Encefalico ritenute importanti nella regolazione della pressione sanguigna, determinando l’innalzamento della pressione.

Oltre ad aver identificato con certezza il neurotrasmettitore, ne hanno dimostrato con precisione l’effetto impiegando degli antagonisti del Ribotide che impedivano l’innalzamento della pressione.

Un’altra importante funzione di questa molecola, cioè l’imidazol-4-acetato ribotide, che funge da neurotrasmettitore, consiste nel legarsi ad un’altra classe di recettori imidazoli(ni)ci in grado agire sul rilascio di insulina, l’ormone che, come è noto, favorisce l’ingresso nelle cellule di glucosio, riducendone la concentrazione nel sangue. Si è visto che bassi tassi di Ribotide stimolano l’azione dell’insulina, mentre alti tassi ne bloccano l’effetto determinando iperglicemia, la principale alterazione nelle malattie diabetiche.

Questi effetti hanno portato gli autori di questo studio a supporre che l’effettore molecolare alla base della frequente associazione ipertensione-diabete sia proprio il Ribotide.

Sarebbe interessante studiane la fisiologia nelle persone affette da “Sindrome X”, ovvero l’associazione genetica di ipertensione, obesità e diabete.

Giovanni Rossi rileva che alla conferenza tenuta da George Prell, gli autori di questo studio avanzano l’ipotesi che alterazioni legate al Ribotide, quali eccessiva espressione dei suoi recettori e/o sua produzione in eccesso, possano spiegare la patogenesi dell’ipertensione essenziale, ovvero di quella forma di malattia ipertensiva la cui precisa causa non è stata ancora accertata.

D’altra parte, se questa ipotesi sarà confermata, sarà più facile spiegarsi l’estrema influenzabilità di questa forma di ipertensione da parte di esperienze emozionali, come rabbia o paura, condizioni affettive, come il persistere di sentimenti di rancore o timore di cui non si ha immediata consapevolezza e stati di coscienza come quelli che accompagnano varie patologie psichiatriche.

Prell -dice Giovanni Rossi- da buon farmacologo fa notare che l’anti-ipertensivo clonidina, noto ed impiegato da lungo tempo, agisce anche sui recettori imidazolici del Ribotide. In altre parole, fra i vari bersagli della sua azione farmacodinamica la clonidina ha il recettore imidazoli(ni)co su cui agisce spiazzando il Ribotide di cui previene l’effetto.

La clonidina, ma molti altri anti-ipertensivi di vecchia generazione agenti sul sistema nervoso, presenta una grande quantità di effetti collaterali indesiderati o tossici, probabilmente dovuti al suo legame poco discriminato con diversi tipi recettoriali. Pertanto uno degli obiettivi futuri potrebbe consistere nel realizzare farmaci selettivi per il recettore del Ribotide, in altre parole antagonisti super-selettivi del Ribotide.

Secondo Giovanni Rossi, George Prell dovrebbe, però, prima dimostrare che nel complesso bilancio di meccanismi di regolazione della pressione arteriosa, l’alterazione legata al Ribotide abbia effettivamente ruolo patogenetico preminente nella realtà clinica.

 

BM&L-Settembre 2004