LA NEUROSCIENZA DELLO SPIRITO

 

 

“Non andate a consultare gli dei per scoprire con la divinazione l’anima che dirige, ma istruitevi presso un anatomista” [Galeno, II secolo d.C.].

 

 “La più bella emozione che noi possiamo sperimentare è quella mistica. E’ l’energia di tutta la vera arte e la vera scienza. Colui al quale questa emozione è estranea, chi non può più stupirsi e rimanere rapito nella meraviglia, è bell’e morto.” [Albert Einstein][1]

 

Il Novecento si è caratterizzato per la diffusione e il consolidamento di una visione materialistica della realtà umana che ha avuto origine e sostegno in uno sviluppo senza precedenti della scienza e delle sue applicazioni, e nel costituirsi di una cultura di massa, attraverso i mezzi di comunicazione, incline a rivolgersi più al sapere scientifico che alle religioni e alle filosofie[2], per la ricerca di risposte ai grandi quesiti che attengono al senso e al valore della nostra vita.

Un’espressione emblematica di quella fase della storia recente, ci sembra sia stata la pubblicazione l’8 aprile del 1966[3] su Time magazine, il primo e più importante al mondo fra i periodici di costume, attualità e politica, di un’inchiesta che aveva in copertina questo titolo per l’articolo principale: “Is God Dead?”. La domanda era retorica, perché gli editors ritenevano che l’implicita riposta affermativa era nella mente dalla maggior parte dei loro lettori statunitensi che si presumeva condividessero la tesi di fondo: la scienza stava poco a poco cancellando la dimensione spirituale dalle coscienze, perché tutto ciò che non poteva essere conosciuto mediante il metodo scientifico si stava rivelando irreale o poco interessante. Secondo Mario Beauregard e Denyse O’Leary, il quadro tracciato in “Is God Dead?” non lasciava spazio alla filosofia o alla spiritualità, ma solo all’angoscia esistenziale[4].

Il clima culturale non sembrava molto cambiato trent’anni dopo, quando il pensatore americano[5] Tom Wolfe espose la sua “visione neuroscientifica della vita” in  “Sorry, but Your Soul Just Died”[6], un elegante e sintetico saggio basato sui risultati ottenuti con le nuove tecniche di neuroimmagine in grado di documentare l’attività cerebrale nel pensiero e nelle emozioni. Wolfe giungeva a negare l’esistenza del “libero arbitrio” sulla base dei vincoli biologici delle funzioni mentali.

Nove anni più tardi, nel corso del Summit mondiale sull’Evoluzione[7], Daniel Dennett[8] ribadiva che non v’è anima o spirito associato al cervello umano, che non esiste vita dopo la morte, né esseri soprannaturali, e che nei suoi studi aveva concentrato ogni sforzo nel tentativo di spiegare come “significato, funzione e proposito possano esistere in un mondo che è intrinsecamente privo di significato e funzione”[9].

Qualche mese dopo, nel settembre del 2005, Jerry Adler per Newsweek, provò a verificare se le tesi esposte quasi quarant’anni prima su Time[10] avessero lo stesso fondamento.

L’intervista di 1004 Americani sulle proprie convinzioni e sul proprio credo, presentò un quadro alquanto inatteso: la maggioranza degli intervistati (64%) si definiva “religioso” e ben il 79% si descriveva come “spirituale”, ossia persona con un’intensa e significativa vita dello spirito. Una tale differenza poteva essere spiegata coi mutamenti in atto nel terzo millennio, fra i quali è evidente un ritorno a valori umanistici e morali in chiave trascendente ed il rinnovarsi del senso dell’appartenenza religiosa come elemento di identità culturale, soprattutto a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001.

Ma Adler ha preferito una diversa prospettiva, sostenendo che il quadro presentato quattro decenni prima non riproduceva fedelmente la realtà: già allora, secondo lui, le cose stavano diversamente. L’editorialista ha osservato, infatti, che i colleghi di Time avevano scambiato i valori e lo stile di vita di midtown Manhattan (New York) per quelli di tutti gli Americani, e che avevano concentrato la loro attenzione su quanto stava accadendo presso le confessioni protestanti di maggior peso politico, trascurando i diffusi fenomeni di ritorno del fervore religioso che si stavano avendo in tutti gli USA in seno ai movimenti pentecostali.

