La morte del
giorno
(La mort du
jour)
Olivier Mathieu
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Sono convinta che la maniera migliore di leggere un testo
di teatro sia recitarlo o, meglio, interpretarlo, indipendentemente dalle nostre
doti naturali e capacità artistiche. Si dovrebbe fare tutto tranne che essere
spettatori a teatro, ma lì è inevitabile: tutto è disposto perché in ombra su
comode poltrone il corpo stia fermo e, con gli occhi, verso la luce del sipario
aperto, la mente segua gli attori. Condizione cartesiana che rispetta la
rigida dicotomia mente/corpo. Non sono cartesiana e non lo è nemmeno Olivier
Mathieu, perciò siamo autorizzati, io e voi, a salire con lui sulle tavole del
palcoscenico e, approfittando dell’opportunità di disporre delle parole, ovvero
del senso del gioco, ad eliminare la distanza che crea gli idoli del
teatro di baconiana memoria, così come il potere seduttivo delle dame
romane di Klossowsky, e ad essere noi stessi nei personaggi de “La morte del giorno”[1].
Giochiamo il ruolo, come vuole la suggestiva ambiguità del termine inglese play
che sta per giocare e interpretare, provando ad incontrare in noi
almeno uno dei protagonisti, quello con il quale ci è più facile identificarci,
dandogli il nostro essere nel suo stile, secondo quanto suggeriva il noto e
celebrato regista Stanislawsky.
Ma per me non è un gioco. Ridicola o grandiosa, tragica o
felice, misera o fastosa, ogni scena scritta o vissuta, immaginata, sofferta,
sognata, desiderata, respirata, urlata, amata od odiata ha sempre in sé il più
serio dei valori: è vita.
Vita: proprio quello che ci accade ad ogni istante, anche
se abbiamo smesso di accorgercene. La nostra durata. Sono tra coloro che ci
pensa, illudendosi che sia un modo per trattenere qualcosa che sfugge, per
cercare di dare con l’intensità e la profondità una dimensione
ulteriore od altra all’inevitabile traccia che corre lungo un filo.
Pertanto mi è sembrato naturale leggere questa breve opera teatrale come un
interrogarsi sul tempo, inteso non come il parametro oggettivo della fisica, ma
come dimensione essenziale dell’esperienza umana, naturale e culturale, nei
suoi aspetti di durata, ripartizione, scansione, successione, ritmo,
scorrimento, avvicendamento ed evoluzione. Esperienza che costantemente rimanda
al polo dialettico dello spazio, materiale e concettuale, indispensabile non
solo per ridurre il primo alla dimensione del pensabile, del dicibile
e del rappresentabile, ma anche per connotarne il senso nella
costituzione della più concreta delle nostre astrazioni, la coscienza.
La morte del giorno
(La mort du
jour)[2]
Olivier Mathieu
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Un grande parco circondato
da una cancellata. Le stagioni giocano sui prati, fra gli alberi, e si fanno
subdoli sgambetti: niente permette di prevedere quale avrà la meglio. Hanno la
forma molto indecisa delle luci appena nate. A seconda che l’una o l’altra al
momento prevalga, gli alberi subiscono variazioni e arpeggi di diversi colori.
E’ un continuo sfavillare, un ingiallire di fiori che appassiscono non appena
sbocciati; la neve, apparsa l’istante prima, subito si muta nel rosso
sfolgorante del fogliame, a sua volta sostituito da un’esplosione di germogli.
E’ un continuo bagliore: le stagioni nascono e muoiono nel tempo di un lampo.
Raffiche di vento passano in tromba, il tempo di schiaffeggiare gli alberi, le
scaccia un vortice di sole, a sua volta inseguito da un rovescio di pioggia
obliqua. E’ il regno dell’imprevisto. Ma ben presto si indovinano le regole del
gioco allora ci si abitua: è vietato vincere, vietato adagiarsi sulla propria
vittoria, il vincitore deve chiedere di ingaggiare battaglia l’attimo stesso
del suo trionfo. La sola misura di tempo e spazio è il lampo. La regola
fondamentale è non avere alcuno scopo: la primavera non desidera di vedere gli
alberi coperti di fiori, l’inverno non è un fautore della neve. Vietato
appassionarsi per il risultato del gioco. Vietato attendere la fine. Le
stagioni cambieranno durante tutta la recita e ancora in seguito. Lo spettatore
è avvertito che non v’è alcuna fine di nessun genere.
