COME LA MEMORIA GUIDA L’ATTENZIONE NEL DOMINIO PERCETTIVO

 

 

Hermann Ebbinghaus, oltre centoventi anni fa, applicò per primo il metodo sperimentale allo studio della memoria nel quadro delle funzioni mentali superiori, effettuando su se stesso esperimenti controllati di apprendimento e rievocazione di un materiale schematico e facilmente riproducibile. I progressi delle conoscenze nell’ambito della psicologia della memoria durante il secolo successivo si sono sviluppati, attraverso la scuola gestaltica in Germania e quella di Barlett in Gran Bretagna, in gran parte criticando radicalmente gli studi precedenti, fino alla celebre stroncatura di Ulrich Neisser (1978), uno dei maggiori studiosi della memoria di tutti i tempi: “Se un tratto è interessante o caratteristico del comportamento umano, difficilmente gli psicologi lo hanno studiato”. Alan Baddley ha sostenuto la piena condivisione di questa opinione (si veda A. Baddley, Human Memory. Theory and Practice. Hove Lawrence Erlbaum Associates Ltd. 1990).

Tuttavia, un riesame critico degli studi di psicologia, neuropsicologia e neurofisiologia della memoria, ci consente di affermare che non tutto era da buttar via negli studi pionieristici e non tutto è perfetto nella sperimentazione del terzo millennio. Le esigenze riduzioniste delle procedure attualmente impiegate nella ricerca, hanno di fatto creato separazioni artificiose fra processi intimamente connessi, quali percezione, attenzione, memoria, apprendimento ed altre attività globali della mente, inducendoci a rivalutare il riferimento -tanto vituperato- di Ebbinghaus all’insieme complessivo delle “funzioni mentali superiori” distinte dal controllo vegetativo e dalle risposte riflesse.

Proprio i rapporti fra i processi cognitivi che costituiscono aspetti diversi di un’unica attività mentale, sono al vaglio di sempre più numerosi progetti di ricerca.

Jennifer Summerfield e colleghi, lavorando nel laboratorio di Anna Nobre all’Università di Oxford, hanno introdotto un nuovo paradigma sperimentale che impiega scene di ambienti naturali per studiare in che modo la memoria di lungo termine guida l’attenzione spaziale nell’identificazione di eventi nel dominio percettivo (Orienting Attention Based on Long-Term Memory Experience. Neuron 49, 905-916, 2006).

In questi esperimenti, l’orientamento spaziale era guidato da memorie stabili di oggetti inclusi nell’ambito di scene complesse. Le manifestazioni comportamentali e gli effetti sui sistemi cerebrali di orientamento guidati dalla memoria, rilevati durante le prove, sono stati confrontati con quelli registrati in una prova convenzionale di attenzione-orientamento in cui la risposta attentiva è guidata da stimoli spaziali transitori.

Il confronto ha evidenziato che l’attenzione guidata da memorie consolidate operava in intervalli temporali straordinariamente più brevi, conferendo vantaggi certi e rilevanti nel rilievo degli oggetti inclusi nelle scene. La metodica di risonanza magnetica funzionale correlata ad evento (ER-fMRI) ha mostrato che l’attenzione guidata dalla memoria implica l’interazione fra due distinti sistemi di neuroni:

 

a) la rete per il recupero delle memorie del contesto spaziale e

b) la rete fronto-parietale per l’orientamento visuo-spaziale.

 

Un ultimo elemento interessante del lavoro condotto dalla Summerfield riguarda l’ippocampo: l’attività dei circuiti ippocampali era specificamente indotta dall’attenzione spaziale guidata dalla memoria ed era strettamente correlata con i vantaggi prestazionali che il rilevamento basato sulla pregressa e consolidata conoscenza degli oggetti mostrava al confronto con quello dipendente da stimoli attuali.

In conclusione si può osservare che, se è evidente quanto la memoria, l’orientamento basato sull’attenzione esplorativa e la percezione discriminata siano intrinsecamente legati fra loro, solo raramente se ne studiano le relazioni, pertanto si spera che gli studi volti all’approfondimento dei rapporti tra le grandi funzioni alla base della cognizione umana divengano sempre più numerosi e facciano luce sulle tante zone d’ombra che ancora nascondono aspetti importanti della neurofisiologia della mente.

 

L’autore della nota ringrazia Giuseppe Perrella, per avergli fornito materiale bibliografico e spunti di riflessione sull’argomento trattato, ed Isabella Floriani per la cortese collaborazione.

 

 Giovanni Rossi

BM&L-Marzo 2006

www.brainmindlife.org