MEMORIA SPAZIALE
PERDUTA: ESPERIMENTI DI RECUPERO
Nella semeiotica neuropsicologica classica la perdita dei
ricordi costituitisi nel passato prende il nome di amnesia retrograda,
mentre la perdita della capacità di apprendere e ricordare, ovvero fissare il
ricordo nel presente, prende il nome di amnesia
anterograda.
Se l’uso di questa distinzione terminologica e concettuale è quasi desueta
nelle valutazioni cliniche, in quanto si preferiscono definizioni più
analitiche e rispondenti al dettaglio delle conoscenze attuali, nella
sperimentazione animale mantiene intatta la sua utilità di paradigma
dicotomico.
Esperimenti condotti nel ratto tentano di dare risposta ad un vecchio
quesito sulla natura dell’amnesia retrograda,
ovvero se questa sia originata da alterazione del cosiddetto storage
(immagazzinamento) della memoria o del suo recupero. In parole semplici, ci si
chiede se nell’amnesia retrograda i ricordi siano stati cancellati o siano
intatti ma non si riesca più ad accedervi, a riattualizzarli, a riportarli alla
coscienza.
In uno studio condotto da
L. de Hoz e collaboratori (Forgetting, reminding and remembering: the retrieval
of lost spatial memory. PloS Biol. 2, 1233-1242, 2004) si impiegavano dei ratti
nei quali si era indotta, mediante una lesione parziale dell’ippocampo,
un’amnesia retrograda sperimentale per il ricordo della posizione di una
piattaforma. I risultati di questa ricerca dimostrano la presenza di
un’alterazione del recupero del ricordo; pertanto gli autori ipotizzano che la
compromissione dei processi di rievocazione abbia un ruolo nell’amnesia
retrograda.
Le osservazioni e le critiche di merito e di metodo che si potrebbero
muovere a ricerche come questa sono numerose ed esulerebbero dai limiti della
nostra nota recensiva. Pertanto ci limitiamo ad una osservazione sull’assunto
-preso a prestito da modelli neuropsicologici del passato-
dell’esistenza di vie e funzioni nervose discrete ed indipendenti per il
mantenimento ed il recupero di quanto si è appreso. Infatti, non è stata ancora
dimostrata l’esistenza di un processo neurofunzionale di recupero indipendente
dal ricordo, come una sorta di gancio che peschi il giusto pacchetto in una
scatola.
Piuttosto, da decenni si sono accumulate prove che il ricordare ha a che
fare sempre con una ri-attivazione di circuiti, di collegamenti sinaptici, di
tipologie funzionali che hanno codificato l’esperienza originaria. Questa,
quanto più è nuova e complessa, tanto più si traduce in una modificazione
strutturale apprezzabile. Il suo recupero sembra essere sempre in rapporto con
una nuova attivazione delle strutture
modificate. Per questo la base neurobiologica della rievocazione viene
interpretata, in genere, secondo una gamma concettuale che va dalla ripetizione alla ricostruzione.
BM&L-Ottobre 2004