VIETATO ASPETTARE
Espressione molto
impropria. Bisognerebbe dire: si alzano i sipari. Davanti al parco che voi
vedete non c’è mai stato un sipario. Non è mai cominciato niente. Quello che si
alza è il piccolo, particolare sipario che ciascuno di voi tiene davanti al suo
spirito, davanti alla sua anima, davanti ai suoi occhi.
ATTO
PRIMO
Quadro
Primo
All’alzarsi
del sipario, il Giorno è a cavalcioni sul ramo principale di una grossa
quercia. Entra la notte.
LA NOTTE
Traditore!
Cosa fai lassù? Da quanti giorni te ne stai appollaiato?, tutti i giorni che
hanno formato un giorno smisuratamente lungo?
IL GIORNO
Vattene!
Non ti ricordi…
LA NOTTE
Se
non mi ricordo della mia sconfitta? E le regole del gioco dove vanno a finire?
IL GIORNO
E’
finito. Io non gioco più.
LA NOTTE
Ma
quando mi vincevi volevi giocare ancora.
IL GIORNO
Non
giocavo. Il gioco si è rotto, non so più quando. Soltanto so che a un certo
momento è successo che io non giocavo più.
LA NOTTE
E
quando potevo schiacciarti sotto il mio tallone nero, quando potevo…
IL GIORNO
Non potevi eri tu che giocavi. La regola del tuo gioco
voleva che il vincitore offrisse la sua testa al vinto.
LA NOTTE
E
tu, una volta che hai vinto, m’hai lasciato a terra accasciata, quasi morta – e
ti sei sistemato sul ramo della grande quercia! Il gioco si è rotto? Allora
bisogna che tu esca dal parco e che tu affronti, corpo a corpo, gli sconosciuti
al di là della cancellata.
IL GIORNO
Al
di là della cancellata ritroverai ancora guerra, sempre guerra. Ho vinto e sono
sazio di violenza.
LA NOTTE
Sei
un traditore. Potevi almeno avvisare che uscivi dal gioco.
IL GIORNO
Pazza!
Pazza! Pazza! Che speranza avrei avuto allora di riportare la vittoria?
LA NOTTE
E’
vero; da quando hai lasciato il gioco hai adottato l’infame regola della
speranza. La speranza bandita, la speranza, quella rivoluzionaria, tu ne hai
fatto il tuo dio.
IL GIORNO
Dopo
tutto non ti devo nessuna spiegazione; sono io che comando. Comunque ascolta:
sei tu quella che gioca – tu, che bandisci la speranza, tu che non ti interessi
del risultato della battaglia che combatti. Io richiamo la speranza, ne faccio
il mio dio; e mi prende l’angoscia. Che gioco a confronto del tuo!
LA NOTTE
(scuotendo rabbiosamente l’albero su cui è
appollaiato il Giorno)
Traditore!
Mentre le stagioni fanno scintillare gli alberi con le loro variazioni, tu
rapisci i loro giochi d’ombre, i neri attimi della notte selvaggia. Tu spogli
le stagioni della metà della loro vita. Scendi di là!
IL GIORNO
Lasciami
dormire.
LA NOTTE
(si inginocchia)
Mio
Dio, mio Dio, io vi supplico, venite, non per favorire me, no, ma per l’amore
dell’imprevisto, per amore dei secondi che rimbalzano gli uni sugli altri,
venite in mio soccorso, Dio mio!
IL GIORNO
(irrompendo sul prato)
Per
Dio! Non avrò mai pace, io? Non posso fare sempre tutto io! Vorrei che le mie
passeggiate non fossero sempre interrotte da lamenti!
