RICONOSCIMENTO DEGLI ODORI DA PARTE DELLE CELLULE MITRALI

 

 

I sistemi neuronici che realizzano la cosiddetta codifica degli stimoli sensoriali rilevati dagli apparati recettivi, devono essere sensibili al punto da rilevare differenze minime fra gli elementi percepiti, ma anche tanto efficaci da riconoscere elementi fra loro identici anche quando possono apparire lievemente diversi per effetto di disturbo da parte dell’interferenza di fondo o background noise. Un tale risultato è conseguito mediante la realizzazione di una precisa corrispondenza fra singoli tipi di stimoli in entrata e configurazioni discrete di attività in uscita: un processo convenzionalmente descritto come classificazione. Si ritiene, infatti, che l’associazione di uno stimolo (azione prodotta sui recettori) ad una risposta (attivazione interna del sistema) consenta alle reti neurali sensoriali di distinguere e poi, sulla base della memoria stimolo-risposta, riconoscere gli elementi fisici o chimici già rilevati. Nei mammiferi si ritiene che, in generale, il riconoscimento sia in gran parte fondato sull’elaborazione corticale degli stimoli, tuttavia numerose osservazioni sembrano in contrasto con una visione schematica che attribuisce alla corteccia cerebrale il ruolo di sede della classificazione.

In uno studio recente, Niessing e Friedrich del Friedrich Miescher Institute for Biomedical Research, Basilea (Svizzera), hanno rilevato che i patterns di attivazione delle popolazioni di cellule mitrali del bulbo olfattivo cambiano bruscamente in risposta a graduali variazioni nella qualità di un odore, ma non risentono dei cambiamenti di concentrazione delle molecole odorose. Tale riscontro indica che una prima fase del processo di riconoscimento degli odori avviene al livello dei neuroni del bulbo (Niessing J. & Friedrich W. Olfactory pattern classification by discrete neuronal network states. Nature 465, 47-52, 2010).

La sperimentazione è stata condotta in esemplari adulti di Danio rerio, il pesciolino semitrasparente dalle striature cromatiche longitudinali (zebrafish) che costituisce una delle specie più impiegate nella sperimentazione neurobiologica degli anni recenti, studiando estese popolazioni di neuroni del bulbo olfattivo caratterizzati da attività in uscita, mediante una nuova tecnica di imaging legata ai movimenti di Ca2+ (temporally deconvolved two-photon Ca2+ imaging). In tal modo è stato rilevato che, sebbene il tasso di scarica medio delle cellule mitrali aumentasse al crescere della concentrazione delle molecole odorose, la configurazione di attività rimaneva costante in tutta la popolazione neuronica. Negli esperimenti successivi sono stati cimentati composti odoranti diversi per struttura molecolare, e l’esito ha mostrato lo sviluppo di configurazioni diverse per ciascun composto nell’abito di una stessa popolazione di neuroni, suggerendo che l’attività evocata rifletta l’identità e non l’intensità dello stimolo olfattivo.

I ricercatori hanno allora cercato di stabilire la minima differenza fra due stimoli olfattivi in grado determinare patterns di attività distinti. A tale scopo hanno fatto variare gradualmente la ratio di concentrazione di due odoranti ed hanno impiegato miscele intermedie per stimolare gli espianti di tessuto olfattivo in coltura. La risposta delle popolazioni cellulari non è stata graduale, ma ha mostrato un comportamento-soglia con una brusca transizione da uno stato all’altro. Quando il tessuto olfattivo è stato esposto alla miscela di odori fra loro ben distinti per caratteristiche, ha prodotto configurazioni di risposta nuove, non evocabili dai singoli costituenti e separate da transizioni discrete. Il passaggio da un pattern all’altro non si manifestava come uno shift globale dell’intera rete, ma appariva come una transizione mediata da cambi di risposta coordinati all’interno di limitati raggruppamenti cellulari.

Un aspetto importante della fisiologia delle risposte si deduce da questa osservazione: l’analisi limitata a singole cellule mitraliche non è in grado di rivelare la caratteristica delle transizioni nette.

Il bulbo olfattivo sembra, dunque, classificare le configurazioni di impulsi evocate dagli odori in definiti e delimitati schemi in uscita, così come previsto dai modelli basati su “attrattori” e, ipotizzano Niessing e Friedrich, questa modalità potrebbe costituire una strategia generale seguita dal cervello nell’elaborazione dell’informazione.

In generale, i risultati di questo lavoro concordano con quanto emerso da studi comportamentali che hanno rilevato la capacità degli animali di distinguere al fiuto miscele di odori dai loro costituenti, ma l’incapacità di riconoscere un odore di fondo quando è sottorappresentato in una mescolanza (effetto di mascheramento). Questo tipo di categorizzazione degli stimoli olfattivi pone un limite alla risoluzione del sistema olfattivo, ma allo stesso tempo gli consente di tollerare un discreto tasso di “rumore”, ossia di disturbo all’analisi discriminativa degli odori. L’elaborazione del segnale al livello del bulbo olfattivo può costituire un primo passo del processo che, attraverso l’integrazione corticale, sintetizza tutti gli aspetti qualitativi dell’esperienza olfattiva nella gamma che va dal piacere generato da una fragranza gradita al fastidio per uno sgradevole tanfo, fino agli effetti psichici di evocazione affettiva ed emotiva di ricordi e stati d’animo legati a un particolare profumo.

 

L’autrice della nota suggerisce la lettura dell’aggiornamento dal titolo “Olfatto e chemorecezione accessoria” (sul sito è disponibile nella sezione “AGGIORNAMENTI” la scheda introduttiva dal titolo “Olfatto ed oltre”, seguita da varie recensioni di lavori originali pubblicate nelle “NOTE E NOTIZIE”).

 

Diane Richmond

BM&L-Giugno 2010

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]