UNA CAUSA DI RECIDIVA DELLA SCLEROSI MULTIPLA

 

 

Numerose evidenze cliniche hanno indotto i neurologi a ritenere che le recidive tipiche dell’andamento della sclerosi multipla possano essere precedute da processi infettivi ad eziologia virale o batterica e, secondo un’ipotesi estesamente condivisa, tali infezioni avrebbero un ruolo patogenetico nella ripresa della malattia. Ma, anche se già da tempo i clinici suggeriscono precauzioni per la profilassi delle infezioni al fine di prevenire le recidive, fino ad oggi non si aveva una conferma sperimentale di tale ipotesi. Nel tempo, i principali ostacoli alla verifica di laboratorio sono stati originati dalla mancanza di adeguati modelli sperimentali della malattia e di tecniche di neuroimaging soddisfacenti. Recentemente, Serres e collaboratori del Dipartimento di Fisiologia, Anatomia e Genetica dell’Università di Oxford, impiegando l’immunoistochimica e la MRI (magnetic resonance imaging), hanno studiato gli effetti di un’endotossina sistemica su due modelli sperimentali della malattia rispondenti a due diversi criteri patogenetici, ed hanno ottenuto risultati molto convincenti (Serres S., et al. Systemic inflammatory response reactivates immune-mediated lesions in rat brain. Journal of Neuroscience 29, 4820-4828, 2009).

I ricercatori di Oxford hanno studiato, prima e dopo l’induzione di una risposta infiammatoria sistemica, ratti portatori dei seguenti due tipi di sclerosi multipla sperimentale:

1) un modello di encefalomielite autoimmune sperimentale denominato pattern-II-type focal myelin oligodendrocyte glycoprotein-experimental autoimmune encephalomyelitis model (P-II-FMOG-EAE);

2) un modello caratterizzato da una risposta di ipersensibilità ritardata e comunemente indicato come pattern-I-type delayed type hypersensitivity response model.

Nel primo dei due modelli, ossia quello basato sulla risposta autoimmune focale alle glicoproteine oligodendrocitarie (P-II-FMOG-EAE), l’iniezione sistemica di endotossina ha causato un aumento del volume ematico cerebrale regionale (rCBV) intorno ai siti di lesione dopo 6 ore, insieme con una riduzione nella MTR (magnetization tranfer ratio) del corpo calloso leso. A queste prime risposte, dopo circa 24 ore dall’iniezione di endotossina, ha fatto seguito un aumento della diffusione dell’H2O tessutale all’interno delle lesioni mieliniche e il reclutamento di nuovi leucociti, come è stato possibile documentare sia istochimicamente che tracciando, per il rilievo MRI, i macrofagi mediante ferro superparamagnetico (ultrasmall superparamagnetic iron oxide-labeled macrophages).

E’ importante notare che i ricercatori di Oxford, impiegando glico-nanoparticelle coniugate al sialil-Lewis(X)[1] rilevabili alla MRI, hanno documentato l’espressione in vivo di E-settina e P-selettina[2] in lesioni quiescenti.

In sintesi, l’iniezione di endotossina sistemica ha prodotto l’espressione di CAM, il reclutamento di cellule infiammatorie e un’accentuazione della demielinizzazione in corrispondenza di lesioni quiescenti, insieme con un altro segno inequivocabile di riattivazione della lesione: aumento distrettuale del flusso sanguigno all’interno del perimetro della placca demielinizzata e nei territori immediatamente circostanti.

Questi risultati potrebbero spiegare, almeno in parte, come le lesioni quiescenti della sclerosi multipla possano rapidamente riavviare i processi di reclutamento cellulare.

Nel secondo modello (pattern-I-type delayed type hypersensitivity response model), Serres e colleghi hanno rilevato un effetto dell’endotossina sul volume ematico regionale (rCBV) simile a quello rilevato nei ratti del primo modello, insieme con una rottura ritardata della barriera emato-encefalica, cosa che dimostra che l’infezione sistemica può alterare la patogenesi di lesioni simili a quelle della sclerosi multipla, indipendentemente dall’eziologia.

I risultati dello studio del gruppo di Oxford sembrano provare oltre ogni dubbio che molecole in grado di riprodurre gli effetti delle infezioni sistemiche possono riattivare lesioni quiescenti, in modo tale da causare una ripresa della malattia e, pertanto, pongono all’attenzione dei clinici una questione che può avere importanti implicazioni nel monitoraggio delle lesioni e nella gestione dei pazienti.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita a leggere le recensioni di argomento connesso.

 

Nicole Cardon

BM&L-Maggio 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 



[1] Fra i ligandi della selettina E vi è l’antigene sialilato Lewis X.

[2] Ricordiamo che le selettine (E, L e P) fanno parte delle CAM (cell adhesion molecules), macromolecole proteiche di riconoscimento/adesione cellulare che hanno nella superfamiglia del gene dell’immunoglobulina (IgCAM) il gruppo più noto e studiato. Le CAM sono in genere classificate in IgSF, caderine, selettine, integrine ed altre (antigene carcino-embrionario, CD22, CD24, ecc.). Le selettine non hanno grande rilievo nel cervello e sono in genere espresse quando l’encefalo è invaso da cellule immuni. Nel sistema nervoso, le maggiori classi di molecole di adesione (integrine, IgCAM e caderine) agiscono di concerto per coordinare lo sviluppo e la maturazione dell’encefalo e, nell’età adulta, per contribuire al mantenimento dell’architettura fisiologica del tessuto.