LA NOTTE
Ma,
mio Dio, fate soltanto un gesto, cacciate di qui questo Giorno traditore, fate
nascere un giorno nuovo, che si pieghi alle regole del gioco. Ricordatevi, mio
Dio, il tempo che fu; a volte, in un’ora, mi ricordo d’aver visto rifulgere
parecchie notti di Natale – vostro figlio nella stalla, e i pastori, e la
stella che li guida; allora, ai tempi in cui giocavo, non passava nemmeno
un’ora senza che vostro Figlio nascesse più volte. E ora, dov’è, vostro Figlio?
Da quando regna il giorno, vostro Figlio è morto, morto in croce ad ogni
momento. Vostro Figlio muore e non nasce più, vostro Figlio muore crocefisso e
non resuscita più, poiché la notte della resurrezione non vince più il giorno
della crocifissione.
DIO
Ci
penserò. Ma per oggi me ne lavo le mani. Mi devo riposare. Si vedrà quello che
riuscite a fare da soli, voialtri. Non ci sono per nessuno.
(Dio esce)
Entra una fanciulla, seguita a pochi passi
da un giovane.
LA FANCIULLA
(rivolgendosi al giorno sempre immobile)
Ascolta,
vecchio mio, non per prendere il tuo posto -no, grazie- ma se tu non ti muovi
da lassù, mi incarico io di farti scomparire e di trovarti un successore più
onesto.
(il Giorno sbadiglia)
Che
infamia! Eccolo sistemato lassù, e con lui gli scopi, le aspettative, le
angosce di ciò che avverrà. Eccolo sistemato là, che astutamente cerca di
sostituire Dio (che non ha alcun sospetto) col suo dio: la Speranza. Fatto
questo, i giochi sono finiti: la superba indifferenza della propria felicità.
Finito!… Notte, amica mia, se non vuoi diventare la schiava di te stessa, è
tempo di far bagagli. Notte, amica mia, se non vuoi esser tenuta al guinzaglio
fino alla morte da un’idea fissa, se non vuoi diventare un cane da caccia sulla
pista della tua felicità, è tempo, è gran tempo di far bagagli: Notte, amica
mia, se vuoi ancora combattere per amore del combattimento e non della
vittoria, è tempo di fuggire, al più presto.
(alla Notte)
Signora, io cerco Dio da molto tempo: M’hanno
detto che è possibile trovarlo in questo parco.
LA NOTTE
(sardonica)
Ah!
Ah! Così vi hanno detto! Ebbene, mi spiace, ma il signore non riceve; il
signore è in vacanza.
LA FANCIULLA
Oh!
E non sapete quando tornerà?
(la Notte esce alzando le spalle)
IL GIOVANE
Quando
tornerà, signorina? Quando non ci sarà più bisogno di lui. Questo è quanto ho
ricavato dalla mia giovane esperienza. Sono venuto qui parecchie volte, e
sempre il signore era in vacanza.
LA FANCIULLA
Che seccatura! E dire che mi sono fatta battezzare per avere
accesso a lui.
IL GIOVANE
Beh,
non tutto è perduto. Se me lo permettete avrò il piacere di accompagnarvi in
giro per il parco.
LA FANCIULLA
(a parte)
Chissà!
Forse è Dio che si è travestito per poter entrare nei miei pensieri!
(s’inoltrano tra gli alberi)
Quadro
Secondo
Le
stagioni continuano a variare giocando sul prato. La fanciulla sta seduta in
mezzo e, proprio come gli alberi cambiano colore ad ogni istante, è impossibile
dire che il colore è il suo vestito: Si rinnova ad ogni attimo. Ha la diversità
dell’arcobaleno.
LA FANCIULLA
Si;
mi ha detto…Ma ascoltatemi, invece di battervi.
(tende le braccia, cerca di afferrare la
primavera appena nata che le sfugge tra le dita)
Ascoltate:
nel lasciarmi m’ha detto: a questa sera!
