I PRIONI E LA BARRIERA FRA LE SPECIE

 

 

Una mole notevole di dati supporta l’ipotesi della propagazione esclusivamente proteica dei prioni, che si ritiene avvenga mediante l’isoforma legata alla patologia PrPSc, la quale per replicare se stessa con alta fedeltà recluta la forma PrPC endogena, convertendola in PrPSc esclusivamente mediante un cambio di conformazione. La trasmissione delle malattie da prioni è ristretta fra i mammiferi da una sorta di “barriera di specie”, infatti nella trasmissione sperimentale da una specie A ad una specie B, solo una parte degli animali da esperimento della specie B sviluppa la malattia, che si manifesta dopo un periodo di incubazione mediamente più lungo e variabile di quello che caratterizza la trasmissione intraspecifica. Si è anche osservato che, ad un secondo passaggio nella specie B, i parametri di trasmissione tendono ad avvicinarsi a quelli che si registrano nella propagazione omospecifica. D’altra parte, sia la sequenza che il ceppo del prione influenzano le barriere di trasmissione e molti effetti studiati sperimentalmente non si spiegano sulla base delle differenti specie animali implicate, pertanto sulle “barriere di specie” c’è ancora molto da indagare.

Castilla e i suoi collaboratori dell’Università del Texas (Medical Branch) a Galveston, in una loro recente sperimentazione in vitro, hanno rilevato che l’attraversamento della barriera fra specie da parte dei prioni è più facile, e perciò più probabile, di quanto generalmente si ritenga (Castilla J., et al. Crossing the species barrier by PrP(Sc) replication in vitro generates unique infectious prions. Cell 134, 757-768, 2008).

E’ noto che l’isoforma PrPSc è in grado di superare la barriera fra alcune specie e non fra altre, ma non si conoscono i requisiti necessari per l’attraversamento del confine biologico. I ricercatori, impiegando la tecnologia PMCA (protein misfolding cyclic amplification) hanno rilevato che, in certe condizioni, il cambiamento dell’isoforma PrPC del criceto può essere indotto dal PrPSc del topo e viceversa, determinando il formarsi di nuovi ceppi di prioni infettivi.

La lettura del lavoro, cui si rimanda per avere un’idea più precisa delle procedure e degli esiti sperimentali, indica che la PMCA è un utile strumento per indagare la trasmissione fra specie diverse.

Ancora Castilla e collaboratori (un team in parte diverso dal precedente), hanno poi pubblicato un lavoro che, dimostrando la propagazione di ceppi di prioni in assenza di cellule viventi, fornisce un supporto all’ipotesi della propagazione esclusivamente proteica dei prioni e suggerisce che la variazione di ceppo dipende dalle proprietà dell’isoforma PrPSc (Castilla J., et al. Cell-free propagation of prion strains. EMBO J. 27, 2557-2566, 2008).

 

Roberto Colonna

BM&L-Ottobre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]