Come gli interneuroni corticali trovano la propria sede
Per almeno due motivi lo studio dell’anatomia del sistema
nervoso è tornato di grande attualità nelle neuroscienze: 1) Il costante
accrescersi delle conoscenze sui rapporti fra localizzazione e funzione e 2) le
scoperte sul ruolo dei morfogeni nell’organizzazione spazio-temporale del
sistema nervoso durante lo sviluppo e nella definizione della
compartimentazione funzionale. Oggi ci si rende conto sempre di più
dell’importanza di un quadro morfologico generale per la comprensione del
valore funzionale anche dei più piccoli circuiti. Ma, se le sezioni più
semplici del sistema nervoso dei mammiferi sono ormai da tempo conosciute con
precisione altre, come la corteccia cerebrale, rappresentano una vera e propria
sfida per la ricerca presente e futura. La complessità cito-architettonica e
funzionale di questa struttura segue diversi principi organizzativi, in gran
parte ancora da scoprire. L’ingenuità localizzatrice del secolo scorso
immaginava la corteccia come un insieme di aree corrispondenti a macro-funzioni
senso-motorie o addirittura a concetti con i quali la cultura aveva
rappresentato l’esperienza psichica: la personalità avrebbe avuto sede nella
corteccia dei lobi frontali, perché come il caso del celeberrimo Gage avrebbe
dimostrato, la loro disconnessione traumatica ne produceva la perdita.
Quell’epoca riconosceva tre aree per la visione, rigorosamente localizzate
nella corteccia del lobo occipitale, presso la scissura calcarina (aree 17, 18
e 19) a fronte delle 32, distribuite nei vari lobi, oggi note.
Attualmente sappiamo che nel cervello (diencefalo e
telencefalo) i criteri organizzativi dei livelli inferiori (midollo spinale,
tronco encefalico) sono conservati, ma a questi si sono sovrapposti numerosi
altri paradigmi nel corso dell’evoluzione, costituendo un complicato “progetto
naturale”. La maggiore difficoltà nella comprensione della fisiologia è data
dal fatto che molti sottoinsiemi funzionali possono comporsi di volta in volta
in maniera diversa, dando luogo a delle “macchine virtuali” che esistono solo
quando sono attive. D’altra parte, componenti macroscopiche più statiche come il sistema limbico,
il sistema neocorticale o il sistema ponto-cerebellare, che
interagiscono nel produrre le funzioni psico-senso-motorie, sono governate da
regimi diversi, per motivi filogenetici. Pertanto, se le singole parti
non si studiano bene separatamente, in quanto non corrispondono ciascuna ad una
funzione, l’insieme non si presta ad essere semplificato secondo un solo
criterio ordinatore. Questo è il motivo per cui oggi si fa ricorso alla teoria
matematica della complessità, la quale consente di studiare sistemi
costituiti da parti disomogenee regolate da principi diversi.
Un modo per dedurre regole di organizzazione nella corteccia
cerebrale è l’inferenza teorica fondata sui dati sperimentali, come nella
migliore tradizione neuropsicologica e nel lavoro di scuole come quella di
Patricia Goldman-Rakic, recentemente scomparsa. Un altro modo è lo studio
embriologico.
Comprendere i meccanismi che portano un neuroblasto a
migrare, stabilirsi in un abbozzo di strato della corteccia e differenziarsi contribuendo
alla maturazione della struttura, può essere di grande aiuto per trovare un
filo di Arianna in questo labirinto di cellule.
La corteccia cerebrale
primitiva o pallio è inizialmente costituita da tre strati (ependimale,
mantellare e marginale) e viene abitualmente distinta in due regioni: 1) il
paleopallio, sito lateralmente al corpo striato in formazione e 2) il neopallio
situato superiormente allo striato. Il paleopallio appare alla settima
settimana di sviluppo ed è formato da una conglomerazione di cellule che
migrano dallo strato striato del mantello verso quello marginale. Poco dopo la
costituzione del paleopallio inizia la migrazione di cellule verso lo strato
mantellare. Si succedono varie fasi migratorie che, insieme con la
differenziazione locale, determinano lo sviluppo del neopallio. I neuroni
inibitori della neocorteccia originano in zone proliferative subcorticali
chiamate “eminenze gangliari” (in analogia con la definizione di gangli
basali data dagli antichi embriologi ai nuclei della base, vedi la
voce nella rubrica “Alfabeta”), da qui proliferano in una sorta di corrente
tangenziale.