LA PRIMAVERA
(sempre giocando)
Chi?
LA FANCIULLA
Dio!
(le stagioni si fermano su un paesaggio d’aprile)
TUTTI
Dio?
LA FANCIULLA
Dio
in persona, travestito da quel giovane che dovreste aver visto passare or ora.
Ascoltate:
(a voce bassa)
Dio
si è innamorato di me.
(le stagioni si guardano sbalordite, poi si
rimettono a giocare. Per il momento l’inverno ha decisamente la peggio. Le
stagioni fanno un giro di danza dalla primavera all’estate. A malapena fa
capolino l’autunno. La fanciulla resta immersa in pieno sole)
Si
al cadere del giorno Dio verrà qui: Non rimpiango di essermi fatta battezzare!
Non mi avevano promesso tanta dolcezza: Ma se lo racconto a casa non mi
crederanno. E’ un peccato: non potrò mai spiegare loro che stagione era, che
tempo faceva, quali uccelli cantavano. Qui infatti regna, non una stagione, ma
una vertigine di stagioni: Gli uccelli cantano tutti insieme, tutto gira
vorticosamente, io stessa sono tutta una vertigine.
(si stende sull’erba)
Si,
tutti mi chiederanno: “E in qual parco c’erano dei fiori?”. E io risponderò:
“Fiori, sì, tutti i fiori; ma subito scomparivano uno dopo l’altro”. “E
frutti?”. “Si, tutti i frutti, e tutte le foglie verdi. Ma, il tempo di tendere
la mano e le foglie erano morte”. E dirò loro che ho vissuto le stagioni tutte
insieme: E dirò loro che Dio, questa sera, verrà; che Dio, questa sera, è
venuto. Dio è venuto, Dio verrà, questa sera.
(si addormenta)
Le
stagioni continuano i loro giri di danza. Non si saprebbe dire quanto tempo ha
dormito la fanciulla, poiché l’unica misura di tempo è il lampo e quindi si
perde ogni nozione delle ore trascorse.
LA FANCIULLA
(svegliandosi)
Oh!
Com’è ancora chiaro! Mi sembrava però d’aver dormito a lungo. Quando verrà la
sera?
LA NOTTE
(sopraggiungendo)
Quando
verrà la sera? Cosa te ne importa?
LA FANCIULLA
E’
che quando cala la sera Dio deve venire qui.
LA NOTTE
Dio
deve venire qui? Chi te l’ha detto?
LA FANCIULLA
Lui
stesso. Voi dicevate che era in vacanza. Invece s’è travestito per restare solo
con me.
LA NOTTE
Bah!
Non me lo vedo il vecchio barbogio mascherato da Adone. Comunque, tutto è
possibile, perfino per Dio. In ogni caso, avrai da aspettare molto, se aspetti
la sera.
LA FANCIULLA
Oh
no, perché ho dormito a lungo: Presto arriverà la sera.
LA NOTTE
Povera
bambina! Il tempo che ti separa da Dio, tu lo conti in ore, lo conti in sere e
mattine! Faresti meglio a contarlo sui battiti del tuo cuore, sulle pulsazioni
del tuo sangue! E Dio nel lasciarti non doveva dire: “A questa sera!”, ma: “A
questo desiderio che viene!”: allora l’avresti visto accorrere. Ma ora voi
aspettate questa sera separati dalla cancellata: Povera bambina! Non lo sai che
la sera è stata vinta?
LA FANCIULLA
Vinta,
la sera?
LA NOTTE
Vinta
si, scomparsa: Un tempo le sere, scontrandosi con le aurore, nascevano e
morivano come delle farfalle. Allora bisognava misurare la tua attesa dalle
sere e dalle mattine.
LA FANCIULLA
Ma
fuori dal parco, la sera arriva sempre col ritmo regolare delle ore?
LA NOTTE
Si.
LA FANCIULLA
Ma
allora io vado fuori, e subito! Forse là fuori sarà già notte?
