LA LEPTINA COME NUOVO ANTIDEPRESSIVO

 

 

La leptina, ormone secreto dagli adipociti e appartenente alla famiglia delle citochine ad elica, svolge un ben documentato ruolo nella regolazione del peso corporeo ed è in grado di influenzare la risposta immune ed autoimmune, come è stato evidenziato anche di recente da Giuseppe Matarese in un modello sperimentale di sclerosi multipla (Veronica De Rosa et al., Leptin Neutralization interferes with pathogenic T cell autoreactivity in autoimmune encephalomyelitis. J. Clin. Invest. 116, 447-455, 2006). Se la leptina abbia un ruolo nella depressione e i modelli animali siano adeguati a valutarlo è, invece, questione controversa.

La sperimentazione animale si basa ampiamente su modelli che ricalcano la patogenesi della depressione da stress e si caratterizzano per una spontanea riduzione di attività e risposte psiconeuromotorie. In queste condizioni, l’innalzamento dei tassi ematici di glucocorticoidi, equivalenti fisiologici del cortisolo umano, si considera un indice fisiopatologico significativo di uno stato depressivo in atto. Questa ratio è accettata non solo nell’ambito della ricerca di base, ma anche nella sperimentazione clinica, come dimostra il recente lavoro di Liao e collaboratori, che mette in relazione leptina e cortisolo con sindromi ansiose e depressive (The counterbalance between leptin and cortisol may be associated with comorbid depression and anxiety. Psychiary Clin. Neurosci. 60, 120, 2006).

Mettendo da parte i limiti che si possono facilmente riconoscere ad una superficiale e completa estrapolazione clinica dei risultati ottenuti nella sperimentazione animale, Lu e colleghi hanno estesamente indagato nel ratto il ruolo della leptina in condizioni di patologia sperimentale indotta da stress cronico e traumatico, ottenendo interessanti risultati che qui di seguito proponiamo in sintesi alla vostra attenzione (Leptin: a potential novel antidepressant. Procl. Natl Acad. Sci. USA 103, 1593-1598, 2006).

In due condizioni patogene protratte, quali l’esposizione a stress cronico imprevedibile e la ripetuta esperienza di frustrazioni sociali, si riscontravano nei ratti ridotti livelli di leptina plasmatica. Nel primo caso si rilevava anche un aumento dei tassi di corticosterone. La somministrazione di leptina attenuava in maniera rilevante il deficit edonico conseguente alle esperienze di stress e frustrazioni croniche, ma non aveva alcun effetto sul gruppo di controllo non sottoposto a stress.

Gli autori hanno cercato di comprendere meglio la portata di questo risultato, facendo ricorso al forced swim test, comunemente impiegato per valutare l’efficacia dei farmaci antidepressivi. Si tratta di una prova che consente una valutazione quantitativa del cosiddetto comportamento di “disperazione”, ossia della risposta negativa che segue all’eccitazione da stress, ritenuta equivalente dello scoraggiamento profondo di alcuni stati depressivi umani. In questo test gli animali di laboratorio sono indotti a nuotare od arrampicarsi sotto stress come per salvarsi la vita; la cessazione di ogni sforzo si considera segno dell’istaurarsi di uno stato funzionale caratterizzato da perdita di energia e motivazione.

Al forced swim test, i ratti che avevano ricevuto la somministrazione sistemica di leptina, presentavano una riduzione della durata dell’immobilità ed un aumento dei tempi di nuoto proporzionale alla dose; in altre parole, una riduzione del comportamento di disperazione. Il controllo positivo è stato effettuato mediante il confronto con l’effetto della desipramina, un antidepressivo triciclico che agisce come inibitore selettivo della ricaptazione di noradrenalina. Anche il farmaco triciclico era in grado di ridurre il tempo di immobilità dei piccoli animali, ma induceva un aumento dell’arrampicarsi, piuttosto che del nuotare, probabilmente in conseguenza di una diversa modalità di influenza sulle funzioni psiconeuromotorie.

Per vedere se l’azione positiva esercitata dalla leptina sulla prestazione al forced swim test si accompagnasse a cambiamenti rilevabili dell’attività cerebrale, il gruppo di ricerca di Lu ha impiegato l’ibridizzazione in situ. Misurando l’espressione di c-fos mRNA, è stata rilevata un’aumentata attività nelle aree CA1 e CA3 dell’ippocampo, nel giro dentato e nell’amigdala, particolarmente nel suo nucleo baso-laterale. Interpretando questi dati in termini di neurofisiologia dei sistemi, si può ipotizzare un importante ruolo del sistema limbico nella mediazione dell’effetto della leptina sul test.

Gli autori hanno cercato, poi, di definire l’importanza delle componenti ippocampali rispetto agli altri sistemi, inclusi quelli non studiati. A tale scopo hanno proceduto all’infusione intra-ippocampale di leptina durante il forced swim test ed hanno paragonato i risultati a quelli ottenuti mediante somministrazione sistemica: le prestazioni non hanno dato luogo a differenze significative. Da ciò si deduce la centralità dei neuroni dell’ippocampo nella mediazione degli effetti simili a quelli degli antidepressivi.

Il noto ruolo metabolico della leptina ed i collegamenti morfo-funzionali fra ipotalamo e sistema limbico, hanno reso particolarmente interessante l’esperimento di iniezione leptinica ipotalamica durante lo stesso test: l’assenza di effetti sul comportamento dei ratti, suggerisce la completa indipendenza dell’azione antidepressiva dalle funzioni svolte nell’omeostasi energetica.

Sebbene i risultati di questo lavoro non risolvano i problemi di comparazione fra modelli animali e realtà umana, cui prima si accennava, né offrano una traccia circa i processi molecolari alla base dell’azione anti-depressiva della leptina, ci sembra che forniscano elementi sufficientemente interessanti per proseguire una ricerca davvero promettente.

 

L’autrice della nota ha discusso l’argomento trattato con Giuseppe Perrella, e si è avvalsa della collaborazione di Isabella Floriani per la correzione della bozza.

 

Nicole Cardon

BM&L-Marzo 2006

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