Lingua e Apprendimento

Un’interessante acquisizione sul processo di selezione delle unità fonetiche della lingua madre

 

Fin dalla nascita abbiamo potenzialmente la capacità di distinguere e riconoscere tutta la gamma dei suoni usati nelle lingue umane. A seguito della costante ed esclusiva percezione uditiva della sola lingua madre, nel periodo che va dai 6 ai 12 mesi, questo spettro si riduce piuttosto bruscamente, dando origine ad una specializzazione recettiva progressivamente crescente e caratterizzata da un’elevata capacità di discriminazione limitata a quella sola gamma fonetica. Poiché è noto che i bambini possono apprendere più di una lingua sfruttando le straordinarie facoltà delle fasi più precoci di sviluppo, si è ritenuto che la restrizione dello spettro recettivo di alta discriminazione alla sola lingua madre non sia un destino obbligato.

D’altra parte, se anche in età adulta si possono apprendere nuove lingue acquisendo la capacità cerebrale di risposta a nuovi suoni verbali e a nuove intonazioni prosodiche, questa restrizione non rappresenta una selezione rigida e irreversibile di tutto il sistema. Tuttavia, non è semplice comprendere la natura e le caratteristiche fisiologiche di questi processi se pensiamo, ad esempio, che l’efficienza nell’acquisizione della lingua madre sembra basarsi  proprio sulla selezione di un set di suoni verbali.

Per studiare meglio la natura e le caratteristiche di questa funzione di specializzazione nell’apprendimento Kuhl e i suoi collaboratori (Foreign-language experience in infancy: effects of short-term exposure and social interaction on phonetic learning, Proceedings of the National Academy of Sciences USA 100, 9096-9101, 2003) hanno cercato di stabilire che tipo e durata di esposizione ad una seconda lingua fosse necessaria nelle fasi più precoci dello sviluppo, per evitare il declino nelle risposte corticali alle sue unità fonetiche. A tale scopo si è fatto in modo che bambini di nove mesi provenienti da famiglie di lingua inglese, sentissero sistematicamente parlare il Cinese Mandarino da persone che lo avevano acquisito come linguaggio naturale. I Cinesi leggevano delle storie per ragazzi ed interagivano con i bambini usando naturalmente la propria lingua, durante le brevi sessioni programmate nel corso di quattro settimane per un totale di 5 ore di ascolto effettivo.

Un tempo così breve è stato sufficiente ad impedire la riduzione di recettività ai suoni impiegati nella lingua asiatica, al contrario di quanto accadeva ai bambini della stessa età del gruppo di controllo.

Fin qui lo studio non aveva niente di particolare, eccetto il rigore metodologico e la netta evidenza dei risultati. Ma ulteriori esperimenti hanno chiaramente dimostrato, per la prima volta, qualcosa che farà riflettere su molte idee che derivano dall’attuale concezione dell’apprendimento del linguaggio.

Gli esperimenti condotti con persone parlanti il Cinese Mandarino sono stati ripetuti sostituendo alle persone delle registrazioni audio. La restrizione dello spettro non è stata impedita, dimostrando la totale inefficacia del solo ascolto nel prevenire la restrizione dello spettro di suoni riconosciuti. Pertanto è stata sperimentata la sostituzione delle persone con registrazioni audio-video, così da verificare l’importanza delle immagini, con il loro corredo di percetti visivi che si ritiene interagiscano nell’elaborazione corticale con gli altri messaggi. Abbastanza sorprendentemente anche questa modalità non ha prodotto alcun effetto.

Dunque, secondo i risultati degli esperimenti del gruppo di Kuhl, l’ascolto, anche se corredato delle immagini delle persone che parlano, non è sufficiente ad impedire la polarizzazione funzionale già iniziata, suggerendo l’importanza della reale interazione con le persone e con i loro segnali di comunicazione non verbale.

Sarebbe interessante provare a distinguere mediante sperimentazione se in questa componente “non uditiva” risulti più importante l’effetto di realtà o sensazione di vero, che in bambini così piccoli si dovrebbe basare soprattutto su targets di discriminazione percettiva, oppure “segnalazioni” non verbali provenienti dal corpo degli adulti ed interpretate in base ad una codificazione che è patrimonio della specie.

 

BM&L-Ottobre 2003