A questo punto si assiste all’arrivo dei progenitori dei
neuroni inibitori nel proprio strato di appartenenza con matematica precisione,
secondo meccanismi ancora in gran parte ignoti. Se la loro destinazione
anatomica e funzionale fosse già determinata prima della partenza o fosse
guidata da segnali presenti negli strati della corteccia in formazione, è stato
a lungo oggetto di dibattito (Marin O. &
Rubenstein J. L., A long remarkable jorney: tangential migration in the
telencephalon. Nature Review Neuroscience 2, 780-790,
2001; Nadarajah B. & Parnavelas J. G., Modes of neural migration in the
developing cerebral cortex. Nature Review
Neuroscience 3, 423-432, 2002). Recentemente è stato accertatato che l’area ventricolare
della corteccia è una fonte di segnali per gli interneuroni (Nadarajah B. et al., Ventricle directed migration in the
developing cerebral cortex. Nature Neuroscience 5, 218-228, 2002), ma due nuovi studi ci forniscono interessanti dati per
comprendere un processo che comincia ad apparire nella sua affascinante
complessità.
Il primo lavoro (Valcanis
H. & Tan S. S., Layer specification of transplanted interneurons in
developing mouse neocortex. Journal of Neuroscience 23, 5113-5122, 2003) mostra che nella neocorteccia del topo gli interneuroni
occupano gli strati seguendo rigorosamente una successione dall’interno all’esterno,
rispecchiando esattamente la disposizione dei neuroni di proiezione i cui
pirenofori sono posti nelle strutture subcorticali. Apparentemente la loro
destinazione finale è definita all’inizio del loro viaggio, ma non ci sono
evidenze perché questo si possa ritenere un criterio assoluto. Per esempio,
quando gli autori hanno trapiantato progenitori di interneuroni appena nati in
un cervello più maturo, queste cellule tendevano ad assumere una posizione più
superficiale rispetto a quella normale. Inoltre hanno osservato che le cellule
progenitrici che si dividevano all’interno della corteccia tendevano di più ad
acquisire la specializzazione relativa allo strato in cui erano state poste, di
quanto non facessero le cellule progenitrici in fase post-mitotica. Tutto ciò
suggerisce che le cellule acquisiscano informazioni circa la posizione da
assumere, dall’ ambiente immediatamente circostante nelle fasi finali della
divisione mitotica.
Nel secondo studio gli autori identificano un segnale (Stumm R. K. et al. CXCR4 regulates interneuron migration
in the developing neocortex, Journal of Neuroscience 23, 5123-5130, 2003)
che sembra in grado di guidare alcuni interneuroni alla loro meta fisiologica.
In particolare si è scoperto che gli interneuroni originati più tardi e per
questo destinati a colonizzare lo strato più esterno della corteccia, esprimono
due recettori, il CXC chemokine receptor 4 (CXCR4) ed il recettore per lo stromal
cell-derived factor-1 (SDF-1). Il fattore SDF-1 è espresso proprio nello strato più esterno della corteccia
in formazione, le cui cellule attraggono gli interneuroni che esprimono il
recettore CXCR4.
Questi risultati indicano che la localizzazione è in parte
predeterminata ma, almeno per un subset di interneuroni, sembra che la
posizione venga definita da specifiche segnalazioni locali. Questo potrebbe
indicare una differenza di ruolo fra interneuroni collocati secondo un rigido
piano geneticamente predefinito e interneuroni collocati a seguito di attività
dello strato durante lo sviluppo o, viceversa, la presenza di due diversi
meccanismi con lo stesso scopo, selezionati per un semplice vantaggio evolutivo.
BM&L-Settembre 2003