CAPACITA’ DI PERCEPIRE GLI ALTRI ED INFERENZA COGNITIVA

 

 

Una parte considerevole della vita di relazione umana si basa sulla capacità che ha ciascuno di noi di intuire, sentire, capire, indovinare e prevedere contenuti, stati ed atteggiamenti della mente altrui. Rendersi conto che una persona che si incontra sia stanca, turbata, allegra, triste, sofferente, assonnata o concentrata, è nel nostro patrimonio di facoltà che impieghiamo quotidianamente come un semplice automatismo istintivo che può dar luogo, secondo i casi, a domande, commenti, attestazioni di solidarietà, espressioni di conforto, battute di spirito, silenzi rispettosi od altro. Questa capacità ordinaria minima di percepire gli altri nel loro complesso (COMPA, secondo l’acronimo adottato dal nostro presidente nel seminario sull’arte del vivere), con variazioni individuali, relazionali e di circostanza, prevede un tener conto di elementi di conoscenza che impegnano funzioni mentali attuali quali la working memory e i circuiti di elaborazione affettivo-emozionale.

Gran parte della vita lavorativa ed affettiva si basa sulla COMPA, che viene generalmente implicata e sottintesa quale fosse un’abilità psiconeuromotoria di base. Si tratta, invece, di una sintesi di processi percettivo-interpretativi automatici, che trova la sua espressione e il suo limite nella coscienza dell’individuo in cui si manifesta, secondo le caratteristiche dello stato di quel momento.

Così come percepiamo il tono dell’umore, uno stato affettivo o psico-fisico, siamo in grado di prefigurarci o prevedere opinioni, commenti, punti di vista e ragionamenti di una persona che conosciamo o che stiamo conoscendo. Spesso questa capacità di inferenza cognitiva (INCO, secondo l’acronimo adottato dal nostro presidente nel seminario sull’arte del vivere) è assimilata alla percezione empatica e confusa con la COMPA, anche perché è frequente che le nostre previsioni circa il pensiero degli altri risentano della nostra percezione del loro stato affettivo. Tuttavia, noi riteniamo che sia utile mantenere distinta l’INCO dalla COMPA per vari motivi.

Innanzitutto è facile rilevare che in misura minore o maggiore, con gradi di approssimazione variabili nel rilevare la tipologia dello stato mentale altrui, la COMPA è universalmente presente e generalmente espressa a tutte le età e in tutte le persone normodotate. Si può osservare, poi, che l’esperienza derivante dalla COMPA è facilmente riconducibile ad una serie di caratterizzazioni sintetiche, spesso rese nella comunicazione fra adulti con un giudizio di una sola parola: assente, concentrato, distratto, interessato, ostile, prevenuto, stanco, entusiasta, ammiccante, angosciato, deluso, impaziente, allegro, triste, commosso, affettato, innamorato, disgustato, affranto, risentito, insofferente, accomodante, meditabondo, superficiale, acuto, melenso, intrepido, arguto, sfiduciato, accattivante, rassegnato, seducente, indolente, intraprendente, convincente, irritante, amareggiato, perplesso, fiducioso, arrogante, spiritoso, sfrontato, delicato, cortese, ecc.

E’ vero che frequentemente le deduzioni coscienti integrano automaticamente le impressioni sullo stato mentale dell’altro e che i giudizi appena elencati spesso implicano l’integrazione di informazioni che ricaviamo dall’espressione verbale del pensiero altrui, tuttavia è facile rilevare una differenza fra quelle sensazioni pre-riflessive, diretta conseguenza della COMPA, che ci portano a dire che qualcuno ci appare “istintivamente simpatico”, “antipatico a pelle”, “fisicamente attraente”, e così via, da quell’INCO, fondata sul nostro bagaglio culturale, che ci consente di interpretare o prevedere formulazioni concettuali, scelte ideologiche o atteggiamenti culturali.

Infatti possiamo descrivere l’INCO come esercizio del pensiero logico in quell’ambito dell’esperienza mentale che, sulla scorta degli studi neuropsicologici, chiamiamo coscienza dichiarativa.

Un buon motivo per mantenere la distinzione fra queste due tipologie di processi, deriva dalla comune esperienza di persone in grado di sentire intensamente gli altri e stabilire sintonie affettive, ma poco propense all’interpretazione del pensiero altrui, per preclusioni dovute a forme di condizionamento culturale, per un’apparente inerzia mentale, oppure per effetto di automatismi non coscienti che, seguendo la concezione psicoanalitica della mente, possiamo interpretare come difese.

Un altro motivo che ci induce a mantenere questa distinzione è dato dall’esperienza di persone che sembrano avere una COMPA tale quale quella che si riscontra nella massima parte delle persone ed una INCO quanto meno singolare. Ad esempio, è possibile rilevare un’INCO altamente stereotipa, per povertà culturale o per effetto di un’ideazione abitualmente costretta in rigidi schemi prefissati di pensiero, con la conseguente applicazione incongrua ad una circostanza non presente nel bagaglio della persona: in questi casi può accadere che l’interpretazione cognitiva arrivi ad occultare o annullare i segnali inviati alla coscienza dalle elaborazioni della COMPA. Sia lo studio in chiave psicologica, sia quello in chiave culturale, in queste circostanze, può avvalersi della distinzione fra la percezione impressiva dell’altro e ciò che gli attribuisce l’inferenza cognitiva.

Infine, l’utilità di una distinzione fra COMPA e INCO si può ravvisare in psichiatria, in particolare in tutte quelle condizioni psicopatologiche in cui ci si accorge che la persona è in grado di percepire lo stato mentale altrui, ma vi costruisce interpretazioni singolari, incongrue, gratuite, improbabili, inadeguate o francamente deliranti.

 

La nota è stata tratta da una relazione di Giuseppe Perrella, tenuta recentemente al “Seminario Permanente sull’Arte del Vivere” di “Brain Mind & Life – Italia”, ed è intesa a ribadire, anche solo mediante il piccolo esempio della differenza fra COMPA e INCO, i motivi della distanza culturale della nostra Società scientifica da quella ricerca che assimila e confonde stati mentali degli animali da esperimento, loro risposte automatiche per evocazione, emulazione per attivazione del sistema dei “neuroni specchio”, inferenza cognitiva attiva operata dal pensiero umano, e così via, in un solo calderone che consente di equiparare il più elementare dei pattern comportamentali specie-specifico, al più acuto dei ragionamenti umani. Gli appartenenti a questo orientamento culturale, da decenni descrivono la capacità di una scimmia di reagire congruamente all’atteggiamento di un’altra, non come un interessante antecedente della comprensione umana -che si distingue per un grado più elevato di libertà, di elaborazione astratta e di modificazione da parte di nuove informazioni-  ma in questo modo: “La scimmia possiede una teoria della mente”. A questa cultura non sono estranei gli autori della ricerca di cui si parla nella nota “Immagini mentali del pregiudizio politico”. Riteniamo, pertanto, di dover ribadire l’apprezzamento per il lavoro, ma di non poter condividere l’interpretazione iper-semplificativa e neofrenologica suggerita dagli autori e da molti commentatori scientifici in queste settimane.

 

Diane Richmond & Isabella Floriani

BM&L-Luglio 2006

www.brainmindlife.org