IL RUOLO DELL’IPPOCAMPO NEL RICORDO RECENTE E REMOTO

 

 

Nella formazione della memoria di breve termine e nell’apprendimento, l’ippocampo ha un ruolo fondamentale ben descritto da un modello morfo-funzionale che lo colloca al termine di una sequenza di processi[1]: l’elaborazione unimodale e multimodale proveniente dalla corteccia frontale, temporale e parietale, giunge alle aree peririnali e paraippocampali che convergono sulla corteccia entorinale, dalla quale l’informazione passa alla regione ippocampica (giro dentato, CA3, CA1 e subiculum). A queste stazioni, che costituiscono il sistema della memoria del lobo temporale mediale, si devono aggiungere le estese connessioni della corteccia entorinale[2].

E’ indubitabile che l’ippocampo sia essenziale per il mantenimento delle memorie acquisite di recente, e sembra altrettanto certo che nel tempo venga sostituito in questo ruolo da altre regioni dell’encefalo, come è risultato evidente in numerosissimi studi, dai quali si evince una sorta di passaggio di competenze necessario a molti tipi di memoria di lungo termine. Tuttavia, questo schematismo è stato messo in discussione da risultati sperimentali che sembrano deporre a favore di un intervento meno rilevante ma non secondario dell’ippocampo nell’immagazzinamento dei ricordi destinati a durare e permanere. Per questo motivo, vari gruppi di ricerca sono impegnati nel far luce sulla dinamica temporale del ruolo dell’ippocampo, e due recenti lavori hanno ottenuto risultati interessanti nell’esaminare il diverso contributo di questa formazione nel tempo.

Nella realtà clinica sappiamo che le lesioni ippocampali compromettono la rievocazione secondo una modalità tempo-dipendente: quanto più è recente un ricordo tanto maggiore è la probabilità che sia reso inaccessibile dalla lesione[3], e le memorie formatesi più di dieci anni prima sembrano rimanere intatte (amnesia anterograda)[4].

Smith e Squire del Dipartimento di Psichiatria dell’Università della California a San Diego, hanno studiato mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI) il cervello di persone non affette da alcun disturbo, durante la rievocazione di ricordi recenti e remoti  (Smith C. N. & Squire L. R. Medial temporal lobe activity during retrieval of semantic memory is related to the age of memory. Journal of Neuroscience 29, 930-938, 2009).

I ricercatori hanno raccolto e interpretato immagini del cervello di soggetti volontari sani mentre questi rispondevano a 160 domande circa eventi riportati da giornali e notiziari nel corso degli ultimi 30 anni. Coerentemente con quanto in passato è stato desunto dallo studio anatomo-clinico delle lesioni, nei soggetti sani si aveva una graduale riduzione dell’attività in varie aree del lobo temporale mediale, incluso l’ippocampo, man mano che il tempo intercorso fra l’epoca dell’evento e l’intervista aumentava, per domande relativa ad eventi degli ultimi 12 anni. Durante il richiamo di ricordi, per notizie risalenti a periodi più lontani, fino a 30 anni prima, il livello di attività rimaneva costante. Lo schema funzionale opposto poteva osservarsi nei lobi frontali, parietali e temporali, coerentemente con l’ipotesi che vuole queste regioni implicate nel mantenimento delle memorie più remote.

In conclusione, gli aspetti salienti dei reperti fMRI sostengono la tesi del ruolo limitato nel tempo del sistema di memoria del lobo temporale mediale, in particolare per la memoria semantica[5].

Alcuni studi su animali hanno indicato che anche la precisione della memoria, ossia il grado di accuratezza dei ricordi, dipende dal tempo trascorso. Nei protocolli per l’induzione della paura condizionata, la precisione della memoria può essere valutata confrontando l’abilità dei roditori di distinguere, nel tempo, fra un contesto appreso ed altri contesti. Dopo la fase di training, questa abilità sembra decrescere col tempo e, perciò, è stato proposto che l’ippocampo sia importante per un ricordo preciso di elementi e circostanze.

Frankland e colleghi del Program in Neurosciences and Mental Health, Hospital for Sick Children, Toronto (Canada), hanno sottoposto a verifica sperimentale questa affermazione usando un protocollo sperimentale modificato di discriminazione della paura legata al contesto, in grado di generare precise memorie di lungo termine  (Wang S. H., et al. The precision of remote context memories does not require the hippocampus. Nature Neuroscience 12 (3), 253-255, 2009).

