DIBATTITO SU NUOVI GENI DELLA PAROLA

 

 

L’identificazione di FOXP2, le cui mutazioni sono responsabili di gravi disturbi della comunicazione verbale umana, ha attratto l’attenzione della maggioranza degli studiosi di genetica del linguaggio, ma sebbene questo gene controlli centinaia e forse qualche migliaio di altri geni, è solo uno dei tanti che sono stati messi in rapporto con la facoltà della parola e l’uso dei codici linguistici nella realtà umana. Una nuova relazione fra genetica e lingua parlata, emersa di recente e proposta in un articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science (PNAS), ha dato origine nel corso dell’estate ad un interessante dibattito (Katherine Whalley, Setting the tone. Nature Reviews Neuroscience 8, 496, 2007).

Per introdurci ai termini della questione sarà necessario premettere una distinzione in due gruppi di tutti gli idiomi parlati al mondo.

I linguisti ripartiscono le lingue moderne in lingue tonali, in cui particolari frequenze acustiche (toni) conferiscono specifici significati alla comunicazione, e lingue non tonali, largamente indipendenti dalle modulazioni della voce per il conferimento di valore semantico. Le lingue neolatine (italiano, francese, spagnolo, portoghese, rumeno, ecc.) e di ceppo germanico (tedesco, inglese, danese, svedese, norvegese, ecc.), che dominano nel cosiddetto mondo occidentalale europeo ed americano, non sono tonali. Sono lingue tonali gli idiomi della Cina, dell’Indocina (lingue tonali asiatiche) e quelli parlati nella quasi totalità dell’Africa sub-sahariana (lingue tonali africane, quali hausa, yoruba, igbo e kikongo).

In una lingua tonale la modulazione di una stessa sillaba secondo sonorità fra loro diverse può corrispondere a parole diverse. Un tipico esempio è quello del cinese mandarino, la lingua parlata dal maggior numero di persone al mondo (865 milioni contro i 334 dell’inglese), nella quale si distinguono quattro toni in grado di conferire significato, più un tono neutro. In questa lingua la sillaba “ma” pronunciata col primo tono (mā) vuol dire “mamma”, nella frequenza del secondo tono (má) indica la canapa, nel terzo tono (mǎ) designa il cavallo e nel quarto tono (mà) corrisponde al verbo “insultare”.

Sebbene sia stato ipotizzato in passato che il differente sviluppo di lingue tonali o non tonali avesse una radice in fattori genetici, non era mai stato dimostrato un legame che giustificasse una tale ipotesi. Il lavoro pubblicato su PNAS ha evidenziato un rapporto fra geni che controllano le dimensioni del cervello durante lo sviluppo, ed elementi caratterizzanti la lingua parlata. In particolare, varianti di più recente evoluzione dei geni ASPM e microcefalina  erano associati a lingue non tonali.

Patrick Wong della Northwestern University (USA) ha presentato i risultati di questo lavoro interpretandoli come il versante genetico di un’evidente espressione di maggiore evoluzione dei cervelli che hanno dato origine alle lingue non tonali.

Robert Zatorre della McGill University (Canada) ha più prudentemente osservato che lo studio evidenzia un possibile legame fra genetica, anatomia cerebrale e lingua parlata (ScienceNOW). Infatti, ASPM e microcefalina hanno un ruolo importante nello sviluppo encefalico, e loro varianti potrebbero alterare la morfologia di regioni cerebrali implicate nell’associazione di una frequenza acustica ad un valore di senso e, per questo, potenzialmente importanti nell’abilità di decodificare il significato di un tono percepito.

Ma il punto nodale e controverso della questione è se le varianti geniche di ASPM e microcefalina, che predisporrebbero alla creazione e all’uso di lingue non tonali, siano o meno il prodotto di una selezione positiva.

Bernard Crespi della Simon Fraser University (Canada) ha sostenuto su New Scientist la tesi di una specifica selezione di queste varianti in base al vantaggio selettivo di un più rapido apprendimento della lingua.

La tesi appare debole anche intuitivamente, perché è difficile immaginare un vantaggio selettivo in comunità etniche primitive in cui si adopera e si trasmette fin dalla nascita un solo un tipo di lingua. Pertanto la selezione positiva si sarebbe avuta esclusivamente in seno alle popolazioni parlanti lingue non tonali che sarebbero state apprese più in fretta dai bambini portatori delle mutazioni in ASPM e microcefalina.

Contro la tesi di Bernard Crespi si è espresso anche il più autorevole dei ricercatori che hanno firmato l’articolo su PNAS, Robert Ladd della Edinburgh University (UK), che ha affermato su New Scientist che non vi è ragione a sostegno della sua opinione.

Ritengo che si possa essere tutti d’accordo sulla necessità di ulteriori studi che evidenzino l’eventuale esistenza di un rapporto causale fra caratteristiche genetiche e linguistiche e, nel frattempo, concludere, come fa Katherine Walley, citando la dichiarazione di Patrick Wong a Scientific American: “…questo è il primo di molti studi che possiamo fare per cercare di trovare una base genetica per il linguaggio.”

 

Giovanni Rossi

BM&L-Settembre 2007

www.brainmindlife.org