BM&L-ITALIA,
FIRENZE 2010
La ricerca
sulla pedofilia
Il presente testo, in larga misura basato su una relazione
orale tenuta il 25 giugno 2009, trascritta a cura di Isabella Floriani,
ripartita in sei parti e pubblicata settimanalmente dal 27 giugno al 19
settembre 2009 sul sito della Società Nazionale di Neuroscienze
“BM&L-Italia” (www.brainmindlife.org), è stato riveduto ed integrato
dall’autore nell’aprile 2010.
PREMESSA. La ricerca, nei vari campi in cui
si articola lo studio della pedofilia, ha ottenuto alcuni risultati di rilievo
ma, nel suo complesso, procede in forma discontinua e a rilento. Le ragioni di
tali difficoltà di percorso sono numerose, ma fra queste ha un sicuro rilievo
il rifiuto di impegnarsi in questo settore o l’abbandono da parte di
ricercatori e clinici perché spesso posti in cattiva luce dall’informazione e
considerati dall’opinione pubblica alla stregua di difensori o complici di
crimini quali abusi, torture e omicidi, di cui si rendono responsabili adulti
pedofili[1].
In proposito va subito detto che non tutti gli adulti che abusano di bambini
rientrano nella diagnosi psichiatrica di pedofilia e non tutti i pedofili
diventano criminali. Tuttavia, è difficile separare nell’immaginario collettivo
un’attrazione sessuale abnorme e innaturale dalle sue peggiori conseguenze, che
il grande giro d’affari della pedopornografia in rete ha espanso in un orrore e una barbarie senza precedenti.
Molti
ricercatori negli USA stanno provando a diffondere nell’opinione pubblica la
convinzione che la pedofilia, nella maggior parte dei casi, possa essere
considerata come un disturbo psichico da studiare e curare, ma la maggioranza
dei cittadini statunitensi non vuole che si spenda denaro pubblico per questi
studi e ritiene che si debbano concentrare gli sforzi sulla repressione e sulla
prevenzione del crimine, individuando i pedofili mediante il controllo dell’uso
di internet[2].
A
queste considerazioni si deve aggiungere un’altra difficoltà che incontra
l’indagine scientifica sulla pedofilia, consistente nella mancanza di un quadro
culturale univoco entro cui concepire lo studio e interpretare i dati ottenuti[3].
Le
figure criminologica, sociologica, psicologica, psichiatrica e biologica del
pedofilo non coincidono, e questo complica il rapporto degli autori dei
progetti di ricerca con le fonti pubbliche e private di finanziamento.
Si
pensi, ad esempio, alla differenza psicologica che sussiste fra un
comportamento indotto dalla degenerazione di un costume, come quello di andare
con prostitute sempre più giovani fino ad avere rapporti sessuali con una minorenne,
e la spinta erotica evocata solo dai caratteri infantili che trova un
compromesso nel corpo di una ragazza che appaia immaturo come quello di una
bambina. Nel primo caso è evidente il ruolo giocato da fattori sotto-culturali
e, fino a prova del contrario, non vi è una radice psicopatologica; nel secondo
caso esiste un elemento cardine per sospettare una pedofilia e si giustifica
l’inclusione in un campione per lo studio dei tratti genetici. Entrambi i casi,
invece, sono inclusi nella stessa categoria in molti studi di impronta
sociologica, giuridica e politica, con un’inevitabile influenza su giornalisti
e opinion makers, in grado di
condizionare chi non abbia una specifica formazione, inclusi coloro che si
occupano del finanziamento della ricerca. Un altro esempio di ostacolo
indiretto dell’ambiente culturale allo studio sperimentale, lo troviamo nei
rapporti fra pedofilia ed omosessualità. Nell’esperienza clinica di molti
psichiatri in tutto il modo c’è il rilievo di una maggiore incidenza di sentimenti
e condotte pedofiliche negli omosessuali maschi rispetto alla generalità dei
pazienti: una tale associazione andrebbe accuratamente studiata in campioni
estesi, ma molte organizzazioni in difesa dei diritti degli omosessuali, vista
la cattiva fama dei pedofili, con un efficace attivismo militante intervengono
sistematicamente proibendo, scoraggiando o disturbando la trattazione di questo
argomento da parte di programmi televisivi, rubriche giornalistiche e perfino
lezioni universitarie[4].
In
questa breve rassegna, limitata ai principali studi condotti nel campo delle
neuroscienze, si farà riferimento prevalentemente alla concezione psichiatrica
della pedofilia, adottata dalla maggior parte degli studi di impronta
biologica, psicologica e medica.
LA PEDOFILIA COME
DISTURBO PSICHIATRICO. La
storia nosografica ha inizio nel 1886, quando lo psichiatra tedesco Richard
Freiherr von Krafft-Ebing[5]
coniò il termine paedophilia erotica
nella sua celebre trattazione dei disturbi psichici della sfera sessuale
intitolata Psychopathia Sexualis[6].
In questa opera, che è stata tradotta, ripubblicata e consultata dagli
psichiatri di tutto il mondo per oltre un secolo, si distingue il semplice
desiderio sessuale per i bambini dall’abuso. Krafft-Ebing sosteneva che
l’ideazione legata alla devianza sessuale non costituiva per sé una tendenza criminale, ma in molti casi poteva essere
considerata come il sintomo di una vera e propria malattia della quale il
portatore era piuttosto la vittima che il responsabile.
Analizzando
la personalità e il comportamento delle persone attratte fisicamente dai
bambini, Krafft-Ebing distinse i pedofili propriamente detti (hard-core pedophiles), identificandoli
con quelli che manifestavano la predilezione deviante fin dall’adolescenza, da
coloro che si facevano responsabili di forme di abuso in cui bambini o ragazzi
apparivano quali sostituti di adulti. Questa seconda categoria di persone
sembrava sviluppare l’attrazione patologica più tardi nella vita, in seguito al
fallimento di una relazione con una persona adulta o per la realizzazione
dell’impossibilità di riuscire ad avere un normale rapporto di coppia. In
questo secondo gruppo sono inclusi i “molestatori occasionali” o situational molesters rappresentati da
persone incapaci, verosimilmente per disabilità mentale, di avere relazioni con
persone che ritengono alla pari, oppure da individui che, dopo aver
sperimentato frustrazioni ed umiliazioni in un normale rapporto adulto-adulto,
si sono rivolti a pre-adolescenti più manipolabili, influenzabili o addirittura
plagiabili. Fra i molestatori occasionali erano inclusi anche coloro che a
motivo del proprio lavoro incontrano regolarmente bambini e ragazzi e
sono tentati di usare la propria autorità o il potere derivante dal proprio
ruolo sociale per ottenere da loro gratificazioni sessuali. In una
sotto-categoria di molestatori occasionali, quella della “pedofilia
senescente”, la scelta delle vittime fra i bambini sarebbe dettata
dall’impotenza o dal complesso delle condizioni dell’età involutiva che non
consentirebbero di ottenere il consenso di un partner sessuale adulto.
