SCLEROSI MULTIPLA: UN AIUTO DALLA PROTEOMICA

 

 

Attualmente si stima che oltre un milione di persone al mondo siano affette da sclerosi multipla (SM) ma, sebbene col crescere del numero delle diagnosi siano migliorate le stime prognostiche e i numerosi progressi nella comprensione degli eventi patologici abbiano mutato l’atteggiamento clinico, si è ancora lontani dalla possibilità di debellare questo flagello. E’ noto che questa malattia, a patogenesi autoimmune, si presenta con un decorso clinico diverso da caso a caso e che il differente comportamento delle lesioni nei singoli stadi ha fatto ipotizzare l’esistenza di processi patologici diversi per gravità e prognosi, accomunati dalle caratteristiche anatomo-patologiche salienti e da alcuni eventi patogenetici. In altre parole, è probabile che la soluzione del problema terapeutico della SM richieda una distinzione in vari tipi di malattia sulla base di una precisa caratterizzazione molecolare.

Steinman e colleghi del Dipartimento di Neurologia e Scienze Neurologiche della Stanford University School of Medicine, hanno condotto un’analisi proteomica di ampia scala delle lesioni, fornendo uno straordinario spettro di possibilità per l’azione di nuovi farmaci (Han M. H. et al. Proteomic analysis of active multiple sclerosis lesions reveals therapeutic targets. Nature 451, 1076-1081, 2008). 

Le lesioni della sclerosi multipla presentano caratteri distintivi dello stato di attività della malattia, in base ai quali possono definirsi diversi profili tipologici; i ricercatori hanno esaminato le placche umane a tre stadi di evoluzione della malattia, mediante laser-capture microdissection e spettrometria di massa: 1) placca acuta, 2) placca cronica attiva e 3) placca cronica.

Oltre 1000 proteine sono state identificate in ciascun tipo di lesione, più di 100 delle quali sono risultate specifiche per quel particolare tipo di placca. Sorprendentemente, 5 proteine note come fattori della cascata di reazioni implicata nella coagulazione, si sono rivelate esclusive delle placche croniche attive. Questo rilievo suggerisce un ruolo, precedentemente insospettabile, di un’alterazione della regolazione della coagulazione nella patogenesi del danno della sclerosi multipla.

I ricercatori hanno concentrato l’attenzione su due di queste proteine: TF (da tissue factor) e PCI (da protein C inhibitor). Entrambe è noto che segnalano, attraverso il recettore attivato dalle proteasi (PAR), alle proteine di attivare la segnalazione pro-infiammatoria della trombina, e PCI funziona anche da inibitore della proteina C attivata (aPC), un importante anticoagulante fisiologico.

La presenza di TF e PCI nelle placche croniche attivate implica, nella patogenesi della sclerosi multipla, un’upregulation della segnalazione della trombina e una soppressione della via della proteina C.

Per indagare l’efficacia terapeutica di un’azione su TF e PCI, in topi nei quali era stata indotta encefalomielite autoimmune (EAE), modello murino standard di SM sperimentale, sono stati iniettati quotidianamente o l’inibitore della trombina irudina o aPC ricombinante. In entrambi i casi, si è avuta una marcata riduzione della gravità della malattia. I due trattamenti, protratti per 35 giorni, hanno indotto i seguenti effetti:

1) riduzione della proliferazione di cellule immunitarie;

2) riduzione della produzione delle citochine Th1 e Th17 da parte di astrociti, splenociti e cellule dei linfonodi;

3) riduzione del numero di foci infiammatori del sistema nervoso centrale.

Il giudizio positivo sugli esiti della sperimentazione è però moderato da due problemi: 1) l’effetto protettivo dell’irudina non andava oltre il 35° giorno, verosimilmente per la produzione di anticorpi anti-irudina; 2) il trattamento con un anticoagulante aumenta il rischio di sanguinamento. Tuttavia, ulteriori studi potrebbero consentire il superamento dei limiti all’impiego di aPC ricombinante nel trattamento della SM. Infatti, sebbene esperimenti con mutanti di aPC abbiano dimostrato che, per ottenere l’effetto di soppressione della EAE nel topo, sia necessaria tanto l’azione anticoagulante quanto quella antinfiammatoria (quest’ultima attraverso PAR1), si potrebbero selezionare varianti efficaci prive di potenziale emorragico.

Questo studio evidenzia l’importanza e l’utilità della realizzazione di profili proteomici di ampia scala sul tessuto patologico, non solo al fine di approfondire la conoscenza della patologia molecolare di questa malattia degenerativa, ma anche allo scopo di identificare nuovi obiettivi per l’azione farmacologica. La capacità dell’irudina e, ancor più, dell’aPC di abolire gli effetti di due proteine di nuova identificazione nelle placche della SM, indica nuove direzioni e possibilità per la ricerca.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza e invita a scorrere l’elenco delle “Note e Notizie” e degli “Aggiornamenti” di BRAIN MIND & LIFE ITALIA per consultare le nostre numerose recensioni di lavori sulla sclerosi multipla.

 

Diane Richmond

BM&L-Aprile 2008

www.brainmindlife.org