LA NOTTE
Ma
credi che Dio ti aspetti alla cancellata? In questo caso, perché sei entrata
nel parco? Anche tu potevi aspettare fuori.
LA FANCIULLA
Oh
Dio, Dio mio, che fare?
LA NOTTE
Guarda
su quella quercia il giorno che dorme. E’ il carceriere della sera, il
carceriere della tua felicità. Ascolta: bisogna ucciderlo.
LA FANCIULLA
Ma
se lui muore non sarà mai più giorno. Non vedrò più Dio alla luce, mai più!
LA NOTTE
Via
uccidilo! Ne nascerà un altro, un altro che accetterà un combattimento leale.
Guarda questo turbinare di stagioni: così pioveranno su di voi i crepuscoli e
le albe. Su, vai, va’ ad uccidere il Giorno!
(la fanciulla esce da una quinta)
LA NOTTE
(sola)
Lo
ucciderà, sono sicura che lo ucciderà! Ho una sicura alleata. Per vedere Dio
arriverà ad uccidere il Giorno.
(ride)
Ah, ah, ah! E’ proprio divertente scommetto che Dio si stupirà di aver
dato appuntamento ad una ragazza al cader della notte.
Quadro
Terzo
Una
strada che costeggia il parco. E’ inverno. Il giovane è seduto su un paracarro,
triste, ha un orologio al polso.
IL GIOVANE
Mezzanotte!
Son quattro ore che aspetto qui nella neve. E’ buio come all’inferno, ma tutte
le volte che arrivo alla cancellata del parco è giorno pieno. Questo scherzo è
ben stupido, per Dio!
(a questo punto arriva Dio dalla strada)
DIO
Ehi
là, giovanotto, come ti permetti di giurare in nome mio? Che stupefacente
irriverenza!
IL GIOVANE
Non
avrei niente da dire se voi spergiuraste in nome mio quanto volete, il giorno
che vi accadrà quello che è successo a me. Ma fintanto che succede a me, è più
giusto che io giuri per il vostro. Per Dio! Per Dio!
(si morde le mani)
DIO
Calma,
calma, giovanotto! Perché questo scoppio di rabbia?
IL GIOVANE
E’
che ho un appuntamento con una ragazza – una ragazza! Un bocconcino, una
fragolina! – questa sera nel parco. E’ mezzanotte, e siamo in pieno giorno.
DIO
Ah!
In pieno giorno a mezzanotte? Sareste voi quello che cerca il sole a mezzanotte
di cui qualche volta ho sentito parlare?
IL GIOVANE
Nient’affatto.
Io sono in regola col tempo ho un orologio molto preciso. E tutto questo, per Dio,
perché? Per vedere andare a monte i miei appuntamenti notturni, visto che il
giorno, a mezzanotte non si è ancora deciso a sloggiare.
DIO
Adesso
mi ricordo effettivamente che, quando sono partito, anche la Notte s’è
lamentata del Giorno. Ma non immaginavo che fosse così grave.
(riflette)
Ascoltate,
giovanotto, vado a vedere cosa succede e cercherò di mettere tutto in ordine.
Questo Giorno si prende davvero troppe libertà!
(entra nel parco)
ATTO
SECONDO
E’
buio pesto. La fanciulla arriva sul prato; la si scorge solo negli attimi in
cui scoppiano i lampi, e quando la luna rimbalza sul cielo come una palla sul
soffitto.
LA FANCIULLA
O
stagioni, stagioni, ascoltate! Mio Dio, com’è triste non poter parlare a delle
stagioni che giocano.
(afferra l’inverno con la mano, ma quello
le starnutisce in faccia e scappa via)
Stagioni!
Ma che ingrate! Non vogliono nemmeno sapere come ho reso loro la notte: Se Dio
fosse qui…Ma come avrebbe potuto venire? Ho ucciso il Giorno con tale rapidità
che la sera non ha avuto il tempo di scivolare fra la sua morte e la
resurrezione della Notte. Ha detto: “A questa sera”. Non ha detto: “A questa
notte”. La Notte sostiene che la Sera nasce quando lei schiaccia il giorno
sotto il suo incolore ginocchio. Mi ha promesso di tornare con un Giorno nuovo.