Attualmente
la pedofilia è classificata fra le parafilie nel Manuale Diagnostico e
Statistico dell’American Psychiatric Association (DSM nella versione IV-TR,
codice F65.4, corrispondente al 302.2 dell’ICD-10 dell’OMS), nel quale si
legge: “La focalizzazione parafilica della Pedofilia comporta attività sessuale
con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli). Il soggetto con
Pedofilia deve avere almeno 16 o più anni, e deve essere di almeno 5 anni
maggiore del bambino. Per i soggetti tardo-adolescenti con Pedofilia, non viene
specificata una precisa differenza di età, e si deve ricorrere alla valutazione
clinica; bisogna tener conto sia della maturità sessuale del bambino che della
differenza di età. I soggetti con Pedofilia di solito riferiscono attrazione
per bambini di una particolare fascia di età. Alcuni soggetti preferiscono i
maschi, altri le femmine, e alcuni sono eccitati sia dai maschi che dalle
femmine […]”.
E nello
schema dei “criteri diagnostici” si precisa:
“A.
Durante un periodo di almeno 6 mesi, fantasie, impulsi sessuali, o
comportamenti ricorrenti e intensamente eccitanti sessualmente, che comportano
attività sessuale con uno o più bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o
più piccoli).
B.
La persona ha agito sulla base di questi impulsi sessuali o gli impulsi o le
fantasie sessuali causano considerevole disagio o difficoltà interpersonali.
C.
Il soggetto ha almeno 16 anni ed è di almeno 5 anni maggiore del bambino o dei
bambini di cui al Criterio A.”[7]
Lasciamo
al lettore una riflessione critica sulla concezione che ha ispirato la
commissione del DSM, ci limitiamo solo ad osservare che, discostandosi dalla
tradizione delle grandi scuole di psichiatria mitteleuropea che
caratterizzavano il disturbo in base a specifici aspetti qualitativi del
funzionamento psichico[8],
l’associazione degli psichiatri americani tende a privilegiare criteri come la
definizione della durata, i limiti di età e la differenza in anni perché una
persona che commette un abuso si possa considerare un pedofilo. Una tale
impostazione fa pensare più alla legislazione penale, o tutt’al più alla
psichiatria forense, che a una semeiotica che indirizzi la diagnostica
psicopatologica.
Si
può tuttavia riconoscere alla concezione espressa nel DSM il merito di aver
delimitato l’ambito entro cui può essere posta la diagnosi con sufficiente
precisione e con un tale grado di oggettivazione delle più frequenti esperienze
cliniche, da indurre la maggior parte degli studiosi del campo a farvi
riferimento. Infatti, il problema principale che si è affrontato prima di
questa precisa definizione dei criteri diagnostici, è consistito nella
straordinaria eterogeneità di significati che sono stati attribuiti al termine
pedofilia, perché se alcuni la definivano “il desiderio espresso di una
gratificazione sessuale immatura con un bambino in età prepubere” (Mohr et al., 1964), altri la privavano
completamente della connotazione di devianza sessuale, riducendola a “un
affetto esagerato per i bambini” (Glasser, 1990)[9].
La nomenclatura psicopatologica che prescinde dall’omologazione al DSM o
all’ICD, ossia al repertorio diagnostico dell’OMS, conserva un termine come pederastia per indicare la condotta in
cui un adulto ha rapporti anali con dei bambini. In genere, tale condotta è
posta in essere come un atto omosessuale compiuto da un adulto con ruolo attivo
su un bambino condizionato, plagiato o costretto con violenza e minacce ad
assumere il ruolo di partner passivo[10].
L’ambizione
comune a molte scuole di tradizione europea di distinguere lo stato mentale, o
addirittura il funzionamento cerebrale corrispondente alla pedofilia, dal
comportamento pedofilico, si basa su due assunti: 1) esiste un vero e proprio
disturbo psicosessuale che non può essere ridotto ad un semplice agire, sia
pure reiterato, e che necessita di essere diagnosticato; 2) esistono condizioni
in cui degli adulti non affetti dalla parafilia compiono atti sessuali con
bambini per motivi svariati, che includono la corruzione dei costumi, il
degrado socioculturale[11],
l’uso di sostanze psicotrope e altre forme di malattia mentale.
Tali
due presupposti sono in realtà necessari perché questa materia costituisca
oggetto di studio e di intervento medico-psichiatrico, pertanto esprimono una
prospettiva che, in generale, dovrebbe essere adottata da tutti gli
psicopatologi e gli psichiatri, inclusi coloro che ritengono che in molti casi
non si possa tracciare una netta linea di demarcazione fra la parafilia pedofilica
e il comportamento progressivamente indotto.
LA PROSPETTIVA
BIOLOGICA. La maggior
parte dei ricercatori ritiene che la pedofilia, al pari di altri tratti
psicologici complessi, origini da una combinazione di fattori genetici e
ambientali, nessuno dei quali sarebbe sufficiente da solo a produrre la
tendenza sessuale anomala. In altre parole, si ritiene che un particolare
genotipo presente alla nascita o un fenotipo cerebrale che si manifesti in età
evolutiva, così come un particolare tipo di esperienza, non possano
singolarmente considerarsi causa di pedofilia. E’ tuttavia opinione comune che
l’individuazione di componenti biologiche favorenti o necessarie ma non
sufficienti possa aiutare a comprendere l’origine del disturbo.
Un
gruppo della Johns Hopkins School of Medicine guidato da Fred Berlin,
impiegando questionari per la raccolta e lo studio di dati familiari, ha
rilevato una frequenza più elevata di pedofilia nelle famiglie della parentela
stretta di pedofili che nelle altre. Su questa base si riteneva possibile
accertare dei fattori genetici comuni, ma non è stata trovata alcuna variante
genica associabile alla pedofilia. Naturalmente gli studi proseguono, anche in
considerazione del fatto che l’esito negativo potrebbe spiegarsi con l’attuale
mancanza di dati che orientino sul target
genetico da ricercare.
Alcuni
studi condotti a partire dal 2002 hanno collegato traumi cerebrali infantili
con lo sviluppo della pedofilia. Ray Blanchard e colleghi dell’Università di
Toronto, confrontando le anamnesi di 400 pedofili con quelle di 800
non-pedofili, hanno rilevato che i primi avevano un tasso molto più alto di
incidenti traumatici con perdita della coscienza prima dei sei anni di età.
