IL RAGIONAMENTO EFFICACE INSEGNATO DA ZAREFSKY

 

 

L’espressione “ragionamento efficace” evocherà in molti l’uso stringente della logica che si fa in matematica e nelle sue applicazioni e, probabilmente, solo in pochi l’abilità nell’uso dell’argomentazione nei dialoghi, nei dibattiti e nei discorsi, ma proprio a questa arte comunicativa è dedicato il ciclo di lezioni che il professore David Zarefsky della Northwestern University propone nella sua seconda edizione (www.TEACH12.com/2mind).

Il corso, intitolato “Argumentation: The Study of Effective Reasoning”, è articolato in 24 brevi conferenze (disponibili in DVD o in versione audio) dai titoli accattivanti e basate sull’esperienza didattica di Zarefsky, che insegna Communication studies e Argumentation and Debate da oltre 30 anni, durante i quali ha ricevuto per ben 13 volte il prestigioso Honor Roll for Teaching.

Sui banchi di scuola abbiamo imparato la distinzione ciceroniana, tratta dalla retorica antica, fra argomentazione persuasiva, basata su un uso rigoroso della logica e del ragionamento, e argomentazione suggestiva volta a suscitare adesione, per simpatia o per emozione, ad una tesi non dimostrata. Purtroppo, se la seconda delle due è ampiamente impiegata da politici e comunicatori di ogni sorta che si propongono alle ribalte mediatiche, la prima è divenuta sempre più rara, per un complesso di ragioni la cui analisi esulerebbe dagli angusti limiti di questa nota e delle stesse conoscenze di chi scrive, ma la cui sostanza certo non sfugge al lettore che riscontra la marginalità del “ragionamento efficace” nel novero degli strumenti ammessi e delle qualità richieste per affrontare le sfide della vita quotidiana secondo i sistemi di potere consolidati e i giochi dello scambio riconosciuti.

Oggi si tende a praticare, insegnare ed apprezzare sempre meno l’arte dell’argomentazione, per questo molti ne hanno perso il valore cruciale di esercizio dell’intelletto.

Fra i docenti universitari americani, un’obiezione frequente allo studio delle tecniche e dei procedimenti dei filosofi antichi, consiste nel ritenere i modi di quel pensiero inadeguati ad una realtà di persone provvedute dalla molteplicità di elementi di esperienza e conoscenza derivanti dall’istruzione e dalla comunicazione di massa, e scaltrite dalla tendenza a puntare in ogni interlocuzione e scambio sociale ad oggetti utilitaristici e predefiniti. Pertanto, Zarefsky seleziona solo ciò che ritiene ancora valido ed utile del pensiero antico, nella prospettiva di una retorica del XXI secolo.

Ma se è vero che, ad esempio, una parte dell’argomentare socratico oggi può apparire banale, è pur vero che la coerenza perseverante nel superare gli ostacoli dialettici per perseguire un obiettivo concettuale, costituisce ancora una lezione valida che si può trarre dai dialoghi platonici. Allo stesso modo, si può osservare che il successo ottenuto in Francia negli anni Ottanta dalle lezioni magistrali di Roland Barthes sulla retorica antica di Aristotele -ancora oggi modello per docenti di mezza Europa- non era dovuto all’estrapolazione di elementi in sé attuali della “macchina per convincere”, ma allo sforzo di comprensione, allo studio di interpretazione ed alla profonda penetrazione della cultura dalla quale originava l’opera aristotelica.

In altri termini, un ceto intellettuale universitario americano che influenza profondamente la cultura e l’informazione degli Stati Uniti e di tanti altri paesi del mondo in osmosi comunicativa, tende ad estrarre un contenuto (message) da un contesto (cultural background) prescindendo dai valori storici ed antropologici che conferiscono dimensione ontologica ad un’esperienza culturale. In tal modo di Pitagora ed Euclide si salvano i rispettivi contributi immortali all’aritmetica e alla geometria, così come gli enunciati dei loro teoremi, ma di tanti altri pensatori non è possibile salvare nulla, perché non vi è alcuna parte del loro pensiero che sia riducibile a mero strumento logico metastorico.

A questo punto vorrei richiamare due osservazioni che Giuseppe Perrella proponeva nei suoi seminari di scienza cognitiva degli anni Novanta: “L’atto di maggiore intelligenza che si può compiere di fronte ad un problema, non è l’applicazione automatica di una procedura logica, ma la scelta del ragionamento adatto alla sua soluzione” e “La mancata conoscenza del proprio interlocutore, del suo stato d’animo, delle sue caratteristiche culturali, cognitive e di mentalità, può vanificare ogni strategia generale di comunicazione e persuasione”.

Ha dunque importanza cruciale la scelta dello strumento cognitivo in relazione al problema, del quale una parte non irrilevante è costituita dalla specificità di colui o coloro con i quali si interagisce.

In conclusione, sono questi i dubbi che ci fa nascere l’operazione didattica, pur interessante e ben realizzata, di David Zarefsky: è davvero utile fare istruzione senza cultura e trasmettere procedure senza promuovere ed esercitare l’abilità di scegliere se, quando, come e perché adoperarle?

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella, presidente di BM&L-ITALIA, con il quale ha discusso l’argomento trattato.

 

Monica Lanfredini

BM&L-Maggio 2007

www.brainmindlife.org