Pur accogliendo questa tesi, si deve notare che il clima è mutato in seno alla comunità scientifica, nella quale la riflessione è molto più ricca e problematica che in passato[11]. Ad esempio, la contrapposizione fra creazionismo ed evoluzionismo, che era nel pensiero di Darwin e dei suoi oppositori, attualmente non ha più grande credito ed interesse presso i ricercatori e, di fatto, è sostenuta solo da chi ha una posizione preconcetta; infatti, nulla osta che i processi biologici dell’evoluzione costituiscano meccanismi della creazione.

In questo nuovo clima alcuni neuroscienziati, studiando le basi neurobiologiche delle esperienze mistiche e spirituali, hanno messo a nudo una grande quantità di errori derivati da pregiudizi e bias, e stanno dando vita ad una sperimentazione che dimostra la fallacia delle posizioni di Dennett e l’inconsistenza logica delle tesi – come quelle sostenute da Wolfe – che impiegano i correlati neurali delle esperienze religiose come una prova dell’inesistenza dell’anima. Già Ippocrate aveva compreso che tutto dipende dal cervello e, prima di lui, vari medici egizi dallo studio di lesioni cerebrali avevano desunto il controllo encefalico della parola e dei movimenti. Il cervello è parte del corpo: perché il fatto che il corpo esiste e funziona debba essere una prova che l’anima non esiste, non si comprende. Così come non si comprende perché la descrizione di un programma di sviluppo del cervello uguale per tutti dovrebbe negare l’esistenza del libero arbitrio, quando è sotto gli occhi di tutti il potere che ha ciascuno di obbedire o disobbedire e, a partire da ciò che conosce e capisce, scegliere liberamente, a meno che non vi siano altri od altro a limitare questa libertà. La stessa ricchezza di culture ed opinioni create dall’uomo è testimonianza delle possibilità sulle quali la libera scelta può essere esercitata. Il dubbio, che in alcuni casi diventa certezza, è che si voglia negare l’esistenza del “libero arbitrio” per negare il valore di significato che ha avuto come formula religiosa nella tradizione giudaico-cristiana -e conseguentemente in una parte considerevole del pensiero occidentale- perché, mancando la possibilità di dimostrare con certezza l’inesistenza di Dio, si mira ad attaccare l’impianto del pensiero delle più importanti confessioni religiose con argomentazioni suggestive[12]. Anche se gli intenti di coloro che compiono queste operazioni -si pensi a Dawkins- sono dei migliori, mirando a combattere le varie forme rinascenti dell’irrazionalismo, il metodo non è rispettoso dei principi della scienza.

La neuroscienza dello spirito, proponendosi il fine di indagare quei fenomeni spirituali e mistici che non sono riportabili agli schemi delle esperienze comunemente studiate nei laboratori, sta offrendo un contributo interessante alla conoscenza del nostro cervello, indipendentemente dalle convinzioni personali dei ricercatori e dalle possibili strumentalizzazioni del significato dei risultati sperimentali.

La Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life – Italia” ha pubblicato con cadenza settimanale sotto il titolo “LA RICERCA DELLO SPIRITO NEL CERVELLO”, dal 10 novembre 2007 al 26 gennaio 2008, uno “stato dell’arte” suddiviso in dieci parti. A queste recensioni e discussioni degli studi di maggior rilievo – che si possono trovare scorrendo la sezione “NOTE E NOTIZIE” – rimandiamo tutti coloro che sono interessati a questo nuovo e promettente campo d’indagine.

 

Gli spunti e i principali riferimenti di questa nota sono tratti da una relazione dal titolo: “L’oggetto mentale non convenzionale nella sperimentazione neuroscientifica degli inizi del Terzo Millennio”, tenuta a Firenze sabato 5 luglio 2008 da Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Luglio 2008

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                



[1] Albert Einstein, “The World as I See it”. Il saggio fu originariamente pubblicato in Forum and Century, 84, 193-194, 1931, come il tredicesimo della serie “Living Philosophies”.