Nello studio, gli incidenti erano anche associati ad un più basso livello di
prestazioni intellettive e a un minore grado di istruzione. Gli stessi autori
notano che il loro lavoro non dimostra un nesso di causalità fra le lesioni
traumatiche e lo sviluppo della pedofilia, e si può ipotizzare che la presenza
di un difetto congenito che predisponga all’alterazione dell’orientamento
sessuale renda anche più vulnerabili agli incidenti.
L’associazione
fra pedofilia e disturbo dell’attenzione con iperattività (ADHD) ha fatto molto
discutere.
I
disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività sono un gruppo di sindromi
caratterizzate da un difetto del controllo inibitorio che normalmente consente
la focalizzazione dell’attenzione e la sottomissione degli automatismi
procedurali e neuromotori alle esigenze cognitive e comunicative. A scopo di
ricerca sono spesso raggruppati in un’unica categoria patologica (ADHD), ma
nell’osservazione neuropsichiatrica infantile sono distinti in varie forme
cliniche, in genere associate ai disturbi
da comportamento dirompente, quali quelli oppositivo-provocatorio e della
condotta, come nella classificazione dell’American Psychiatric Association
(DSM-IV-TR)[12].
Alcuni
studi hanno dimostrato un’associazione fra ADHD e pedofilia; il grado di
probabilità che un bambino affetto da questi disturbi dell’attenzione divenga
pedofilo è maggiore di quello della media, ma non sembra superare l’aumento
percentuale del rischio di incidenti, che pure è caratteristico di tali
condizioni. Il collegamento probabilistico è stato proposto sulla base dello
studio delle anamnesi, dalle quali è risultata una maggiore incidenza di ADHD
nell’infanzia dei pedofili rispetto a quella di persone prive del disturbo[13].
LO STUDIO
PSICOLOGICO. Secondo
l’orientamento prevalente in ambito psicologico e psicopatologico, i disturbi
della preferenza sessuale originerebbero da particolari esperienze verificatesi
nel corso di periodi critici dello sviluppo infantile. A supporto di tale
ipotesi vi è il rilievo, documentato da lungo tempo, della presenza
nell’anamnesi di molti pedofili di abusi sessuali subiti durante l’infanzia.
Questa circostanza è stata confermata da numerosi studi, fra i quali si cita
spesso quello condotto nel 2001 dai ricercatori della Royal Free Hospital
School of Medicine di Londra, che passarono in rassegna le storie cliniche di
747 pazienti maschi adulti: 225 responsabili di abusi sessuali e 522 trattati
in una clinica londinese per sexual
offenders and sexual deviants. Coloro che avevano perpetrato abusi sessuali
sulla spinta di impulsi pedofilici erano stati a loro volta vittime di abusi in
una percentuale molto più alta rispetto a quella dell’intero campione,
suggerendo l’esistenza di un ciclo vittima-perpetratore all’origine di molti
casi di abuso sessuale, ma anche un ruolo concausale nello sviluppo della
tendenza anomala del vissuto nel ruolo di vittima. In altre parole,
l’esperienza avrebbe determinato l’apprendimento di una sessualità deviata.
Nel
2003 David Skuse e colleghi dell’Institute of Child Health di Londra
pubblicarono uno studio longitudinale che approfondiva la valutazione dei
fattori che possono indurre una vittima di abusi sessuali a diventare un
aggressore. Il team londinese aveva
seguito 224 ragazzi abusati[14],
dall’epoca della violenza in poi, per un tempo compreso fra 7 e 19 anni: entro
il termine della durata dello studio, 26 fra le vittime, ossia il 12%, una
volta cresciute finirono per commettere a loro volta un abuso. I ricercatori
hanno così caratterizzato alcuni aspetti dell’esperienza dei ragazzi abusati
divenuti molestatori: 1) erano stati trascurati durante l’infanzia; 2) avevano
subito abusi sessuali da parte di una donna; 3) era loro mancata la
supervisione dell’adulto, il controllo e la possibilità di riferirsi alla sua
funzione ordinatrice; 4) spesso erano stati testimoni di violenze intercorse
fra membri della propria famiglia.
A
questi risultati si è provato a dare un’interpretazione in chiave
psicoanalitica, sostenendo che il complesso di queste esperienze infantili
frustranti possa aver creato un sentimento di “sconfitta” associato ad un bisogno
di compensarlo con un “trionfo”[15]
al quale si giungerebbe mediante l’identificazione con l’aggressore.
All’indubbia
utilità di questi studi nella caratterizzazione anamnestica delle esperienze e
dei traumi psicologici sofferti da una parte delle persone che sviluppano un
atteggiamento psichico pedofilico, non fa riscontro un rilievo significativo
per ciò che concerne il loro contributo al riconoscimento delle cause; infatti
il tipo di eventi descritti non presenta specificità e, se in molti casi può essere
all’origine di altri problemi psicologici, come disturbi ansiosi dello spettro
del trauma[16], in una
percentuale non esattamente definita ma che si stima molto elevata, sembra non
lasciare tracce psicopatologiche.
Lo
studio psicologico ha recentemente definito e caratterizzato un particolare
gruppo tipologico di personalità che si sviluppa in presenza e in assenza di
violenze o molestie sessuali nell’anamnesi: una parte dei pedofili tende a
stabilire un rapporto in cui non si rinvengono tracce di comportamento
dominante o aggressivo nei confronti del bambino fatto oggetto di desiderio.
Fra
costoro, alcuni tendono a realizzare una relazione che assomiglia a quella
esistente in una normale coppia adulta, apparentemente rispettando la volontà
del piccolo che viene indotto ai comportamenti anomali con la docile
disponibilità che impiegano i seduttori.
In
altri casi il pedofilo, che magari risulta tale nella considerazione oggettiva
del suo comportamento secondo criteri criminologici o parametri simili a quelli
adottati dal DSM-IV, pone seri problemi psicodiagnostici perché si considera e
si sente un bambino nonostante l’età adulta e trascorre ordinariamente parte
del suo tempo in attività infantili[17].
Taluni di costoro riescono ad ottenere dalle persone dell’ambiente di relazione
abituale una sorta di riconoscimento del loro status ipoevoluto come
stile di adattamento incluso nella gamma normale. In alcuni di questi casi,
considerando aspetti morfo-somatici ed endocrinologici oltre che psichici, si
potrebbe addirittura porre la diagnosi di infantilismo.
