LA MAPPATURA CEREBRALE
COME CHIAVE PER IL RECUPERO FUNZIONALE
BM&L-International ha ricevuto uno special report
dal Center for Neuro Skills di uno studio presentato al meeting annuale della
Radiological Society of North America, in cui si illustrano le possibilità di
persone affette da danno cerebrale da trauma, di “riprogrammare” il loro
cervello per migliorare le abilità motorie ed il controllo degli arti
artificiali.
Lo studio, condotto da Kristine Mosier, assistant professor
di radiologia dell’Università dell’Indiana a Indianapolis, mostra che usando la
risonanza magnetica funzionale (fMRI) e un cyberglove (un guanto
provvisto di sensori Polemus in grado di segnalare le posizioni assunte nello
spazio con i vari movimenti) per registrare
le variazioni durante l’attività motoria, i pazienti possono imparare
ri-mappare e ri-dirigere i comandi motori.
BM&L-Italia guarda con interesse ed attenzione alle
possibilità offerte da studi come questo per affinare e focalizzare gli
obiettivi della rieducazione motoria intesa come “apprendimento in condizioni
patologiche”. La possibilità di seguire con tale accuratezza i pazienti può
senz’altro migliorare le prestazioni dei terapisti. A questo si aggiunga
l’effetto di stimolo sulla partecipazione della persona affetta data dalla
possibilità di monitorare ciò che sta facendo, visualizzando un effetto
cerebrale anche quando manca un immediato riscontro nei risultati.
Ciò detto, ci sembra necessaria una riflessione in chiave
critica.
Innanzitutto, ci sembra fuori luogo parlare di re-mapping
dovuto a questa tecnica per almeno due motivi: 1) il rapporto fra la funzione
dei gruppi neuronici e la loro posizione è molto complessa e ancora poco
conosciuta, quindi a parte le localizzazioni somatotopiche corticali note dai tempi
di Penfield ben poco è stato “mappato” in maniera schematica (ad esempio la
funzione visiva adopera 32 aree corticali e un numero imprecisato di aree
sotto-corticali con una corrispondenza topografica variabile e non così
definita nei confini da consentirci di stabilire un profilo normale dal quale
desumere per differenza quello patologico); 2) anche se le funzioni che si
vogliono riabilitare fossero rigidamente localizzate, l’obiettivo terapeutico
diretto dell’esercizio non sarebbe costituito da un gruppo neuronale, essendo
il riarrangiamento plastico (che avviene in particolare nella corteccia)
piuttosto una conseguenza del tipo di esercizio che mira, agendo a valle, a
fare in modo che attraverso le catene di feedbacks si inducano le aree
funzionali di più alto livello a rimodulare un’attività che consenta quella
funzione.
Questa breve osservazione critica nulla toglie alla validità
della tecnica che, a nostro avviso, è utile soprattutto per il monitoraggio
della singola persona e, a patto che la si studi seduta per seduta, può fornire
importanti suggerimenti e correttivi ai tradizionali protocolli di
trattamento.