SVILUPPO SPONTANEO DELLA FORMA INFETTIVA DI PRIONE NELLA FFI

 

 

Alcune malattie da prioni sono state associate con le mutazioni familiari del gene codificante la proteina prionica (PrP), ma non vi sono certezze sul modo in cui queste varianti contribuiscano allo sviluppo dei processi patologici. Lindquist, con Jackson e vari collaboratori del Whitehead Institute for Biomedical Research, Nine Cambridge Center, Cambridge, Massachusetts (USA), hanno dimostrato per la prima volta in modo certo che le mutazioni in PrP possono produrre una forma infettiva della proteina, fornendo un’evidenza cruciale a supporto della “ipotesi prionica” suffragata solo da prove indirette (Jackson W. S., et al. Spontaneous generation of prion infectivity in fatal familial insomnia knokin mice. Neuron 63, 438-450, 2009).

Come è noto, due ipotesi si sono a lungo contrapposte nella spiegazione del ruolo delle mutazioni della proteina prionica nello sviluppo delle malattie neurodegenerative: la prima sosteneva che l’alterazione genetica fosse direttamente responsabile del misfolding del prione causandone lo shift nella forma trasmissibile[1], mentre la seconda riteneva che le mutazioni agissero in maniera indiretta, accrescendo la vulnerabilità ad agenti infettivi esogeni non identificati. I ricercatori del Massachusetts, propendendo per la prima ipotesi -peraltro supportata da molte evidenze emerse in lavori recenti- hanno provato a fornirne una prova diretta e inappellabile. A questo scopo hanno generato topi transgenici portatori di una mutazione in PrP equivalente a quella umana associata all’insonnia familiare fatale (FFI), nota malattia da prioni lungamente studiata in Italia da Lugaresi e collaboratori.

I topi portatori della mutazione presentavano caratteristiche anatomopatologiche (in particolare la componente di degenerazione talamica) molecolari e comportamentali, inclusi i disturbi del sonno, riproducenti segni e sintomi della malattia umana.

Per determinare se la mutazione FFI desse luogo ad un agente trasmissibile, i ricercatori hanno iniettato materiale cerebrale dei roditori mutanti in due gruppi di topi che esprimevano, rispettivamente, livelli normali o alti di PrP. In entrambi i gruppi si è avuto lo sviluppo di una sintomatologia in tutto sovrapponibile al fenotipo patologico degli animali transgenici. Con un successivo esperimento sono state messe alla prova le proprietà di trasmissione: la malattia poteva essere trasmessa serialmente dai topi inoculati col materiale cerebrale ad altri topi indenni.

E’ importante rilevare che i ricercatori si sono cautelati dalla possibilità che la patologia fosse stata indotta, grazie all’aumentata sensibilità causata dal prione mutato, da un agente patogeno presente nell’ambiente del laboratorio: nei topi FFI knock-in hanno “umanizzato” la sequenza del prione modificando due aminoacidi, creando così una barriera di trasmissione per i prioni murini esistenti. Infatti, i topi esprimenti la versione umanizzata di PrP, sottoposti ad iniezione con prioni murini o dello scrapie del criceto, si sono rivelati resistenti.

Questo studio dimostra che la variazione di un singolo aminoacido è sufficiente per indurre la genesi spontanea dell’infettività del prione con lo sviluppo di una specifica malattia neurodegenerativa come la FFI. Inoltre, questo nuovo modello murino di malattia da prioni potrebbe fornire un utile contributo alla ricerca che indaga i meccanismi molecolari del danno e i potenziali interventi terapeutici.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso nelle nostre “Note e Notizie”.

 

Nicole Cardon

BM&L-Ottobre 2009

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Secondo i sostenitori di tale ipotesi la forma mutata è necessaria e sufficiente alla trasmissione della malattia, non richiedendo l’intervento di altri agenti esogeni.