David
Finkelhor, sociologo della University of New Hampshire, ha studiato questi
aspetti ed ha rilevato che coloro che presentano un tratto di personalità
fortemente tendente ad identificarsi con i patterns
ideativi ed emozionali del bambino, rivelano una generale carenza
nell’educazione e un difetto di autostima. Gli uomini che rientrano in questa
condizione di “congruenza emozionale” – come si è soliti chiamarla in
psicologia – Finkelhor afferma che riferiscono spesso di sentirsi più stabili e
sicuri quando hanno la possibilità di trascorrere la maggior parte della
giornata con dei bambini e possono agire in tutto e per tutto come se fossero
loro coetanei.
Se
tutte le persone che manifestano orientamento e/o comportamento sessuale
pedofilico sono comprese in una sola categoria, come si fa per scopi
sociologici, allora sarà bene aver presente che si tratta di un insieme molto
eterogeneo. Sono stati descritti molti casi di psicotici che manifestano
attrazione sessuale per i bambini, ma ancora più numerosi sono gli affetti da
disturbi caratterizzati da difettoso controllo degli impulsi e condotte un
tempo definite psicopatiche (alcoolisti, tossicodipendenti, ecc.), e in molti
altri casi si rileva un profondo grado di angoscia legato alla sfera sessuale,
che sembra confermare la vecchia ipotesi della patogenesi psicologica del
disturbo attribuita all’ansia che avrebbe compromesso il normale processo di
sviluppo della sessualità psichica.
LA TERAPIA DELLA
PEDOFILIA: CURA O CORREZIONE PREVENTIVA? In questa rassegna sintetica si è scelto di non trattare il
problema criminologico degli abusi sessuali e di altri delitti -incluso
l’omicidio- di cui si rendono responsabili persone con orientamento pedofilico[18];
tuttavia la rassegna degli studi sulle principali terapie sperimentate impone
un riferimento agli abusi, perché spesso il trattamento è concepito come provvedimento punitivo o misura di prevenzione sociale.
La
libera scelta di sottoporsi ad una terapia per una qualsiasi condizione che
riguarda il corpo e la mente, implica che il soggetto riconosca la natura
patologica dello stato in questione e nutra il desiderio di liberarsene. Sembra
che solo una minoranza di pedofili senta il proprio orientamento sessuale come
un disturbo dal quale guarire e per il quale rivolgersi a uno psichiatra o a
uno psicologo, per questo alla terapia si giunge più spesso per effetto di
pressioni esercitate dall’ambiente delle relazioni interpersonali, per la
delibera di un tribunale o per ottenere una sorta di riabilitazione sociale,
come è accaduto per personaggi pubblici accusati di molestie[19].
La
terapia della pedofilia propone in modo evidente il problema più generale della
medicalizzazione dei disturbi psichiatrici non originati da un processo che
costituisca un danno per l’organismo. Le parafilie, a differenza dei deliri
causati da malattie neurodegenerative o secondari a condizioni morbose
sistemiche che abbiano interessato il cervello, non sono sintomi di un male del
corpo del soggetto, ma costituiscono tratti di un funzionamento mentale
potenzialmente in grado di generare comportamenti lesivi per altri. Pertanto,
se la tendenza parafilica non provoca ansia, conflitto o scompenso in una
qualsiasi forma avvertita soggettivamente come sofferenza[20],
la cura dovrebbe essere accettata come una sorta di correzione in funzione
morale e di responsabilità sociale. Una cultura comune in tal senso
faciliterebbe la scelta di curarsi da parte di quei pedofili che non reputano
patologica la propria inclinazione sessuale[21].
Si
deve poi tener conto di un altro aspetto riguardante la terapia della
pedofilia, e cioè che il numero accertato delle persone affette si ritiene che
sia la punta emergente di un iceberg,
in gran parte rivelata da abusi e condotte moleste. Negli USA il Department of
Health and Human Services nel 2002 condusse uno studio capillare in tutto il
paese per verificare l’estensione del fenomeno degli abusi sessuali sui minori,
ed accertò che nel corso dell’anno all’incirca 89.000 bambini erano stati
vittime di abusi[22]. Altri
studi negli anni seguenti rilevarono numeri di gran lunga più elevati[23].
Nel 2005 il National Center for Missing and Exploited Children accertò che uno
ogni sette ragazzi di età compresa fra i 10 e i 17 anni aveva ricevuto sollecitazioni
sessuali online da parte di adulti.
E’ stata quasi sempre accertata la responsabilità di pedofili all’origine di
questi casi di abusi e sollecitazioni erotiche e, tra quelli condannati in
precedenza, il tasso di recidiva era sempre molto alto. Dunque, si comprende
che in ambito giuridico e politico si siano nutrite attese di soluzione
duratura da parte di terapie che “guarissero” la tendenza o eliminassero il
comportamento lesivo ma, come vedremo in seguito, l’impresa è tra le più
difficili.
L’orientamento
prevalente nel trattamento della pedofilia indica una combinazione di talk therapy e terapia farmacologica,
anche se in tutto il mondo abbondano esperienze di cure esclusivamente
psicoterapiche o basate solo sull’impiego di farmaci.
Farmacoterapia. Cominciando dai trattamenti
farmacologici, si deve rilevare che la ricerca in questi ultimi anni non ha
introdotto grandi novità nei protocolli terapeutici classici, se si eccettuano
i farmaci basati su una ratio
neuroendocrinologica. Come è noto, una parte rilevante del desiderio sessuale e
delle conseguenti spinte comportamentali, deriva dall’azione degli ormoni
steroidi sessuali sul cervello; negli uomini, in particolare, si attribuisce
notevole importanza ai livelli di testosterone che, superata una certa soglia,
si renderebbero responsabili degli stati psichici di maggiore tensione erotica,
tanto nell’orientamento sessuale normale quanto in quello pedofilico. Il
testosterone è rilasciato dal testicolo per effetto dell’ormone polipeptidico
LH (luteinizing hormone) immesso in
circolo dall’ipofisi, a sua volta stimolata dall’ormone ipotalamico LHRH (luteinizing hormone-releasing hormone).
E’ stato sperimentato su volontari affetti da parafilie un farmaco analogo
dell’LHRH, il leuprolide acetato, che è in grado di bloccare la sequenza di
eventi regolata da feedback che porta
all’aumento dello steroide sessuale maschile, col risultato di ridurlo a
livelli prossimi a quelli che si hanno con la castrazione[24].
In
termini comportamentali il leuprolide si è rivelato efficace in volontari
affetti da parafilie, che sono apparsi meno propensi ad agire per effetto dei
propri impulsi sessuali durante il trattamento sperimentale[25].
