LA PERDITA DI CONTROLLO ALTERA LA PERCEZIONE

 

 

Ha fatto molto discutere l’interpretazione di uno studio recentemente pubblicato su Science, nel quale si rileva che la sensazione soggettiva di perdita del controllo si associa ad una più elevata probabilità di vedere figure inesistenti nell’osservazione di immagini formate da matrici di punti (Whitson J. A. & Galinsky A. D., Lacking control increases illusory pattern perception. Science 322, 115-117, 2008; si veda commento in Leonie Welberg, Out of Control. Nature Reviews Neuroscience 9 (11), 800, 2008).

Per verificare l’esistenza di effetti obiettivi correlati con questo stato mentale, i ricercatori hanno fatto ricorso a due strategie: 1) hanno agito in modo tale che i soggetti volontari sottoposti alle prove avvertissero una mancanza di controllo; 2) hanno chiesto loro di rievocare una situazione in cui avevano sperimentato perdita del controllo.

Il testing successivo, articolato in 6 diversi esperimenti, ha rivelato interessanti esiti non solo nell’inferenza percettiva, ma anche in quella cognitiva. I volontari, infatti, oltre a vedere patterns inesistenti con una probabilità più elevata dei controlli, apparivano più propensi a percepire complotti e più inclini a creare credenze superstiziose, collegando causalmente eventi fra loro non collegati.

La coautrice dello studio Jennifer Whitson dell’Università del Texas ad Austin, ha così commentato questi risultati in un’intervista: “Questo suggerisce che la mancanza di controllo crea un bisogno viscerale di ordine – anche un ordine immaginario.” (Boston Globe).

Diane Richmond, responsabile della sezione “Mind” di “Brain, Mind & Life – Italia”, ha invece osservato: “Più che rivelare il bisogno di ordine, evidenzia il mancato impiego di schemi cognitivi legati alle funzioni che attribuiamo alla neocorteccia. Presumibilmente, la sensazione soggettiva di non avere il controllo -che è una sorta di lieve stato di allarme, come una larvata paura- è conseguenza di un’attivazione di nuclei del lobo limbico, il cui compito è quello di riconoscere segnali per proteggere il soggetto mediante risposte emotive semplici, prossime allo schema “fuga-attacco”. Come ci ha insegnato da anni Giuseppe Perrella, il sistema che media le emozioni induce priorità diverse da quelle tipiche del neoencefalo: se queste intervengono durante l’analisi percettiva, si assiste ad un disturbo della funzione cognitiva del giudizio degli elementi percepiti, come quello osservato dal gruppo della Whitson.” (BM&L Journal Club).

Gli effetti osservati sono scomparsi quando i ricercatori, con l’impiego di tecniche di autoaffermazione, hanno fatto in modo che i partecipanti riacquistassero un pieno equilibrio. Questo risultato ha indotto il secondo dei due autori dello studio, il professor Galinsky della Northwestern University (Evaston, Illinois, USA), a concludere che quando delle persone sono in tali condizioni, non serve dir loro che si sbagliano, ma bisogna fare in modo che “si sentano più sicure” (BBC News).

Fra coloro che hanno letto e commentato il lavoro, alcuni hanno desunto che lo stato associato alla sensazione di “non avere il controllo” comprometta, in generale, la funzione di decision making. Su questa base Daniel Ariely, economista comportamentale della Duke University a Durham (North Carolina, USA), afferma che lo studio “suggerisce che noi mostriamo queste tendenze nelle condizioni in cui sono più pericolose per noi” (ScienceNOW). Tener conto di questo dato potrebbe essere rilevante per gli operatori finanziari e per tutti coloro che a vario titolo lavorano nel campo dell’economia e delle imprese, perché nella condizione di crisi internazionale che sta investendo le borse e i mercati di tutto il mondo, come rileva Leonie Welberg, non sono certamente molti coloro che si sentono “in controllo”. Al riguardo Cary Cooper, professore di Organizational Psychology and Health presso la Lancaster University (UK) aggiunge, riferendosi agli operatori economici: “Se si sentono fuori controllo, non guarderanno nella maniera giusta le informazioni che ricevono.” (BBC News).

Tuttavia, dobbiamo rilevare che le osservazioni di Ariely e Cooper, senz’altro di buon senso e in generale condivisibili, non sono molto appropriate al lavoro che si commenta, per i seguenti motivi:

1) lo studio non prova la compromissione in generale della capacità di prendere decisioni (decision making);

2) è stato condotto su un numero limitato di persone con una procedura volta a studiare la reazione individuale di più persone e non l’effetto collettivo della perdita di controllo sulla gestione di informazioni tecniche in contesti professionali;

3) riguarda uno stato psichico temporaneo -effetto di una pressione psicologica o della rievocazione di un’esperienza negativa- più simile ad uno stato emotivo acuto che ad una condizione protratta, socializzata e necessariamente razionalizzata, come quella della gestione della crisi economica da parte di operatori professionali (una differenza simile a quella esistente fra il provare paura e l’esprimere un timore);

4) le alterazioni delle prestazioni e dell’ideazione riguardano una percentuale del campione e non la sua totalità.

 

Per quanto riguarda l’opinione di chi scrive, il lavoro di Galinsky, Whitson e colleghi, rientra nel novero di quell’interessante filone sperimentale che studia gli effetti dell’emozione sulla cognizione, in condizioni vicine a situazioni che ciascuno di noi sperimenta nella vita quotidiana, ma non conosce in questi aspetti che sfuggono alla consapevolezza soggettiva ed alla verifica oggettiva.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Novembre 2008

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: COMMENTO]