LATTE MATERNO E CERVELLO: NUOVI STUDI E DIBATTITI

 

 

Una variante aggiornata del dibattito ottocentesco sull’ereditarietà dell’intelligenza è stata recentemente proposta dai media americani e britannici, a seguito della pubblicazione di un interessante lavoro, svolto al King’s College di Londra, sugli effetti dell’allattamento al seno (Caspi A., et al. Moderation of breastfeeding effects on the IQ by genetic variation in fatty acid metabolism. Proc. Natl Acad. Sci. USA 104, 18860-18865, 2007).

L’origine delle divergenze consiste nel fatto che la differenza nell’alimentazione rappresenta la principale variabile ambientale alla quale è esposto l’organismo in età evolutiva e, dunque, i sostenitori del maggior peso dei fattori esterni nello sviluppo delle abilità cognitive, tendono a prediligere i dati a favore dell’importanza del latte materno, mentre coloro che ritengono decisivi l’eredità e lo sviluppo prenatale, enfatizzano i risultati sperimentali a sostegno di una uguale efficacia dell’allattamento artificiale.

Numerosi studi sono stati condotti in passato per verificare l’ipotesi degli effetti dell’alimentazione sullo sviluppo cognitivo, ponendo a confronto i quozienti intellettivi (QI) di bambini alimentati naturalmente ed artificialmente. Accantonando il problema relativo a cosa esattamente misuri il QI e quale grado di attendibilità abbiano queste scale di valutazione, si deve rilevare che la maggior parte degli studi ha registrato punteggi più alti per i bambini nutriti con le poppate di latte materno. Sulle prime, questi risultati non sono stati interpretati come il portato di un effetto metabolico diretto, ma quale conseguenza di un complesso di fattori di stimolo, come ha spiegato Jean Golding, epidemiologa dell’Università di Bristol, al Daily Telegraph: per lungo tempo si era ritenuto responsabile “sia il mero fatto fisico di essere nutrito al seno, sia l’intervento di un qualche fattore sociale”.

Il procedere degli studi aveva portato ad ipotizzare che il motivo delle migliori prestazioni intellettive avesse una specifica base biochimica negli acidi grassi presenti unicamente nel latte materno. Non in tutte le ricerche, però, erano stati rilevati QI più alti con l’alimentazione naturale e, nel complesso, i risultati apparivano discordanti, tanto da indurre alcuni ad abbandonare l’ipotesi degli acidi grassi materni.

La sperimentazione condotta presso l’Institute of Psychiatry del King’s College di Londra, sembra aver trovato una risposta genetica alle differenze riscontrate nelle precedenti sperimentazioni: i vantaggi dell’alimentazione naturale dipenderebbero da una particolare variante del gene per la desaturasi degli acidi grassi 2 (FADS2), un enzima implicato nel metabolismo degli acidi grassi tipici del latte materno.

I bambini portatori dell’allele C di FADS2 traevano benefici dal poppare, a differenza degli omozigoti per l’allele G. Linda Gottfredson dell’Università del Delaware ha osservato: “E’ quasi come se l’allele G si fosse evoluto quale genotipo protettivo per i bambini che non possono avere una quantità sufficiente di latte materno” (Nature news). Jean Golding ha dichiarato alla BBC: “In passato si erano rilevati risultati diversi circa il miglioramento del QI da parte dell’allattamento al seno e questo [i diversi alleli di FADS2, ndr] spiega la ragione”.

I risultati ottenuti dal team londinese dimostrano che, come accade per molti altri tratti, le prestazioni cognitive sono la conseguenza di interazioni fra i geni e l’ambiente, negando ulteriori possibilità alla tesi ottocentesca di una ereditarietà genetica dell’intelligenza rigida, immutabile e completamente predefinita. Infatti, gli autori del lavoro affermano che l’esposizione all’ambiente può essere impiegata per scoprire nuovi geni candidati all’origine dei fenotipi complessi, e che i loro risultati, dimostrando che i geni possono agire attraverso una variabile ambientale nell’influenzare il QI, contribuiscono alla chiusura definitiva del dibattito “nature versus nurture”.

Alle voci del dibattito mediatico che hanno continuato a sostenere l’importanza prevalente della componente ereditaria nello sviluppo dell’intelligenza, Avshalom Caspi, che ha guidato i ricercatori del King’s College, ha così risposto dal New York Times: “Non è natura contro nutrimento ed educazione ad essere importante, ma come la natura agisce attraverso il nutrimento e l’educazione”.

 

Giovanni Rossi

BM&L-Gennaio 2008

www.brainmindlife.org