IL PREMIO NOBEL A MARIO ROBERTO CAPECCHI

 

 

Dopo la proclamazione di lunedì scorso, i numerosi articoli, resoconti e commenti televisivi, radiofonici e telematici sulla vita e il lavoro di Mario Roberto Capecchi, hanno fornito dati e dettagli in abbondanza, tanto da non giustificare un’ulteriore trattazione biografica da parte dei Soci di BRAIN, MIND & LIFE Italia; tuttavia ho ritenuto doveroso dedicare al genetista nato in Italia le righe che seguono, sia in ragione del suo interesse per lo sviluppo e le patologie del sistema nervoso, sia per ottemperare ad un’esigenza dei più giovani visitatori del nostro sito che ci hanno chiesto di tracciarne un profilo in breve sintesi.

Mario Roberto Capecchi, insignito con Oliver Smithies (USA) e Martin J. Evans (Gran Bretagna) del Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina 2007, è Distinguished Professor of Human Genetics presso la University of Utah School of Medicine, dove è anche condirettore del Dipartimento di Genetica.

Nato a Verona nel 1937, all’età di quattro anni fu separato dalla madre, arrestata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Dachau. Per quattro anni e mezzo visse di stenti, elemosinando e anche rubando per non morire di fame, fino a quando poté fortunosamente ricongiungersi con la madre, che lo portò con sé negli USA. Qui, all’età di nove anni, non ancora in grado di leggere, scrivere e parlare in inglese, cominciò la scuola elementare. Nel 1961 si diplomò in fisica e chimica all’Antioch College, nell’Ohio, e nel 1967 ottenne il PhD in biofisica ad Harvard.

Fin dagli anni Ottanta, Capecchi ha lavorato per lo sviluppo di una tecnologia nota come gene targeting, che ha consentito di manipolare il materiale genetico degli animali di laboratorio con straordinaria precisione, per creare le mutazioni richieste a scopo sperimentale, virtualmente in qualsiasi gene. Controllando la maniera in cui la sequenza nucleotidica del DNA di un gene è modificata, i ricercatori possono agire sulla funzione del gene alterandola in parte o abolendola del tutto (knock out). Fin dalla sua introduzione, questa metodica è stata impiegata per ingegnerizzate topi, creando modelli sperimentali di patologie umane, quali la malattia di Alzheimer, la fibrosi cistica, l’ipertensione e numerose forme di malattie cardiache e neoplastiche. L’affinamento della tecnica, nel corso degli anni, ora consente di limitare la modificazione genetica ad un particolare tessuto o fare in modo che si verifichi ad un tempo definito, corrispondente ad una fase dello sviluppo o della vita dell’animale.

Capecchi e i suoi collaboratori hanno usato il gene targeting per il knockout sistematico dei geni della famiglia Hox, considerati i principali regolatori del piano di sviluppo del corpo. In tal modo hanno scoperto l’importanza di Hox10 e Hox11 nell’orchestrare i processi che portano alla formazione della colonna vertebrale, delle costole e delle ossa degli arti.

Straordinariamente interessante la creazione di topi con difetto di Hox8: senza questo gene gli animali eccedevano nelle operazioni istintive di pulizia personale (grooming), giungendo fino a distruggere il pelo, rendendo glabre le aree stropicciate di frequente, e a prodursi vere e proprie ferite cutanee. Mario Capecchi ipotizzò che un difetto nel gene Hox8 fosse alla base dei sintomi rupofobici del disturbo ossessivo-compulsivo: la spinta che porta le persone affette da questo disturbo ad una eccessiva e irrinunciabile tendenza a lavarsi ripetutamente, avrebbe un’origine genetica, e le dinamiche psichiche osservate dagli psichiatri, non avrebbero un ruolo causale, ma si svilupperebbero secondariamente per effetto di elaborazioni, in parte automatiche e in parte coscienti, dell’esperienza cognitivo-emozionale connessa con l’emergere del sintomo.

Capecchi e collaboratori, realizzando il primo modello murino di rabdomiosarcoma alveolare, una grave neoplasia muscolare maligna dell’infanzia, hanno consentito progressi nella conoscenza delle cause della malattia.

Sono numerosi, ma soprattutto di alto livello qualitativo, i lavori che lo scienziato italo-americano ha prodotto nel campo della genetica molecolare dello sviluppo, in particolare su neurogenesi, organogenesi, configurazione della colonna vertebrale e sviluppo degli arti.

Intervistato subito dopo la comunicazione dell’assegnazione del massimo riconoscimento in campo scientifico, Mario Capecchi ha dichiarato che non sa se le avversità dell’infanzia abbiano contribuito ai successi dell’età matura o se possa dire di essere riuscito a fare così tanto, nella sua vita di scienziato, nonostante quelle esperienze. Un fatto è certo, che l’abbandono nell’infanzia lo ha reso consapevole della grande importanza delle relazioni umane e, in particolare, del sostegno che si può ricevere da un mentore in grado di infondere sicurezza e coraggio. Così parla di James Watson, suo referente durante il dottorato e guida nelle esperienze scientifiche degli anni seguenti: “non mi ha insegnato molto su come fare scienza, ma piuttosto mi ha trasmesso fiducia nell’affrontare qualsiasi problema scientifico mi affascinasse, indipendentemente dalla sua complessità. Mi ha anche insegnato l’importanza del comunicare la propria scienza chiaramente e del perseguire obiettivi scientifici importanti”.

Mi piace notare che questo scienziato proviene culturalmente dalla tradizione dei biofisici divenuti sul campo biochimici e biologi molecolari, come Francis Crick e Maurice Wilkins, i quali scoprirono nel 1953 la struttura a doppia elica del DNA collaborando con James Watson, che sarà poi mentore e ispiratore di Capecchi.

La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia esprime a Mario Roberto Capecchi le sue più vive congratulazioni, indicandolo alle giovani generazioni come uno straordinario esempio di coraggio nelle avversità, di volontà, rigore e perseveranza; qualità che hanno consentito alle sue doti di intelligenza scientifica e maestria tecnica di rivelarsi e svilupparsi nel tempo.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Ottobre 2007

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