NEWMOOD

UN PIANO QUINQUENNALE PER STUDIARE LA GENETICA DELLA DEPRESSIONE

 

 

“NEWMOOD” è il nome che è stato dato ad un nuovo progetto per lo studio della genetica della depressione, lanciato l’altra settimana allo Human Genome Meeting di Berlino, dove è stato annunciato l’avvio di questa ricerca in tredici laboratori di dieci diversi paesi, per una durata di cinque anni. L’Unione Europea finanzierà il progetto per 7,3 milioni di euro.

Il progetto è molto articolato e sicuramente porterà risultati di un certo rilievo, anche se non necessariamente farà luce sull’etiopatogenesi dei disturbi depressivi in senso stretto. Da questa angolazione, i risultati di NEWMOOD potrebbero costituire un buon punto di partenza per una conoscenza più mirata, in campi diversi da quello genetico.

Ad esempio, i ricercatori costruiranno un microchip con 800 geni che si suppone correlati con la depressione, includenti geni attivi nel metabolismo, nella crescita e nella comunicazione cellulare; il chip registrerà quali geni sono attivi negli animali e negli esseri umani sani e depressi. Questo studio potrebbe condurre a modelli animali della depressione umana migliori di quelli attuali che, per la verità, lasciano molto a desiderare.

Si spera che questo studio non venga monopolizzato dall’angolazione visuale tipica della ricerca delle case farmaceutiche e cerchi, per quanto possibile, di contribuire a fare luce sulle caratteristiche “di base” che predispongono più di altre alla risposta depressiva ad eventi stressanti e a circostanze esistenziali in grado di evocare risposte inibitorie.

Un approfondimento delle conoscenze di base è quanto mai importante, anche alla luce del fatto che, fino alle recenti scoperte dei meccanismi dello stress in grado di determinare le condizioni cerebrali della depressione, le teorie patogenetiche si erano basate su congetture ricavate dall’efficacia di farmaci come gli inibitori della ricaptazione (a tale proposito si veda l’intervista a Giuseppe Perrella nella rubrica “INTERVISTE”). Per oltre trent’anni questa visione parziale, non giustificata sulla base delle conoscenze neurobiologiche e psichiatriche, ha approfondito il solco fra l’approccio farmacologico e quello psicologico all’esperienza e alla sofferenza depressiva.

Le sindromi depressive sono un fenomeno estremamente diffuso e si stima che il numero delle persone affette nel mondo occidentale, dove si effettuano rilievi epidemiologico-statistici, si aggiri intorno ai 120 milioni: nella maggior parte dei casi un ruolo decisivo nella guarigione o nelle remissioni durature sembra sia svolto dagli interventi psicoterapici, cosa che ci ricorda l’importanza delle esperienze di relazione nell’attivare processi cerebrali, così come la fisiologica capacità che ha il cervello, nelle giuste condizioni, di curare se stesso.  

 

BM&L- Aprile 2004