In
alcuni casi questo ed altri farmaci hanno determinato un mutamento
nell’atteggiamento mentale dei pazienti: quasi si fosse prodotta una certa
distanza dai propri sintomi, i volontari hanno parlato apertamente delle
fantasie compulsive e spesso tormentose che li affliggevano, così come dei
comportamenti impulsivi avvertiti come incoercibili[26].
E’
evidente che un simile intervento farmacologico non può ritenersi una specifica
“cura” della pedofilia, di altre parafilie, dell’omosessualità o
dell’aggressività sessuale che spinge alla violenza, ma solo un modo per
depotenziare i meccanismi fisiologici che sostengono l’ideazione e le azioni
che si vogliono reprimere. Tali farmaci non agiscono sull’orientamento sessuale
e non eliminano le costruzioni mentali a giustificazione o a sostegno della
tendenza anomala; costruzioni che spesso sono parte integrante della psicologia
di queste persone. Inoltre, si deve ricordare che l’azione degli ormoni
steroidi sessuali prodotti dalle gonadi non è indispensabile per sostenere la
tensione erotica, che ha in parte un’origine psicogena e può essere alimentata
ad arte da chi non si reputa ammalato e non acconsente al trattamento[27].
La
terapia farmacologica più estesamente sperimentata e impiegata nei pedofili,
eccezion fatta per le benzodiazepine in qualità di generici ansiolitici, è
quella basata sugli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina
(SSRI). Considerata la lunga lista di disturbi diversi dall’indicazione
principale (depressione) per la quale si dovrebbero impiegare questi farmaci,
non meraviglia questa ennesima indicazione “empirica”, tuttavia non ci si può
esimere dal biasimare questo modo disinvolto e poco scientifico di procedere.
Infatti, sebbene alcuni ricercatori -peraltro autorevoli come Briken, Hill e
Bernen ai quali ci siamo ampiamente rifatti in molti passaggi di questa
esposizione- abbiano rilevato una riduzione delle fantasie erotiche, del
desiderio sessuale e della masturbazione compulsiva nel trattamento dei
pedofili con SSRI[28],
è necessario sottolineare che non è stato provato che questi farmaci siano
efficaci nella pedofilia mediante un trial
clinico che ne comparasse l’effetto con un placebo.
Sono
stati adottati vari tipi di approccio psicoterapeutico alla pedofilia, ma
attualmente prevalgono due orientamenti: 1) le psicoterapie psicodinamiche e 2)
i trattamenti cognitivo-comportamentali.
Psicoterapie
psicodinamiche.
Basate sulle teorie psicoanalitiche, tendono ad analizzare la vita passata del
paziente fin dai suoi ricordi risalenti alle fasi più precoci della vita, alla
ricerca di tracce di esperienze responsabili di traumi psichici o conflitti
inconsci che possano aver inciso sul formarsi dell’orientamento e dell’identità
sessuale. Tradizionalmente la ratio
di questo tipo di trattamenti segue quella della psicoanalisi e consiste nel
riportare alla coscienza gli eventi significativi, verbalizzandoli e
condividendoli con il terapeuta, il quale li interpreta allo scopo di privarli
del loro potenziale patogeno dal quale sarebbe derivato l’anomalo orientamento
sessuale. L’attuale quadro di conoscenze tende ad escludere un’eziologia psicodinamica
per la maggior parte dei casi di pedofilia, pertanto i parziali risultati
postivi talvolta ottenuti con queste tecniche sono da ascriversi più a fattori
quali il carisma del terapeuta, l’impegno del paziente nel cercare il
cambiamento, la qualità del rapporto istaurato, e così via.
Trattamenti
cognitivo-comportamentali. Sono rivolti al presente della vita del paziente e si basano sulla
condivisione dell’obiettivo dell’eliminazione dei comportamenti pedofilici
attraverso la conoscenza delle possibili cause e l’evitamento di situazioni,
condizioni, attività ed esperienze che possano alimentarli. Si può dire,
semplificando, che nella pratica più frequente negli Stati Uniti d’America[29]
si possono distinguere due principali modalità di terapia cognitivo-comportamentale:
la prima maggiormente ispirata all’istruzione del paziente nel campo delle
conoscenze che riguardano il disturbo di cui è affetto, la seconda più
caratterizzata in senso pedagogico ed ispirata ad una morale civile che
considera indegne le spinte sessuali che possono indurre a molestare dei
bambini.
Nel
primo caso si pone l’accento sulla correzione di distorte convinzioni quali
quelle che portano i pedofili a sostenere che ai bambini piace il rapporto
sessuale con l’adulto, nel secondo caso prevale la trasmissione di regole e
strategie che consentano al pedofilo di non nutrire la propria tendenza ed
evitare situazioni pericolose per l’accendersi del desiderio.
Gli
studi che valutano l’efficacia delle psicoterapie non possono avere, per ovvi
motivi, i riferimenti precisi, rigorosi ed affidabili della ricerca biomedica
di laboratorio, tuttavia possono offrire delle indicazioni generali. Ad
esempio, la revisione dei lavori più recenti indica che i pedofili autori di
reati sessuali, quando riescono a completare con successo un programma di
trattamento psicologico, acquisiscono un equilibrio con una probabilità molto
bassa di recidiva e, coloro che incorrono nuovamente nella commissione di
reati, nella maggior parte dei casi non compiono reati di natura sessuale. Un
quadro di questo genere era già stato delineato da Charlotte Bilby, criminologa
dell’Università di Leicester, e Belinda Brooks-Gordon dell’Università di
Londra, in una rassegna pubblicata nel 2006 sul British Medical Journal[30].
Le
terapie psicologiche, per la loro natura di rapporto conoscitivo protratto nel
tempo, hanno consentito di mettere a fuoco un problema in passato considerato
solo in chiave sociologica o criminologica, ossia la pedopornografia. E’
evidente che le immagini che riproducono bambini e ragazzi impuberi come partner sessuali, siano in grado di
stimolare pensieri, desideri e costruzioni immaginarie in grado di fungere da
processi psichici che alimentano l’attività dei cicli neuroendocrini, ed è
intuitivo che un costante immergersi in queste immagini costituisca una vera e
propria realtà surrogata in grado di influenzare l’atteggiamento mentale nella
vita di tutti i giorni. I siti web
con contenuti pedopornografici hanno introdotto due elementi precedentemente
sconosciuti: 1) la pedopornografia come spettacolo con potenziale fruizione di
massa; 2) la fornitura quotidiana ed apparentemente illimitata di nuove
immagini riprese in tutto il mondo. Non bisogna sottovalutare questi due
aspetti perché, come hanno spesso riferito in terapia pedofili fruitori di internet, prima della diffusione di
queste immagini attraverso la rete telematica non era possibile vedere nulla di
simile, in quanto nel mercato dei film pornografici -unici antecedenti
direttamente comparabili- non avevano spazio pellicole in cui si mostrassero
bambini in rapporti sessuali con adulti, e qualsiasi altra diffusione di
immagini fotografiche costituiva un fatto episodico e limitato a poche pose.