Oh! Ma come ritarda! – un Giorno nuovo che schiaccerà sotto le sue ginocchia –
viene? – e poi sembra che il Giorno la distruggerà e sarà l’aurora. M’ha
promesso tutto questo. Ma temo che la Notte abbia preso troppo gusto alla
vittoria. Vado a vedere se per caso non si è piazzata anche lei sulla grande
quercia.
(si allontana e ritorna subito)
No.
Che paura! Se lei non torna, oppure se torna da sola, sarà notte per tutta la
mia vita! Una lunga, lunga notte. E se la uccido, cosa succederà? Non lo so, ma
non ci saranno più sere, né mattine. Dio mi ha detto: “A questa sera”. E’
possibile che questa sera non arrivi mai, mai più? Oh! Ho ancora le mani calde
del sangue del Giorno. Chi me l’avrebbe detto? Non sapevo nemmeno che si
potesse ucciderlo, il Giorno, con le mani di una ragazza.
(si guarda le mani alla luce di un lampo)
Sono
sicura che nessuno mi crederà. Nemmeno io stessa: mi sembra che da un momento
all’altro smetterò di crederci anch’io! Sento aggirarsi intorno a me l’istante
in cui non ci crederò più.
(accorre la Notte a passi precipitosi, un
bambino bianco-bianco fra le braccia)
LA FANCIULLA
Finalmente!
Presto la sera! La sera alla feritoia del Giorno!
LA NOTTE
(buttando il bambino sull’erba)
Eccolo!
Uffa! Non sono facili da rubare, i giorni! Sono contati. Già! Ho fatto il giro
del mondo per trovare questo qui. Sai da dove viene? Dal Polo Nord.
LA FANCIULLA
Dal
Polo Nord?
LA NOTTE
Si.
Mi hanno detto che i Giorni bambini si prendono solo al Polo Nord. Allora ci
sono andata ed ho trovato questo, povero giorno senza pane, tutto nudo nella
neve.
LA FANCIULLA
Allora,
in fretta, fate cadere la sera per me.
LA NOTTE
Pazienza:
lascia che io insegni il gioco al Giorno bambino.
Dà
uno schiaffo al bambino, che apre gli occhi – un altro, e lui si alza- un
terzo, un quarto, una serie di schiaffi: il bambino grida e ad ogni schiaffo
diventa più grande di qualche centimetro. D’improvviso, ad un contatto della
mano della Notte sulla guancia del Giorno, scocca un lampo. Si vede che adesso
ha la taglia e la figura di un adolescente. Uno schiaffo più squillante di
tutti gli altri: è il Giorno che schiaffeggia la Notte. Nel chiarore immenso
che ne nasce, s’intravede, ai piedi della grande quercia, il vecchio Giorno che
giace pallido, sanguinante. La Notte, atterrata dal nuovo Giorno, grida di
gioia:
Gioca,
gioca! Alla guerra!
(il Giorno la fa rotolare come un tappeto
sul prato delle stagioni. E’ l’aurora)
Una
sera, una sera, per carità!
Un
attimo dopo le ginocchia della Notte atterrano il petto del Giorno che sembra
un giovane atleta: è la sera. E le aurore e le sere si susseguono sul terreno,
scoppiano, si rompono, si mescolano al gioco meno selvaggio delle stagioni.
IL GIOVANE
(accorre trafelato)
E’
un mese, un mese che aspetto. E nel parco in tutto questo tempo non c’è stato
che un giorno e una notte. Che assurdo scherzo! Fragolina di bosco, ti ritrovo
infine! E in che estasi di sera vi ritrovo! Voi siete di tutte le ore, di tutte
le stagioni, di tutte le piogge e di tutte le brezze! Vi ho ritrovato! Lontano
da voi ho vissuto un solo giorno, una sola notte d’attesa. Ma un’altra con voi:
e tutti i giorni perduti, tutti gli istanti si abbattono su di me a valanga;
tutte le piogge e tutti i soli, tutti i profumi sono qui intorno a voi. Vedo le
stagioni che si riformano. Mi trovo nel grembo del mondo.
