L’INTERFERENZA RNA PER LE MALATTIE DA PRIONI

 

 

Le malattie da prioni colpiscono l’uomo e gli animali e consistono in processi neurodegenerativi ad esito fatale per i quali, nonostante i progressi compiuti nella conoscenza della patogenesi, non esistono ancora trattamenti efficaci. Rappresentano una categoria sui generis in patologia, perché si presentano come malattie sporadiche, genetiche o infettive. Precedentemente descritte come encefalopatie spongiformi subacute, malattie da virus lenti e demenze trasmissibili, includono lo scrapie della pecora, l’encefalopatia spongiforme bovina (BSE) e le forme umane, ossia la malattia di Creutzfeldt-Jacob (CJD e la variante vCJD), la malattia di Gertsmann-Sträussler-Scheinker, l’insonnia familiare fatale (FFI) e il kuru.

La propagazione dei prioni implica la conversione della proteina prionica endogena cellulare (PrPc) nel suo isomero conformazionale (PrPsc) che si accumula nei processi patologici. Di recente è stato accertato che l’abbattimento dei livelli di PrPc è efficace nel ridurre il danno potenziale nelle infezioni da prioni degli animali di laboratorio, perciò si è auspicato lo sviluppo di strategie terapeutiche basate su questa evidenza. La riduzione della lesività neuronica è stata dimostrata mediante esperimenti in vitro, oppure con ceppi di topi transgenici, ossia condizioni che non possono essere riprodotte nella realtà clinica, per questo il compito di sviluppare modalità terapeutiche da sottoporre al vaglio sperimentale per un futuro impiego in medicina, si è rivelato alquanto arduo.

Sembra che White e collaboratori del Department of Neurodegenerative Disease, Medical Research Council, Prion Unit Institute of Neurology, University College of London, abbiano trovato una modalità adatta alla sperimentazione umana, dimostrando che l’interferenza RNA (RNAi) accresce la sopravvivenza e riduce la disfunzione neuronica in topi infettati con prioni (White M. D. et al., Single treatment with RNAi against prion protein rescues early neuronal dysfunction and prolongs survival in mice with prion disease. Proc. Natl Acad. Sci. USA 105, 10238-10243, 2008).

E’ noto che in anni recenti il potenziale terapeutico della RNAi ha attratto l’attenzione di numerosi ricercatori ed è stato oggetto di un elevato numero di studi che solo raramente, però, hanno dato risultati all’altezza delle aspettative. Gli esiti di questa sperimentazione sembrano molto incoraggianti.

E’ stato impiegato un modello murino in cui topi che iper-esprimevano PrPc sono stati inoculati con prioni adattati al topo. Otto settimane dopo l’infezione prionica è stato iniettato in entrambi gli ippocampi dei roditori un lentivirus esprimente shRNA (short-hairpin RNA) diretto alla PrPc per RNAi. Nei controlli è stato iniettato un vettore lentivirale “vuoto” oppure non è stato effettuato alcun trattamento.

Durante le settimane successive, gli animali sono stati studiati da un punto di vista neuropatologico e comportamentale. La valutazione della memoria per il riconoscimento di oggetti e dell’azione di scavare nei topi trattati e di controllo, ha evidenziato che la RNAi svolgeva una azione protettiva dell’integrità funzionale dell’ippocampo. Sebbene i roditori trattati con shRNA alla fine soccombevano alla malattia, il knockdown di PrPc nell’ippocampo prolungava la sopravvivenza in maniera significativa: del 19% rispetto al gruppo che aveva ricevuto un lentivirus “vuoto” e del 24% rispetto al gruppo degli animali non trattati. I reperti dell’esame del tessuto nervoso cerebrale di questi topi, nella fase in cui hanno cominciato a mostrare i primi sintomi della malattia, si sono rivelati molto interessanti: virtualmente mancavano, infatti, i due contrassegni del danno ippocampale, ossia la spongiosi e la morte cellulare; al contrario, nei roditori dei due gruppi di controllo si rilevava una grave degenerazione spongiforme e la marcata presenza di perdita di neuroni.

I risultati degli esperimenti condotti da White e colleghi, indicano che il trattamento focale di RNAi mediante lentivirus può avere un notevole effetto terapeutico sui modelli murini della malattie da prioni; i ricercatori suggeriscono, inoltre, che questi effetti potrebbero essere notevolmente accresciuti da strategie che consentano al virus di diffondersi più estesamente nel sistema nervoso.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Floriani per la correzione della bozza.

 

Diane Richmond

BM&L-Settembre 2008

www.brainmindlife.org

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]