Con l’introduzione nel repertorio di immagini pornografiche vendute attraverso
la rete di quelle di bambini vittime di abusi, si è creata una vera e propria
industria criminale pedopornografica che adesca, recluta, rapisce, sfrutta e
perfino uccide bambini che sono stati usati per lucrare, in un mercato mondiale
con bassissimi costi di gestione ed altissimi guadagni. La circolazione in
tempo reale nei cinque continenti, mette a disposizione di ogni pedofilo una
quantità enorme di fotografie e filmati sempre nuovi che possono essere memorizzati con un click del mouse sul proprio computer, creando un archivio che può facilmente
raggiungere enormi proporzioni, costituendo un “immaginario” che non ha
paragone in alcuna esperienza reale del passato e che il proprietario può
rivisitare a suo piacimento[31].
L’effetto
deleterio della pedopornografia telematica sulla psicologia del pedofilo
(tendenza alla reificazione dei bambini, creazione di una “normalità
pedofilica”, ecc.) è ancora scarsamente indagato, ma uno studio del 2008
condotto da Drew A. Kingston dell’Università di Ottawa sembra confermarne la
pericolosità. Infatti, seguendo 341 individui condannati per essersi resi
responsabili di molestie ed abusi ai danni di bambini e ragazzi, è emerso che
coloro che facevano uso di materiale pornografico, specialmente dai contenuti
esplicitamente devianti, presentavano una probabilità più elevata di commettere
nuovamente reati.
L’importanza
psicologica dell’uso della pornografia infantile era stata evidenziata già nel
2006 da Seto, Cantor e Blanchard del Centre for Addiction and Mental Health di
Toronto che, in un campione di 685 soggetti di sesso maschile studiati nelle
loro abitudini dal 1995 al 2004, trovarono che l’accusa di un reato di
pornografia infantile costituiva un fedele indicatore diagnostico di pedofilia,
molto più delle molestie materialmente perpetrate nei confronti di minori[32].
Sebbene
la relazione fra pedopornografia e reati sessuali non è chiara in termini
criminologici[33], da un
punto di vista psicologico non ha bisogno di essere ulteriormente illustrata, e
ben si comprende l’esplicita proibizione di fruire di tali immagini da parte di
molti psicoterapeuti che puntano a determinare un apprendimento che condizioni
almeno in termini cognitivi un diverso atteggiamento.
Un
limite, che talvolta risulta evidente, dei trattamenti che tendono a modificare
il comportamento senza aver determinato una riorganizzazione del funzionamento
psichico che prescinda dalla componente pedofilica o, per dirla in termini
psicodinamici classici, senza aver favorito un cambiamento dello stile psicoadattativo
tipico della persona, consiste nel determinarsi di uno scompenso nel nuovo
assetto cognitivo-comportamentale. Talvolta trattamenti che secondo i terapeuti
sono stati condotti a termine con successo, non hanno fatto altro che istruire
il paziente su ciò che è male,
inducendolo a rifuggire le occasioni
rischiose, in tal modo consentendogli di introiettare una serie di divieti
e condizionamenti che gli impediscono di attingere alla sfera sessuale per
nutrire l’equilibrio psichico, senza fornire un adeguato sostituto della
componente sessuale dell’identità, su cui si fonda in parte il sentimento di
autostima[34].
Anche
per la psicoterapia il problema principale, come osservato più in generale in
precedenza, consiste nel fatto che i pedofili in molti casi[35]
non si sentono ammalati o portatori di una devianza e, pertanto, non accettano
il trattamento.
In
conclusione, si può facilmente affermare che la strada da percorrere è ancora
lunga, e non soltanto quella della conoscenza scientifica che potrà consentirci
di accertare con maggiore precisione le cause della pedofilia, consentendoci di
distinguere tipologie cliniche, psicologiche ed umane diverse, ma anche quella
della cultura in generale che dovrà affrontare con coraggio la contraddizione
fra l’opinione diffusa che non vuole limitare la sessualità che non si esprime
secondo i canoni eterosessuali generativi, e la protezione dei più piccoli ed
indifesi membri della società da traumi psichici permanenti e da tutti gli
altri rischi alimentati dalle attività che lucrano sulla mercificazione a scopo
sessuale della vita umana.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E LETTURE
CONSIGLIATE
1) AA.VV. DSM-IV-TR
Manuale Diagnostico e Statistico dei
Disturbi Mentali. Masson, Milano 2001.
2) Bayer
Ronald, Homosexuality and American
Psychiatry: The Politics of Diagnosis. Princeton University Press, 1987.
3) Briken Peer, Hill Andreas e
Berner Wolfgang, Abnormal Attraction. Scientific American MIND 20 (3): 76-81,
2009.
4) Briken Peer, Hill Andreas e
Berner Wolfgang, Pharmacotherapy of Paraphilias with Long-Acting Agonists of
Luteinizing Hormone-Releasing Hormone: A Systematic Review. Journal of Clinical Psychiatry 64 (8): 890-897, 2003.
5) Fagan P. J., et al. Pedophilia. JAMA
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Psicodinamica (3a ed.). Raffaello Cortina Editore, Milano 2002.
7) Kolb Lawrence C., Psichiatria
Clinica. Idelson, Napoli 1979.
8) Krafft-Ebing (von) Richard Freiherr, Psychopathia Sexualis (1886). Ristampa dell’edizione in inglese del
1905 per Bloat Books, 1999.
9) McGowan P. O., et al. Epigenetic
regulation of the glucocorticoid receptor in human brain associates with
childhood abuse. Nature Neuroscience 12 (3), 342-348, 2009.
10) Mitchell K. J., et al. Risk Factors for and Impact of
Online Sexual Solicitation of Youth. JAMA 285 (23): 3011-3014,
2001.
11) Perrella Giuseppe, Necessità
di una nuova concezione. In www.brainmindlife.org, nella sezione “Aggiornamenti”:
Sesso e Psicopatologia (scheda
introduttiva). BM&L-Italia 2006.
12) Rossi Giovanni, Epigenetica
degli abusi subiti nell’infanzia. In www.brainmindlife.org, nella sezione “Note
e Notizie”: 18-04-2009.
13) Seto M. C., Pedophilia. Annu. Rev. Clin. Psychol. 5, 391-407, 2009.
14) Seto M. C., Cantor J. M.,
Blanchard R., Child pornography offenses are a valid diagnostic indicator of pedophilia. Journal of Abnormal Psychology 115 (3), 610-615, 2006.
