PREVENIRE IL RITORNO DELLA PAURA COME STRATEGIA TERAPEUTICA

 

 

La paura, intesa come reazione temporanea ad un evento o una circostanza che rappresenta una minaccia materiale e attuale per l’integrità dell’organismo, costituisce una risposta biologica adattativa[1]. Al contrario, quando una sofferenza psichica assimilabile alla paura e sostenuta dagli stessi processi neurali si presenti al di fuori di queste condizioni, è da ritenersi sempre potenzialmente dannosa per l’organismo, con un rischio crescente nella gamma che va dal sintomo ansioso isolato fino alle manifestazioni del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD). In particolare, sembra che un ruolo rilevante nello sviluppo della fisiopatologia delle sindromi da trauma, sia costituito dal frequente ritorno della paura che, attraverso l’espansione dei fattori in grado di evocarla e dei fenomeni di revivescenza, va incontro ad un consolidamento crescente. Per questo motivo, in molti laboratori da anni si indaga la possibilità di prevenire il formarsi di memorie della paura e, recentemente, sono stati ottenuti risultati interessanti nei roditori, mediante il blocco farmacologico del consolidamento mnemonico[2]. La distanza fra questa sperimentazione animale e la realtà umana è notevole, perciò ben si comprende l’interesse che ha suscitato lo studio condotto da Schiller e collaboratori nell’uomo, senza ricorrere a farmaci[3] e consistente in una strategia di prevenzione del consolidamento della memoria durante l’intervallo critico (Schiller D., et al. Preventing the return of fear in humans using reconsolidation update mechanisms. Nature 463, 49-53, 2010).

I ricercatori del New York University Center for Neural Science hanno esplorato la possibilità che le memorie della paura possano essere bloccate negli esseri umani, intervenendo con informazioni neutre durante il periodo in cui si ritiene che operino i processi in grado di rendere stabile ed effettivo l’apprendimento associativo ottenuto nei volontari. Secondo l’ipotesi del riconsolidamento, le memorie vanno incontro a un consolidamento ogni volta che sono richiamate (riattivate). Ciò implica che, dopo il formarsi del condizionamento, si abbia un periodo di instabilità durante il quale è possibile una sorta di revisione di quanto è accaduto: durante questa “finestra”, corrispondente a quella che in ratti e topi ha consentito la prevenzione farmacologica delle manifestazioni di paura appresa, Schiller e i suoi colleghi sono intervenuti disturbando il riconsolidamento in soggetti volontari, la cui paura è stata valutata obiettivamente mediante la misura delle risposte di conduttanza cutanea.

Sono stati condotti degli esperimenti molto semplici e in tutto simili a quelli adoperati nella sperimentazione animale.

Ai volontari sono stati mostrati su uno schermo due quadrati di diverso colore (stimolo condizionato, SC), uno dei quali era associato ad uno shock erogato a un polso (SC+). Dopo 24 ore è stata posta in essere una procedura di estinzione mediante la nuova esposizione ai due quadrati senza più l’esperienza dolorosa dello shock: ciò ha determinato una progressiva riduzione della risposta di conduttanza cutanea a SC+. Una parte dei volontari è stata invece sottoposta ad una singola riesposizione a SC+, 10 minuti o 6 ore prima della procedura di estinzione, ossia rispettivamente dentro e fuori la finestra di riconsolidamento. Dopo 24 ore tutti i partecipanti allo studio sono stati sottoposti ad una nuova sessione di esposizione agli stimoli.

Una nuova esposizione dopo 24 ore allo stimolo associato allo shock, di norma causa la ricomparsa della reazione di paura, perché l’estinzione ha solo effetto temporaneo. In conformità con questa previsione, le persone che non sono state riesposte a CS+ hanno presentato il ritorno della manifestazione cutanea legata al timore, così come è accaduto anche ai volontari esposti a CS+ 6 ore prima della procedura di estinzione. Invece, coloro che hanno visto CS+ solo 10 minuti prima della procedura di estinzione, ossia durante la finestra di riconsolidamento, non hanno presentato il ritorno della risposta al terzo giorno ed hanno conservato questo stato ad un anno di distanza dagli esperimenti.

Si può dunque dedurre che l’introduzione di un reminder dello stimolo precedentemente associato allo shock, poco prima del training di estinzione, determina un blocco di lunga durata della memoria della paura; effetto che non è possibile ottenere con il comune esercizio.

Per indagare la specificità di tale risultato, i ricercatori hanno usato un protocollo in cui due quadrati diversi erano associati a shock. Il giorno successivo è stato mostrato uno solo dei due quadrati dieci minuti prima della procedura di estinzione. La riesposizione agli stimoli 24 ore dopo, ha dimostrato che la ricomparsa della reazione di paura si aveva solo con il quadrato che non era stato ripresentato prima della procedura di estinzione attuata il giorno precedente, confermando la specificità dell’effetto. L’interferenza con il consolidamento della memoria di uno stimolo non ha influito sulla memoria dell’altro.

I risultati dello studio di Schiller e collaboratori confermano quelli riscontrati nei ratti, nei quali si è ottenuta la cancellazione della memoria della paura agendo durante la finestra di riconsolidamento, e quelli ottenuti nell’uomo, indagando la memoria dichiarativa e quella motoria. Infine, la specificità e la persistenza dell’effetto emerse in questo studio, suggeriscono la possibilità di sviluppare su questa base delle tecniche terapeutiche da impiegarsi in sindromi come l’ASD e il PTSD acuto e cronico.  

 

 L’autrice della nota, che invita i visitatori del sito a leggere le recensioni di argomento connesso nelle “Note e Notizie”, ringrazia il presidente Perrella con il quale ha discusso l’argomento trattato e la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Nicole Cardon  

BM&L-Gennaio 2010

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] G. Perrella, Appunti sui disturbi d’ansia. BM&L, Firenze 2003. In questo testo si ricorda anche la distinzione, risalente a Freud e conservata nella semeiotica psichiatrica di ispirazione psicodinamica, fra la paura (fürcht), emozione provata in relazione ad un oggetto, e l’ansia (angst) o “paura senza oggetto”, paragonata dal fondatore della psicoanalisi allo stato di preoccupazione che si verifica durante un’attesa.

[2] Si vedano nell’elenco delle “Note e Notizie” le recensioni di lavori sperimentali di argomento connesso.

[3] Non si ritiene che le molecole in grado di ottenere la scomparsa di una risposta di paura condizionata in animali di laboratorio possano avere la selettività necessaria all’impiego in terapia psichiatrica.