PREVEDERE L’EFFICACIA DEGLI ANTIDEPRESSIVI

 

 

Un numero crescente di studi genetici basati sul mappaggio di polimorfismi di singoli nucleotidi (SNP-mapping) e associazioni sull’intero genoma (genome-wide association, GWA) stanno identificando numerose varianti genetiche comuni, associate a patologia dismetabolica, oncologica e psichiatrica. Tali studi possono essere impiegati anche per individuare le basi genetiche della variabilità nella risposta all’azione degli  psicofarmaci. Un esempio in tal senso è dato dal lavoro condotto dal gruppo di Florian Holsboer e recentemente pubblicato su Neuron (Uhr M., et al. Polimorphisms in the drug transporter gene ABCB1 predict antidepressant response in depression. Neuron 57, 203-209, 2008).

E’ noto che solo un terzo dei pazienti trattati con farmaci antidepressivi (inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina) ottiene una piena remissione della forma di depressione di cui è affetto, pertanto è ragionevole supporre che l’inefficacia parziale o totale negli altri due terzi possa essere spiegata su una base genetica. I collaboratori di Holsboer hanno sposato una tesi diffusamente accettata, che attribuisce lo scarso effetto ad un motivo farmacocinetico: una minore concentrazione del farmaco dovuta ad un carente attraversamento della barriera emato-encefalica. Su questa base, si è rivolta l’attenzione alle molecole di trasporto delle cellule endoteliali che rivestono i capillari della barriera emato-encefalica e, in particolare, alla P-gp (P-glycoprotein) che determina la concentrazione intracerebrale di vari farmaci e può essere critica per gli effetti clinici di tali molecole.

La P-gp è codificata nell’uomo dal gene ABCB1 che ha un equivalente nel topo; la delezione del gene murino in un ceppo di topi ha consentito ai ricercatori di verificare gli effetti dell’assenza della P-gp sulla concentrazione cerebrale di due antidepressivi. A tale fine sono stati impiegati due farmaci strutturalmente distinti, correntemente impiegati nel trattamento della depressione: il citalopram, inibitore selettivo della ricaptazione della serotonina, e la venlafaxina, inibitore della ricaptazione, sia della noradrenalina che della serotonina. Dopo 11 giorni di somministrazione, la concentrazione cerebrale dei due farmaci nei topi portatori della delezione è risultata oltre 4 volte maggiore di quella dei topi di controllo. La somministrazione di mirtazapina, invece, non faceva rilevare differenze, indicando che il citalopram e la venlafaxina sono substrati della P-gp.

Ciò definito, i ricercatori hanno sottoposto a verifica la possibilità che varianti genetiche funzionalmente rilevanti di ABCB1 nell’uomo, possano avere effetti sulla concentrazione di farmaci antidepressivi nel cervello. Studiando 443 pazienti in terapia farmacologia con antidepressivi, hanno rilevato in coloro che assumevano un farmaco substrato di P-gp una correlazione altamente significativa fra 11 polimorfismi di singoli nucleotidi di ABCB1 e la remissione dei sintomi. Tale associazione, come era prevedibile, non si rilevava nei partecipanti che avevano assunto la mirtazapina, che non è substrato della glicoproteina.

Si è rilevato che la frequenza dei polimorfismi di singoli nucleotidi di ABCB1 varia notevolmente fra i gruppi etnici; un dato che appare interessante alla luce delle ben note differenze nei risultati della terapia farmacologia dei disturbi depressivi fra afro-americani e caucasici.

Gli elementi emersi da questo studio suggeriscono l’opportunità di valutare lo status genetico della P-gp dei pazienti, per prevedere la risposta ai più comuni antidepressivi, ma anche a tante altre molecole di frequente uso terapeutico e all’azione degli ormoni steroidi, che sono fra i composti naturali che impiegano il legame con la glicoproteina. Inoltre, la valutazione dei polimorfismi di ABCB1 potrebbe essere inserita nel disegno sperimentale dei trials clinici di tutti i substrati di P-gp, così da renderli più razionali e mirati.

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-Marzo 2008

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