[2] La divulgazione nei paesi di lingua inglese tendeva a proporre uno schema di evoluzione culturale così riassumibile: il pensiero umano più primitivo, per dominare il terrore degli eventi catastrofici naturali e della stessa morte, ha creato le religioni; il successivo prevalere dell’esercizio razionale nell’interpretazione dell’esperienza ha dato luogo alla nascita della filosofia; infine, l’affermarsi della sperimentazione mediante metodi intrinsecamente coerenti e procedure verificabili ha prodotto la scienza, che è lo strumento di conoscenza migliore in nostro possesso. Questa visione dava per implicito che la sopravvivenza delle forme e dei modi delle prime due esperienze culturali nelle società contemporanee, fosse un antico retaggio destinato all’estinzione. Si può rilevare che era data per implicita anche la mutua esclusione delle tre forme di pensiero e conoscenza, ossia non si ammetteva che potessero riguardare aspetti e modi diversi di concepire la realtà, in grado di integrarsi vantaggiosamente. In altre parole, si supponeva che un solo paradigma (quello scientifico) potesse soddisfare ogni tipo di esigenza conoscitiva e, prima o poi, avrebbe dato risposta ad ogni domanda.

[3] Era di venerdì santo: la scelta di quel giorno fu calcolata per ottenere il massimo risultato nelle vendite.

[4] Mario Beauregard e Denyse O’Leary, The Spiritual Brain. HarperOne, New York 2007.

[5] Negli USA e in Canada un osservatore come Tom Wolfe è definito “culture critic”.

[6]  Tom Wolfe, Sorry, but Your Soul Just Died, Athenaeum Reading Room, 1996,

 http://evans-experimentalism.freewebspace.com/wolfe.htm

[7] Nel giugno del 2005, nell’isola di San Cristobal dell’arcipelago delle Galàpagos, esattamente in località Frigatebird Hill, dove Charles Darwin attraccò nel 1835 per raccogliere le prove dell’origine e della natura delle specie, si è tenuto il World Summit on Evolution. L’evento, ritenuto di portata storica per la filosofia della scienza e nato dall’esigenza di fare il punto della situazione e dibattere i tanti temi e problemi insoluti derivanti dai numerosi sviluppi teorici degli ultimi decenni, ha anche risposto alla necessità più generale di riaffermare tesi classiche della cultura evoluzionistica, in un quadro culturale alquanto mutato. (In proposito, vedi anche Michael Shermer, The Woodstock of Evolution. Scientific American, June 27, 2005).

[8] Daniel Dennett, tra i massimi filosofi della mente viventi e noto anche al grande pubblico per saggi come “Contenuto e Coscienza” (1969 e 1986), “L’Io della mente” (con Douglas Hofstadter, 1982) e “Brainstorms” (con Douglas Hofstadter, 1991), è stata una figura-chiave del Summit. Come è stato acutamente osservato da molti partecipanti all’evento, la straordinaria somiglianza fisica di Dennett con Charles Darwin ha facilitato uno spontaneo riconoscimento del ruolo di “Darwin della mente”, espressione già impiegata, sulla base di altre considerazioni, per Sigmund Freud.

Accantonando la mente, il vero erede di Darwin è stato senz’altro Ernst Mayr che l’anno prima, all’età di 100 anni, ha pubblicato il suo ultimo illuminante saggio sulle teorie dell’evoluzione (What Makes Biology Unique? Considerations on the Autonomy of a Scientific Discipline. Cambridge University Press, Cambridge 2004). 

[9] Andrew Brown, The Semantic Engineer, Guardian Unlimited, April, 17, 2004. 

[10] Jerry Adler, Special Report: Spirituality 2005, pp. 48-49, Newsweek, Sept. 5, 2005.

[11] Nella storia delle neuroscienze gli esempi di autorevoli studiosi credenti sono numerosi, basti pensare a Charles Sherrington, a Wilder Penfield e a Sir John Eccles, ma proprio quest’ultimo, pur godendo di altissima stima per gli studi che lo avevano portato al Premio Nobel, fu oggetto di celie da parte dei suoi colleghi quando seppero della sua fede religiosa ed alcuni giunsero a farsi beffe di lui dicendo che avrebbe invocato un “dio delle sinapsi” per spiegarsi il fenomeno della neurotrasmissione.

[12] Questo modo di procedere, che non ha nulla di scientifico, può essere paragonato alle forme che caratterizzavano l’attivismo dei fanatici dell’ateismo.