LA FANCIULLA
Ascoltate:
per voi ho ucciso il Giorno, il Giorno carceriere delle sere, il Giorno
carceriere dei Giorni. Sono io, io che ho ucciso il vostro lungo giorno vuoto.
Per un momento ho temuto di aver ucciso, con il giorno, ogni speranza che le
sere sarebbero tornate.
Ma
la Notte è leale, ama il gioco delle creazioni evanescenti. Voi avete avuto
soltanto un giorno e un inverno. Io ho avuto tutti i fiori di tutte le
stagioni. A voi è mancato tutto. A me, è mancata solo una sera. Avevo tutto il
mondo tranne una sera.
(indietreggia con un grido)
Mio
Dio, aiuto! Sento girare attorno a me - l’avevo previsto – come una farfalla
notturna, il momento in cui non ci crederò più.
(scappa da tutte le parti. Si erge davanti
alle stagioni come un grande fiore bianco spaventato)
Aiuto,
subito! No, no, io voglio credere! Il momento, aiuto, il momento! Esso porta
l’oblio con la sua freccia. No, no! Io credo, io credo! Io ho ucciso il Giorno!
La mia mano grondava sangue. Ho ucciso il Giorno, i petali coprivano la neve,
tutte le stagioni mi circondavano insieme. Non c’erano più momenti né tempi, né
inverno, né primavera. Aiuto! Mio Dio scacciate questo istante che mi ronza
all’orecchio! Giuro, giuro che ho ucciso il Giorno, e che al mondo mancava solo
una sera. Ah!
Si
abbatte al suolo distrutta. Il “momento” l’ha sfiorata, l’ha colpita con la sua
freccia e se n’è scappato più in là, per andare a morire in una fossa erbosa.
Le stagioni indietreggiano, si radunano attorno al vecchio Giorno morto, con il
Giorno e la Notte. E’ inverno, lo stesso inverno che sulla strada. La fanciulla
giace nella neve, addormentata. Arriva Dio, coperto da una pelliccia.
DIO
In
cosa posso esservi utile, mia cara bella notte?
LA NOTTE
Tutto
è finito. Esattamente un attimo fa, tutto ancora cominciava. Arrivate un po’
troppo tardi. Grazie. Voi, che l’eternità non cambia nemmeno di uno iota,
vi potrà stupire che in un momento tutto sia cominciato e finito. E infine noi,
noi abbiamo fatto il nostro piano da soli. Grazie. Ma questa povera brava
gente…Bisognava uccidere un momento. Tanto peggio!
(Dio si avvicina alla fanciulla e la tocca.
Ella si sveglia)
DIO
Ragazza
mia, cosa siete venuta a cercare in questo parco?
LA FANCIULLA
Dio.
DIO
Eccomi.
LA FANCIULLA
Voi
scherzate! Eccolo là Dio!
(mostra il giovane)
Cosa?
Questo miserabile che ho incontrato qualche mese fa seduto su un paracarro?
IL GIOVANE
Sono
confuso.
(un silenzio molto imbarazzante, gelido)
DIO
Ebbene,
bambina mia, cosa avete da chiedermi?
LA FANCIULLA
Ma,
ma…Non lo so più…
(si decide all’improvviso)
Comunque
c’è uno sbaglio. Non è Dio che sono venuta a cercare. Adesso mi ricordo: avevo
un appuntamento, questa sera, con questo giovane.
(rivolta al giovane)
E
per il nostro primo appuntamento, signore, siete arrivato in ritardo. Mi avete
fatto aspettare nella neve. E’ molto scorretto!
