Breve nota biografica su Jacopo Carucci detto il Pontormo e notizia del suo scritto autografo noto come “Diario”

 

 

Jacopo Carucci nacque a Pontormo, una località sulla carrozzabile che da Firenze porta ad Empoli, il 24 maggio del 1494 da Bartolomeo di Jacopo Carucci e da Alessandra, figlia di un calzolaio, Pasquale Zanobi di Filippo. Del padre si sa che era pittore, allievo del Ghirlandaio, ma non si conoscono opere di sicura attribuzione; morì quando il figlio aveva solo cinque anni e, dopo poco, fu seguito dalla moglie. Rimasto orfano, il piccolo Jacopo, insieme con la sorella Maddalena, fu affidato alla nonna Brigida Zanobi, la quale a sua volta lo affidò, in seguito, ad un lontano parente calzaiuolo fino a quando nel 1507-1508 la sua tutela fu assunta dal Magistrato dei Pupilli.

Notata la sua abilità nel disegno, fu incoraggiato a seguire le orme paterne. Frequentò a Firenze le botteghe di Leonardo da Vinci, Piero di Cosimo, Mariotto Albertinelli ed Andrea del Sarto del quale fu allievo. Detto “il Pontormo” per la sua origine, visse isolato ed ebbe pochi amici a Firenze e, fra questi, l’allievo Agnolo Bronzino fu il più fedele.

Jacopo Carucci è generalmente associato a Giovan Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino, anch’egli allievo di Andrea del Sarto, ed al senese Domenico di Pace, detto Beccafumi dal nome di Lorenzo Beccafumi, suo mecenate insieme con i Petrucci, signori di Siena. Pontormo, Rosso e Beccafumi costituiscono la triade di artisti che rappresenta per antonomasia l’astratta categoria formale del “manierismo” e, in particolare, la sua nascita in Toscana.

Il Vasari narra che Pontormo nel 1510 dipinse una piccola Annunciazione per un amico. Raffaello, che si trovava in visita a Firenze, vide l’opera e la lodò molto, cosa di cui l’artista sedicenne sembra sia andato molto fiero tanto che, secondo il racconto vasariano, ne "menò gran vanto".

La prima  opera di riconosciuto valore è il contributo del Pontormo agli affreschi che adornano le pareti del chiostrino dei voti della Chiesa della Santissima Annunziata (1514-1516): è pregevole la raffigurazione dell’incontro della Madonna con Sant’Elisabetta. Intorno al 1518 dipinse la Madonna in trono e santi per la Chiesa di San Michele Visdomini di Firenze in cui, pur conservando l'impianto della Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto, fonda l'equilibrio compositivo sul movimento invece che sulle geometrie monumentali. I santi sono intensamente animati da espressioni del viso che paiono di dolore e sgomento, affatto insolite per quella rappresentazione. Seguono i dipinti di Empoli, in un periodo che si vuole segni il passaggio al manierismo. Tra il 1519 e il 1521 affresca la villa medicea di Poggio a Caiano, con figure di ispirazione pagana, come nel Vertunno e Pomona, che sono autentici capolavori per ispirazione e resa pittorica. Esegue le Storie della Passione nel Chiostro della Certosa al Galluzzo (1523-25) ispirate al Durer con un nordicismo quasi provocatorio, la Cena in Emmaus (Uffizi) dove precorre El Greco e Caravaggio, la Deposizione (1525-28), considerata  il suo capolavoro, nella chiesa fiorentina dedicata alla protomartire Santa Felicita e, infine, la Visitazione di Carmignano. Dopo il 1530 elabora uno stile che emula Michelangelo, ma che si esprime con forme sempre più personali e meno studiate nella realtà anatomica, in un’apparente ricerca formale d’insieme.

Le cronache lo ricordano come irrequieto e, sottolineando la sua ricerca della perfezione e la costante insoddisfazione, il Vasari dice: "Si travagliava il cervello che era una compassione, guastando e rifacendo oggi quello che aveva fatto ieri". Si comprende come il giovane artista fosse alla ricerca di un proprio stile ma, forse, anche di una propria poetica artistica. Infatti, si dice che fra le tante influenze subite, quella di due giganti come Durer e Michelangelo lo avesse particolarmente condizionato nel suo tentativo di evolvere una pittura personale all’altezza di questi grandi maestri per disegno, composizione e colore.

Nel 1545 il duca di Firenze, Cosimo I, gli commissiona la decorazione della Cappella Maggiore di San Lorenzo, chiesa da sempre sotto il patronato della famiglia dei Medici, con la raffigurazione di episodi tratti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento. Jacopo Pontormo stava affrescando il registro inferiore del Coro, centrando la narrazione pittorica sulla storia della Salvezza, quando la morte interruppe bruscamente il suo lavoro il 31 dicembre del 1556 (il decesso fu poi registrato il primo di gennaio del 1557).

Tuttavia l’opera fu compiuta da Agnolo Bronzino e definitivamente inaugurata il 23 luglio del 1558. L’accoglienza non fu entusiasta anche perché l’ispirazione parve luterana, per l’assenza della Madonna e dei santi nelle principali figurazioni. Il Vasari criticò aspramente le figure che, forse anche per i colori freddi, gli apparvero come “malinconiche scene di cadaveri ammucchiati”. Probabilmente perché considerati al limite dell’ortodossia, gli affreschi furono abbandonati ad un progressivo degrado, e non li si protesse durante i lavori di ristrutturazione voluti dell’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa de’ Medici, così che il 16 ottobre del 1738 andarono distrutti, come si legge nel Diario del Capitolo di San Lorenzo: “…andò in fumo la pittura di Jacopo da Pontormo stimata una delle bellezze di Firenze”.

Scoperto in data piuttosto recente, il cosiddetto "Diario" di Jacopo Pontormo, unico suo scritto autografo rimasto (il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. Magl. VIII 1490), conosciuto col titolo aggiunto di "Diario di Jacopo da Pontormo fatto nel tempo che dipingeva il coro di S. Lorenzo", fu vergato sugli stessi fogli di carta adoperati per i disegni. Il testo di codesto diario semigiornaliero, in cui non mancano riflessioni di nobilissimo respiro, riscopre -pur con numerose intermittenze- un periodo che va dal 7 gennaio 1554 fino al 23 ottobre 1556, raccontando principalmente del suo più famoso lavoro, ossia gli affreschi di San Lorenzo, con dettagli particolarmente strazianti della ricerca tormentata dei mezzi più idonei, inclusi quelli alimentari, per condurlo a termine.

 Il Diario, esteso appunto negli ultimi suoi tre anni di vita, acquista oggi un’importanza fondamentale, in quanto rappresenta una delle poche tracce, accanto ai disegni preparatori, dell’opera perduta. Infatti, i circa quaranta disegni tracciati come promemoria in margine del manoscritto del Diario, rendono spesso con chiarezza l'idea della figura o dei gruppi di figure in corso d'esecuzione, in particolare la rappresentazione del Diluvio, della Resurrezione dei morti, del Martirio di San Lorenzo e dell'Ascensione delle anime.

 

BM&L- Novembre 2003

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