15) Sims Andrew, Introduzione
alla psicopatologia descrittiva (2a ed.), pp. 297-298, Raffaello
Cortina Editore, Milano 1997.
[1] Sembra che ai genetisti non sia riservato lo stesso grado di sospetto nel giudizio della pubblica opinione, forse perché il loro lavoro appare più neutrale e si ritiene che gli esiti delle loro ricerche possano fornire elementi per l’individuazione di individui a rischio di sviluppare condotte pericolose.
[2] Lo studio dell’incidenza delle forme di fruizione della pedopornografia in rete sulla psicologia dei pedofili sta configurando un settore specifico di indagine psicologica.
[3] Si veda Giuseppe Perrella, Necessità di una nuova concezione. In www.brainmindlife.org nella sezione “Aggiornamenti”: Sesso e Psicopatologia (scheda introduttiva). BM&L-Italia 2006.
[4] In molti trattati di psichiatria e psicopatologia americani ed europei, fino ad alcuni decenni fa, la pedofilia era considerata una particolare manifestazione sintomatica dell’omosessualità (si veda, ad es.: Kolb, Psichiatria Clinica. Idelson, Napoli 1979). Spesso, chi scrive, ha sentito degli esponenti di gruppi omosessuali politicizzati parlare a tale riguardo di pregiudizio; secondo costoro l’associazione pedofilia-omosessualità sarebbe parto di una tesi preconcetta. Ma, se così fosse, non sarebbe una ragione di più per studiarla e dissipare ogni residuo dubbio? In Italia e in molti Stati dell’Europa e degli USA si è affermato presso i mezzi di comunicazione di massa una sorta di stile politically correct che spesso cede alle pressioni dei più forti che, certamente, non sono i bambini abusati. A questa osservazione un ricercatore omosessuale ha opposto la seguente ragione: “Insinuare nella mente del pubblico e dei medici, in particolare, l’idea che gli omosessuali siano più frequentemente pedofili di qualsiasi altra persona, può ostacolare il cammino che porterà le coppie omosessuali a sposarsi ed ottenere per legge l’adozione di bambini”. Lasciamo al giudizio del lettore ogni commento.
[5] Nacque a Mannheim, in Germania, il 14 agosto del 1840 e morì a Graz, in Austria, il 22 dicembre del 1902.
[6] Il sottotitolo dell’opera, edita nel 1886, specificava “con Speciale Riferimento all’Istinto Sessuale di Carattere Contrario: Uno studio Medico-Forense”. E’ considerata la prima trattazione sistematica, rigorosa e moderna delle psicopatie della sfera sessuale che oggi rientrano nella categoria diagnostica delle parafilie: partendo dall’omosessualità, Krafft-Ebing esplora con rigore sistematico tutta la gamma delle anomalie dell’impulso sessuale e dei comportamenti conseguenti, coniando anche i termini sadismo e masochismo. Sebbene, combinando le tesi di Ulrichs e Morel fosse giunto alla conclusione che le “deviazioni sessuali” fossero il frutto di una degenerazione nervosa su base ereditaria, l’opera ha conservato a lungo interesse perché gli stereotipi e le descrizioni comportamentali che venivano proposte hanno trovato corrispondenza nell’esperienza di tre generazioni di clinici.
[7] Si veda in DSM-IV-TR Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – Masson, Milano 2001, alle pp. 610-611. A parte le imprecisioni di carattere formale nella resa in lingua italiana del testo inglese, possono essere mosse varie critiche sostanziali, fra cui l’arbitraria adozione della durata di sei mesi come criterio temporale per formulare la diagnosi. Per una discussione più generale sulla necessità di una nuova concezione per lo studio dei disturbi sessuali si rimanda ancora alla scheda introduttiva dell’aggiornamento già citato nel testo: Aggiornamenti – Sesso e Psicopatologia – Necessità di una nuova concezione.
[8] Secondo tale visione, ad esempio, un masochista non è semplicemente una persona che si fa del male o accetta passivamente il dolore, ma qualcuno il cui funzionamento psichico è caratterizzato dal provare piacere, soddisfazione o gratificazione nell’infliggersi o nel subire una sofferenza, ed ha in questa forma paradossale di reazione una componente del proprio equilibrio psicoadattativo. Allo stesso modo pedofilo non è chi semplicemente è attratto fisicamente dai bambini, ma colui che ha nelle modalità di fondo del suo equilibrio bio-psicologico una identità sessuale pedofilica.
[9] Andrew Sims, Introduzione alla psicopatologia descrittiva (2a ed.), p. 297, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997.
[10] Non si tratta di una questione marginale, ma di un problema che rimanda alla scientificità dell’adozione di criteri quali la creazione o l’esclusione di categorie diagnostiche basate sul comportamento. Il rapporto fisico di un soggetto adulto di sesso maschile con un ragazzo o un bambino dello stesso sesso è un rapporto omosessuale, ma questo non è più preso in considerazione dagli psichiatri che aderiscono alla cultura del DSM da quando la commissione per la revisione della nomenclatura presieduta da Robert Spitzer decise di raccomandare l’abolizione del termine “omosessualità” dal manuale diagnostico-statistico americano. Nel 1972 la pressione delle associazioni gay fu esercitata per la prima volta in modo eclatante ad un convegno di psicologia, e il crescere delle manifestazioni di piazza con la mobilitazione dell’opinione pubblica indusse Spitzer ad entrare in trattativa con i manifestanti: le condizioni per la tregua prevedevano l’esclusione dell’omosessualità dagli oggetti di studio dell’American Psychiatric Association (APA). Spitzer raccomandò e mise ai voti l’abolizione del termine dal manuale: la commissione dell’APA votò 13 a 0, con due astensioni, a favore dell’accoglimento della raccomandazione. Attraverso l’accettazione di questa istanza nominalistica fu di fatto abolito lo studio dell’omosessualità patologica, ma non quello dell’eterosessualità patologica. In tal modo il comportamento omosessuale, anche quando ha origini di interesse medico, è divenuto una sorta di tabù. A tale difetto si è cercato di porre rimedio creando la categoria tutta psicologica dei “disturbi dell’identità di genere”. Questa vicenda è utile per comprendere i condizionamenti culturali che oggi costituiscono un limite anche nello studio della pedofilia: se è legittimo esprimere idee per ottenere un progresso civile nel superamento di discriminazioni legate all’orientamento sessuale, è deleterio limitare o precludere l’indagine scientifica sostituendovi una visione unica e precostituita, anche se frutto di un’elaborazione culturale spesso ricca ed interessante, perché creativa e colta, come spesso è dato constatare nella letteratura e nel cinema. La scienza è uno strumento diverso dall’arte, perché deve aiutarci a comprendere come stanno le cose, non a rappresentarle per come vorremmo che fossero.