(Mentre parla, Dio s’è eclissato, con
l’aria scocciata)
IL GIOVANE
Oh,
che cosa terribile! E’ dunque questo, l’oblio? Mi crederete almeno, quando vi
racconterò di questa sera tanto attesa, e di questo Giorno che hanno ucciso le
vostre mani?
LA FANCIULLA
Come
avrei potuto uccidere il giorno, io che ho paura anche delle farfalle?
IL GIOVANE
Solo
voi lo sapete, come. Io non c’ero. Venite a vederlo, giace sotto la grande
quercia.
(si dirigono verso l’albero. Ma il vecchio
Giorno è scomparso)
LA FANCIULLA
Dove
mai vedete tutto questo?
IL GIOVANE
(guardandosi intorno)
Che
strano! Ecco che sono scomparse!
(Le stagioni effettivamente, sentendo
parlare di loro, si sono nascoste dietro i cespugli)
Ma
vi giuro che le ho viste!
LA FANCIULLA
Avete
sognato! E’ inverno adesso, come nel giorno in cui ho lasciato casa. La neve
era la stessa.
IL GIOVANE
Ma
tutto può ancora cambiare! Non vi ricordate…?
LA FANCIULLA
Si.
Ho in cuor mio il ricordo d’un’attesa come di un valzer. Ma non capisco il mio
cuore.
(piange)
Venite,
è tardi ed io ho freddo.
IL GIOVANE
Dove
andate?
LA FANCIULLA
Non
importa dove, purché lontano da qui. Venite, ho paura. Ho paura!
(piange)
IL GIOVANE
(seguendola disperato)
Ma
almeno, almeno…Ritorneremo?
LA FANCIULLA
Forse…
Più tardi…
(si allontanano)
LA NOTTE
Ecco
fatto! Non torneranno mai più!
IL GIORNO
Cosa
vuol dire: mai?
LA NOTTE
Tu
non lo puoi capire. Non è una parola di qui. Mai è l’eco del mondo, e
tutto al mondo è rivestito di un mai.
IL GIORNO
Effettivamente
è piuttosto vago.
LA NOTTE
Non
avranno altro in comune che quel mai, solo quello: E inoltre…
IL GIORNO
E
poi?
LA NOTTE
E
poi? E poi niente. E’ finito.
IL GIORNO
C’è
dunque un verbo che si chiama finire?
LA NOTTE
Ci
sono invero molti verbi che si chiamano finire.
Le
stagioni cominciano a stuzzicarsi, con piccoli gesti bruschi. Qualche manciata
di corolle si sparge sulla neve. Risate soffocate.
IL GIORNO
(con voce soffocata, pallidissimo)
E
per noi, anche per noi ci sarà una fine?
LA NOTTE
Per
noi? Ci sarà la gioia di una eterna partenza senza il disgusto degli arrivi. La
tua vita sarà un delirante addio. Tu vivrai alla fiamma di desideri sempre
nuovi, sempre rinascenti, mescolati ai venti, ai fiori, alla danze della terra.
Un eterno principiare; ecco il tuo destino.
A
questo punto, migliaia di uccelli traforano l’aria coi loro canti. Il Giorno
manda un grido di gioia; di slancio salta al di sopra della Notte, e ricasca
ridendo sul prato, dove le stagioni, capelli al vento, ricominciano la loro
ronda, volteggiano sfolgoranti.
---- fine ----
[1] Trovo che la musica sia indispensabile in questi casi: ho
ascoltato “Gymnopédie” No 1 di Eric Satie, “Dove nascono i sogni” di J.
Williams, la “Povtsian Dance” dal “Principe Igor” di Borodin, la sonata per
piano No 3, “Lieberstraum”, di Liszt, “Il Cigno” di Saint-Saens, “Romeo e
Giulietta” di Tchaikowsky, il “Canone in Re Maggiore” di Pachelbel.
[2] Il testo “La mort du jour” è stato scritto alcuni anni fa
per una specifica circostanza in cui è stato rappresentato, lo stesso autore lo
ha tradotto in italiano proponendolo quale inedito ai soci di BM&L e ai
visitatori del sito.