UN TENTATIVO PER DISTINGUERE LA MEMORIA NON DICHIARATIVA

 

 

La neurobiologia della memoria e dell’apprendimento ha a lungo accarezzato il sogno di decodificare in termini molecolari tutta l’esperienza umana del conoscere e ricordare, riportandola ad un unico livello di descrizione. Sebbene i neurofisiologi avessero molte perplessità al riguardo, si era fatta strada l’ipotesi, anche grazie ai brillanti risultati ottenuti su Aplysia californica da Eric Kandel (Premio Nobel nel 2000), che le differenze neurofisiologiche fra i diversi sistemi di neuroni impegnati in varie forme di memoria, potessero avere diretti correlati molecolari ai quali ricondurre ogni specificità. Ma la complessità dei rapporti fra i vari livelli di indagine, nota ai ricercatori che negli ultimi decenni hanno tentato di stabilire relazioni fra i processi biologici e i tipi di memoria descritti dalla neuropsicologia, non ha consentito di eliminare le barriere che separano i significati degli eventi descritti e sperimentati a ciascun livello.

Ricordiamo, sinteticamente, alcuni elementi che caratterizzano e fondano le nostre attuali conoscenze sui livelli funzionali di studio della memoria.

Storicamente si fa risalire all’ipotesi formulata nel 1949 dal neurofisiologo e psicologo canadese Donald Hebb la prima traccia per uno studio biologico della memoria: “Si ha memoria quando la scarica contemporanea del neurone pre-sinaptico e di quello post-sinaptico determina un rinforzo della sinapsi che li unisce” (sinapsi hebbiana).

La dimostrazione dell’esistenza di giunzioni neurali con queste caratteristiche e del loro ruolo a fondamento della conservazione di un tipo di risposta, ha richiesto decenni. La prima individuazione di un correlato cellulare della memoria si ebbe con la scoperta del potenziamento di lungo termine (LTP) dell’attività di un neurone (Bliss e Lømo, 1973), alla quale seguì la registrazione di un fenomeno speculare, cioè la depressione di lungo termine (LTD). Abbandonata l’ipotesi dei neurotrasmettitori come “molecole della memoria”, che riscuoteva ancora consensi negli anni Settanta, si individuò il primo correlato molecolare in un particolare funzionamento di un recettore per il glutammato (NMDA).

Allo stato attuale delle conoscenze, lo studio della memoria al livello molecolare non ci consente la distinzione fra il ricordo che si rappresenta in forma esplicita alla nostra coscienza, come accade quando rammentiamo il nome di una persona o raccontiamo un episodio di vita vissuta, da quelle forme di memoria di cui non siamo coscienti, come quelle che ci fanno agire da esperti in un ambiente conosciuto o che ci fa compiere i movimenti necessari per scrivere mediante una tastiera. La distinzione fra queste due grandi tipologie di memoria, introdotta dalla neuropsicologia, è possibile solo in termini di sistemi neuronici, sulla base di proprietà funzionali individuate per primo da Benjamin Libet: le reti neuroniche corticali correlate con la coscienza dichiarativa richiedono un tempo di percorrenza in genere superiore a 500 millisecondi (circuito di Libet), mentre i sistemi procedurali e associativi, facendo a meno di questo transito per una via globale, impiegano un tempo notevolmente minore.

Pur accontentandosi di studiare i correlati neurali della nostra memoria solo in termini di fisiologia dei sistemi, i problemi sono tutt’altro che risolti, perché da tempo è stato dimostrato che l’analisi delle prove ordinariamente impiegate nella sperimentazione umana, non consente di distinguere la memoria esplicita da quella concettuale implicita.

Voss e Paller hanno affrontato il problema, prendendo le mosse da studi basati su neuroimaging e gravati dall’influenza, non rilevata, di altri tipi di memoria su quella esplicita               (Voss J. L. & Paller K. A., Neural correlates of conceptual implicit memory and their contamination of putative neural correlates of explicit memory. Learn Mem. 14 (4), 259-267, 2007).

I due ricercatori, che lavorano ad un programma interdipartimentale della Northwestern University dell’Illinois, hanno messo a punto per la prima volta un sistema che consente di registrare correlati elettrofisiologici specifici della memoria implicita concettuale, distinguendoli da quelli della memoria esplicita su cui si basa la rievocazione cosciente.

L’importanza del risultato è notevole perché, come rilevano gli autori, attualmente lo studio mediante metodiche di neuroimmagine di ciascuno dei due tipi di processo, rileva in parte anche l’altro, senza la possibilità di discernere effettivamente fra le due componenti e, pertanto, gran parte della produzione scientifica in questo campo ha un basso grado di accuratezza ed un’attendibilità limitata.

Usando sagome visive prive di significato (“minimalist visual shapes” o squiggles), Voss e Paller sono riusciti a definire un potenziale correlato ad evento (ERP o event related potential) insorgente in sede frontale dai 300 ai 500 millisecondi dopo la presentazione ripetuta di squiggles, attribuibile ai processi concettuali impliciti e ben distinto dai potenziali corrispondenti alla memoria esplicita. Tali potenziali, associati ai concetti impliciti, possono facilmente contaminare gli ipotetici correlati della memoria esplicita nel fenomeno conosciuto come familiarità.

Il risultato di questo lavoro è veramente degno di nota, e si può facilmente prevedere che la procedura impiegata per rilevare i potenziali cognitivi impliciti sarà presto adottata da tutti i ricercatori che operano in questo campo, con presumibili progressi nella discriminazione elettrofisiologica fra l’implicito e l’esplicito.

Per quanto riguarda una distinzione in termini cellulari e molecolari, si dovrà invece rassegnarsi ad un’attesa dalla durata difficilmente determinabile.

 

Lorenzo L. Borgia & Diane Richmond

BM&L-Ottobre 2007

www.brainmindlife.org