I topi erano addestrati ad associare un contesto (A) con un lieve shock in grado di incutere paura, ed un secondo contesto (B) -molto simile al primo- con l’assenza di shock. Durante gli esperimenti di valutazione (testing), i roditori continuavano a mostrare reazioni di paura (freezing) più protratte nel tornare al contesto A che al contesto B, fino a 49 giorni dopo l’addestramento.

Producendo una lesione dell’ippocampo un solo giorno dopo la fine dell’addestramento, i ricercatori hanno rilevato l’abolizione della capacità dei topi di distinguere fra i due contesti. Quando la lesione è stata prodotta al 42° giorno, l’abilità discriminativa acquisita non è apparsa disturbata. Questo risultato indica che, almeno per quanto riguarda i topi, il recupero di memorie precise e distanti nel tempo non richiede l’intervento dei sistemi neuronici dell’ippocampo.

Allora i ricercatori hanno sottoposto ad ulteriori e interessanti verifiche, gli animali con lesione praticata al 42° giorno. In particolare, hanno ripetuto gli esperimenti di valutazione in condizioni che li esponevano a scenari più complicati, ed hanno confrontato le loro prestazioni con quelle dei topi di controllo. Ebbene, a differenza dei topi sani, quelli con lesione tardiva dell’ippocampo, dopo ripetute prove, tendevano a perdere l’abilità di distinguere il contesto A da quello B. Un tale risultato porta a concludere che questa memoria è meno stabile senza l’apporto dei neuroni ippocampali; in altri termini, l’ippocampo avrebbe un ruolo nella stabilizzazione della memoria di lungo termine.

Sarebbe stato interessante verificare l’importanza dell’apporto dell’ippocampo alla stabilità con lesioni nelle varie fasi, ad esempio accertando se una lesione prodotta in fase più tardiva conserva una maggiore stabilità, o se l’intervento dell’ippocampo si limita ad ottimizzare la prestazione rievocativa nel breve termine, prestazione che, logorandosi in sua assenza, può simulare un intervento sulla stabilità[6].

Presi insieme, i due studi indicano che l’ippocampo non sembra richiesto per il mantenimento di precise memorie formatesi in tempi remoti[7], confermando i risultati ottenuti in precedenza, ma le evidenze emerse nel secondo studio suggeriscono che l’ippocampo possa avere un ruolo nel mantenimento della stabilità della prestazione se non della memoria.

 

L’autrice della nota ringrazia Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, con il quale ha discusso l’interpretazione dei risultati, e la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Marzo 2009

www.brainmindlife.org

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Per questo modello classico dell’insegnamento neuropsicologico e neurofisiologico si veda alle pp. 485-497 di Tulving Endel e Craik Fergus I. M., The Oxford Handbook of Memory. Oxford University Press, New York 2000.    

[2] Non sembra superfluo precisare che lo schematismo del modello fornisce una rappresentazione modale che non rende l’idea della complessità neurobiologica reale, che si può facilmente intuire se si tiene conto, ad esempio, che tutte le connessioni menzionate sono reciproche.

[3] Nella terminologia di uso corrente si parla di immagazzinamento (storage) e recupero (retrievial), tuttavia è bene aver presente che il processo fisiologico che riporta in uso una memoria è più propriamente accostabile ad una nuova esecuzione o ad una ricostruzione, e ciò è particolarmente evidente nel caso della memoria dichiarativa di tipo episodico.

[4] Il caso più celebre, la cui citazione è d’obbligo, è quello di H. M., paziente della Milner che continuò a non riconoscerla per oltre 30 anni. Qualche anno fa è stata fatta un rivalutazione neuropsicologica a distanza e un bilancio di tutti gli studi condotti su questo paziente: il materiale prodotto è stato oggetto di uno studio seminariale da parte dei soci di BM&L-Italia.

[5] Per una classificazione dei tipi di memoria, con i rispettivi correlati neurali, si veda la scheda introduttiva de LA MEMORIA E IL SONNO nella sezione AGGIORNAMENTI.

[6] In linea teorica, si tende spesso ad attribuire la stabilità al consolidamento, ma non è escluso che dipenda, almeno in parte, dalla forza delle sinapsi implicate nella rievocazione.

[7] Fatti i debiti rapporti di proporzione fra uomo e topo.