PIOGGIA E AUTISMO

 

 

La nota di commento di questa settimana ripropone due problemi sempre attuali nella ricerca biomedica: il valore degli studi epidemiologici e il nesso di causalità in eziologia.

Il rilievo che assumono oggi i risultati degli studi sulle popolazioni è notevole per vari motivi, fra i quali la facile “medializzazione” dei dati e l’enorme sviluppo, in tutto il mondo, degli istituti di studi epidemiologico-statistici, anche per interessi legati al commercio sanitario e alle politiche di prevenzione volte a ridurre gli oneri sociali delle malattie. Proprio la facilità con la quale l’esito della ricerca epidemiologica, alla pari di quanto emerge da un sondaggio o viene riferito in un reportage, si presta ad essere comunicato via giornali, reti televisive e internet, è all’origine della sua rapida elaborazione e diffusione come “prodotto comunicativo”. Non meraviglia, perciò, che in questi casi l’entità della risonanza segua la logica della notizia (secondo cui il grado d’importanza è dato dallo scalpore che produce) e non quella della scienza (secondo cui il grado d’importanza è dato dal livello di certezza dei risultati e dalle conseguenze che questi producono in quel campo di studi). D’altra parte, non ci saremmo occupati del lavoro del quale diamo conto qui di seguito, se l’amplificazione prodotta da giornali e reti televisive non avesse costretto varie autorità scientifiche a pronunziarsi sulla pioggia come causa di autismo e non fossero state rivolte anche a noi richieste di conferma o smentita in tal senso.

Uno studio epidemiologico recentemente pubblicato da Archives of Pediatric and Adolescent Medicine ha rilevato che le contee degli Stati Uniti d’America con alto livello di precipitazioni presentano un tasso di autismo infantile più elevato delle contee in cui le piogge sono scarse (Leonie Welberg, Rain Man? Nature Reviews Neuroscience 9, 888, 2008).

Un autore dello studio, Sean Nicholson, ha dichiarato: “Se non ci fosse pioggia il tasso di autismo sarebbe ridotto di un terzo secondo la nostra analisi” (WebMD) e, a proposito della causa del disturbo pervasivo dello sviluppo cerebrale, ha ipotizzato: “potrebbe essere la pioggia stessa” (WebMD). Più cauto un altro autore del lavoro, Michael Waldman, che contestualmente ha affermato: “… secondo me è uno dei fattori legati all’attività al chiuso.” (WebMD).

Mark Lever, chief executive della National Autistic Society, si è detto scettico e si è pronunciato con una certa durezza, notando che le precipitazioni atmosferiche si aggiungono ad una lunga lista di fattori improbabili spesso associati alla patologia autistica con superficialità o per incompetenza; in questa lista figurano “padri di età avanzata, il guardare precocemente la televisione, i vaccini, le allergie alimentari, l’avvelenamento da metalli pesanti e le tecnologie senza fili” (Telegraph). Ma, come ha ribadito Lever, non ci sono evidenze che consentano di stabilire un ruolo causale per alcuno di questi elementi, anzi talvolta, come nel caso dei vaccini, la sperimentazione di verifica ha notevolmente screditato l’ipotesi di un’associazione causa/effetto.

Noel Weiss, professore di epidemiologia alla University of Washington a Seattle, è apparso più possibilista, dichiarando alla redazione scientifica di uno dei più autorevoli quotidiani degli Stati Uniti, a proposito della pioggia come causa dell’autismo: “Potrebbe essere, ma io non credo […] Probabilmente vale la pena approfondire.” (Washington Post).

Alcuni hanno dubitato della validità dello studio, oltre che delle deduzioni proposte dai suoi autori, e fra i detrattori vi è uno studioso autorevole come Lee Grossman della Autism Society of America che, a proposito della pioggia come causa di autismo, si è espresso con nettezza dicendo che “non sembra proprio plausibile” (USA Today) e, criticando tecnicamente lo studio, ha rilevato: “Non corrisponde ad alcuna delle demografie che stiamo seguendo” (USA Today).

Michael Fitzpatrick (London GP) non accetta neppure di discutere l’argomento: “La nozione secondo cui l’autismo sia causato dall’elevata piovosità è manifestamente assurda.” (BBC News).

Leonie Welberg, che ha intitolato il suo report delle opinioni a commento “Rain Man?”, fa dello spirito osservando che probabilmente vi sono scuse migliori della prevenzione dell’autismo per trasferirsi in un paese a clima caldo (NRN, v. sopra).

A nostro avviso, la questione fondamentale è data da un errore metodologico: la causa delle malattie non si determina mediante studi epidemiologici; questo tipo di studi, che ha la massima utilità in altre e ben note applicazioni, in campo eziologico può al più fornire indizi e suggerire associazioni a ricercatori di discipline quali la biochimica, la biologia molecolare, la genetica, l’immunologia e le altre che concorrono al sapere della patologia generale, ambito al quale appartiene la ricerca eziologica. Una regola aurea della patologia vuole che per attribuire ad un agente il ruolo di causa di un processo patologico è necessario individuare e dimostrare sperimentalmente, oltre ogni ragionevole dubbio, il meccanismo molecolare e/o cellulare mediante il quale quell’agente si fa responsabile della patogenesi del danno. Se, prima di parlare della pioggia come causa di autismo sui media di mezzo mondo, si fosse tenuto conto di tale regola, attendendo almeno la formulazione ipotetica di un nesso causale molecolare da sottoporre al vaglio sperimentale, si sarebbe evitato ai popoli che parlano la lingua di Shakespeare un much ado for nothing francamente imbarazzante.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Dicembre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: COMMENTO]