[11] Non è escluso che la diffusione della pedopornografia via internet, in assuntori abituali di sostanze psicotrope in grado di indebolire il controllo corticale cosciente necessario alla fisiologica espressione della personalità e del senso morale, possa costituire una nuova fonte di tale degrado. D’altra parte il mercato della pedopornografia mondiale suppone un bacino di utenza enormemente più vasto del numero di pedofili che si presume siano presenti in una popolazione, anche secondo stime approssimate con notevole eccesso.
[12] Si veda in
AA.VV. DSM-IV-TR Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Masson, Milano 2001.
[13] Peer Briken, Andreas Hill e Wolfgang Berner, Abnormal Attraction. Scientific American MIND 20 (3): 76-81, 2009.
[14] Solo di sesso maschile.
[15] Peer Briken, et al., op. Cit., p. 79.
[16] Da stati ansiosi
e sindromi fobiche fino a disturbi post-traumatici da stress acuti e cronici. Gli abusi subiti nell’infanzia lasciano
spesso uno strascico traumatico che ha un’importante base biologica nella
modifica dell’espressione genica (si veda in proposito: Note e Notizie 18-04-09 Epigenetica
degli abusi subiti nell’infanzia).
[17] Una corretta procedura di diagnostica medica implicherebbe uno studio analitico della persona, dagli esami citogenetici ed endocrinologici fino alle valutazioni sessuologiche e psicologiche. L’esperienza clinica in psichiatria annovera casi di sindrome di Klinefelter, o mosaici a questa assimilabili, rivelati dalla richiesta di una mappa cromosomica in pazienti con condotte pedofiliche ed omosessuali. Nella pratica, purtroppo, lo studio dei pedofili origina spesso da esigenze peritali in seno a procedimenti giudiziari di tipo penale e, pertanto, è condizionato e limitato da questa prospettiva.
[18] Si pensi al pluriomicida di bambine Dutroux.
[19] Ha fatto scalpore il caso di Mark Foley, rappresentante della Florida al Congresso USA, che si è dimesso dopo essere stato accusato di aver inviato messaggi elettronici dai contenuti sessuali espliciti a ragazzi di età inferiore ai diciotto anni.
[20] Uno stato che, secondo la semeiotica tradizionale anglo-americana, si indica come illness, contrapposto al quadro della oggettività patologica organica corrispondente a disease.
[21] Nel 2006 è nato in Olanda un movimento “politico-culturale” di pedofili che considerano la propria parafilia una condizione normale e ritengono che la proibizione delle sue manifestazioni costituisca la lesione di un diritto. Costoro chiedono che si legalizzino i rapporti sessuali di adulti con dodicenni, che ai sedicenni sia consentito prostituirsi e recitare nei film pornografici hardcore, che sia consentito andare nudi nei luoghi pubblici e che si autorizzi l’educazione dei bambini ai rapporti sessuali precoci con adulti, così da inculcare come “modello normale” la posizione di vittima del pedofilo, secondo il desiderio del fondatore del movimento, Ad van den Berg. Fra le altre richieste di liberalizzazione vi è anche quella dei rapporti sessuali con animali. A nostro avviso, una società civile ed evoluta dovrebbe proibire una simile barbarie spacciata per progresso ed essere in grado di proteggere l’integrità psichica e fisica dei suoi membri nell’età della massima vulnerabilità.
[22] Si veda in
Fagan P. J., et al. Pedophilia. JAMA
288 (19): 2458-2465, 2002.
[23] Si veda p. 78 di Peer Briken,
Andreas Hill e Wolfgang Berner, Abnormal Attraction. Scientific American MIND 20 (3): 76-81, 2009.
[24] Peer Briken, Andreas Hill and
Wolfgang Berner, Pharmacotherapy of Paraphilias with Long-Acting Agonists of
Luteinizing Hormone-Releasing Hormone: A Systematic Review. Journal of Clinical Psychiatry 64 (8): 890-897, 2003.
[25] Peer Briken, et al., op. Cit., 2003.
[26] Si veda p. 81 di Peer Briken, Andreas Hill e Wolfgang Berner, Abnormal Attraction. Scientific American MIND 20 (3): 76-81, 2009.
[27] La pena della castrazione chimica come forma di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) per pedofili e violentatori, riporta in discussione altre condizioni da trattare obbligatoriamente, come quelle degli alcoolisti e dei tossicodipendenti che alla guida di un veicolo abbiano causato morte ed infermità, per le quali le terapie di disintossicazione (magari in comunità terapeutica) hanno un fondamento definito ed un’efficacia provata.
[28] Si veda p. 81 di Peer Briken, et al., op. Cit., 2009.
[29] Per le terapie cognitivo-comportamentali, si fa riferimento agli USA perché si dispone di una maggiore documentazione.
[30] Si veda anche p. 81 di Peer Briken, Andreas Hill e Wolfgang Berner, Abnormal Attraction. Scientific American MIND 20 (3): 76-81, 2009.
[31] Si pensi che sul computer di soggetti indagati per detenzione di materiale pedopornografico sono state rinvenute, nel corso delle indagini disposte dall’autorità giudiziaria, decine di migliaia e, talvolta, centinaia di migliaia di immagini. La detenzione di materiale pedopornografico in Italia è un reato, ma non è così in molti paesi e, dunque, in rete è molto diffuso lo scambio fra “collezionisti” di immagini acquistate in precedenza.
[32] Seto M. C., Cantor J. M., Blanchard R., Child pornograhy offenses are a valid diagnostic indicator of pedophilia. Journal of Abnormal Psychology 115 (3), 610-615, 2006. Si consiglia, a chi voglia approfondire l’argomento, l’interessante rassegna: Seto M. C., Pedophilia. Annu. Rev. Clin. Psychol. 5, 391-407, 2009.
[33] In proposito non vi è accordo, infatti se alcuni autori americani sostengono l’esistenza di un rapporto di causalità diretta fra la diffusione della pornografia infantile mediante internet e i crimini sessuali, altri autori come Briken, Hill e Berner -probabilmente con riferimento alla realtà tedesca- sostengono che non si è avuta una crescita dei reati sessuali a dispetto della rapida diffusione dell’uso di internet (Peer Briken, Andreas Hill e Wolfgang Berner, Op. Cit., p. 81).
[34] E’ comprensibile come ciò accada con una certa frequenza per gli omosessuali pedofili.
[35] Verosimilmente quelli in cui la componente genetica dell’orientamento sessuale ha un peso maggiore.