INTERVISTA
a Rafael A. Cappuccio
ingegnere del Massachusetts Institute of Technology (MIT)
Robot,
scacchi, intelligenza indossabile al MIT, GRID ed altre tecnologie
_______________________
Monica Lanfredini (ML): Sono tornati di attualità i robot, ma che macchina
è un robot?
Rafael
Antonio Cappuccio (RAC): Non è altro che una macchina capace di azioni
intelligenti risultanti da un ragionamento che ricalca quello umano.
ML: Ha
ancora senso oggi parlare di automi?
RAC:
Non ha senso parlare di automi, perché oggi si cerca di sviluppare robot con
un’architettura reattiva, ovvero si parla di robot reattivi.
ML: Cosa
sono i robot reattivi?
RAC:
Chiamiamo “robot reattivo” quello che può dare una risposta ad uno stimolo
esterno. Ad esempio un robot che modifichi la propria rotta ogni volta che
rileva un ostacolo.
ML:
Interessante, così attraverso le reazioni si può creare un comportamento. Mi
chiedo se è possibile fare interagire dei robot in una qualche forma collettiva
organizzata.
RAC: Si,
è possibile dotare di organizzazione collettiva dei robot. Questo è stato fatto
nel 1986 da Rodney Brooks che sviluppò un robot capace di azioni intelligenti
risultanti da processi che ricalcavano il ragionamento umano. E anche da Rémy
Chauvin e Georges Gallais-Hamonno che svilupparono una struttura per il lavoro
collettivo dei robot: un gruppo di robot autonomi che interagivano secondo
regole microeconomiche e i cui conflitti erano gestiti da una Costituzione.
ML:
Straordinario! Pochi sanno di questi esperimenti. Ma, parlando di quegli
aspetti dell’intelligenza che affascinano noi “non addetti ai lavori”, è vero
che si deve ad Alan Turing, che creò il primo computer, anche la prima macchina
in grado di giocare a scacchi?
RAC:
Si, è vero. La prima macchina dotata del primo software capace di giocare a
scacchi fu sviluppata da Alan Turing nell’anno 1946. La macchina era un
computer utilizzato dagli inglesi durante la seconda guerra mondiale.
ML: Come
funzionava il computer che ha sfidato il campione di scacchi Kasparov?
RAC:
Il computer Deep Blue che ha sfidato Kasparov giocava impiegando 480 processori
specifici per gli scacchi, ciascuno dei quali era in grado di esaminare circa
due milioni di posizioni al secondo. Veniva utilizzato il metodo seriale,
ovvero la ricerca della possibile linea di gioco usando la forza bruta di
calcolo.
ML:
Impressionante. Ma come pensano i computers che giocano oggi? Ancora in
questo modo?
RAC:
Oggi i computers pensano usando un metodo particolare, stile rompicapo. Sono
macchine adatte a questo tipo di ragionamento, in quanto il loro hardware è
progettato appositamente.
ML: So
che al MIT si studia la “tecnologia indossabile”, di che si tratta?
RAC: La
tecnologia indossabile non è altro che dotare gli accessori che abitualmente
indossiamo di microcomputers, schermi video e microfoni. Gli accessori possono
essere orologi, occhiali, vestiti e scarpe.
ML: I
robot come quelli della Celera Genomics svolgono compiti standardizzati, sono
come una sofisticazione di APE, il robot che era capace di andare a prendere il
caffè ma non era in grado di distinguerlo dalla cioccolata; abilità limitate
che richiedono l’intervento umano per essere gestite. Al contrario, la
tecnologia indossabile dovrebbe essere un potenziamento diretto delle nostre
abilità, è vero?
RAC: Si.
La tecnologia indossabile farà parte del nostro modo di vivere nei prossimi
anni. Non solo ci aiuterà a fare in modo che molte delle cose che ci sembrano
difficili ci sembreranno semplici e chiare, ma molti degli strumenti saranno
realizzati in maniera che non ci accorgeremo di usarli. Le potenzialità sono
molteplici, dalla comunicazione fra due persone alle applicazioni in medicina.
La cosa più importante è quella di calare questa tecnologia nelle abitudini
quotidiane delle persone, cioè gli ausili intelligenti indossabili, al pari di
orologi, occhiali e libri tascabili, dovranno essere considerati parte
integrante del nostro modo di vivere. Se si riuscirà a dotare questi strumenti
di consapevolezza delle situazioni, l’utilizzo di questa tecnologia potrebbe
potenziare notevolmente la nostra intelligenza pratica.
ML:
Passando dal micro al macro, si parla molto di GRID come di una
nuova frontiera dei sistemi intelligenti, cosa ne pensa?
RAC:
L’infrastruttura GRID non è altro che una rete di computers collegati in modo
da sfruttare le capacità che ci offrono i calcolatori, per esempio le capacità
di calcolo, la gestione delle banche-dati, lo storage e il software. La GRID si
può paragonare al WORLD WIDE WEB ma, al posto dei siti internet, ha i computers
che comunicano direttamente fra loro offrendo un servizio unico per le
richieste di elaborazione. Per il momento GRID è in stato embrionale: mancano
gli standards da rispettare per fare in modo che un qualsiasi computer possa
comunicare con un altro mettendo a disposizione dell’utente le risorse hardware
e software richieste. Le potenzialità di quest’architettura sono molte, dalle
applicazioni scientifiche a quelle commerciali. GRID permetterà di fare
l’elaborazione remota, il calcolo distribuito e l’analisi di dati.
ML: Come
si affrontano i problemi per realizzare la GRID?
RAC: Al
momento, oltre a lavorare sugli standards, si sta lavorando su un software che
sia in grado di gestire i computers collegati tramite GRID.
ML: Si legge nelle news di computer in grado di auto-ripararsi, sono macchine
speciali? E che cos’e’ il ROC?
RAC: Non sono macchine
speciali ma del software applicativo o sistema operativo che ha come scopo
aiutare l’utente finale ad individuare il problema sul sistema o sull’applicazione
prima che il computer o l’applicazione vadano in errore. Da questa idea e’ nato
ROC (Recovery Oriented Computing): sono principi e programmi che individuano
rapidamente i problemi e sono in grado di risolverli prima che il tutto si
blocchi.
ML: Come si distingue
un errore da un guasto? Da cosa derivano i guasti e gli errori?
RAC:
Sia
i guasti che gli errori possono essere di natura hardware o software. Di solito
i guasti hardware vengono risolti
facendo una ripartenza del sistema in generale, mentre gli errori software si possono risolvere chiudendo e
facendo ripartire l’applicazione o il programma in errore. Gran parte degli errori che si presentano
attualmente sono causati da errori umani
giacché viene privilegiata l’idea di sviluppare dei sistemi che siano
molto performanti, a scapito della risoluzione dei problemi o della maggiore
affidabilità.
ML: Cosa sono i programmi
“benchmark”?
RAC:
Sono
dei programmi o applicazioni che hanno lo scopo di valutare la velocità con cui
un sistema (computer, applicazione web, etc.) si può ripristinare a fronte di
un errore. Questo può aiutare l’industria in generale a sviluppare dei sistemi
non solo più veloci ma anche molto affidabili.
Il benchmarking ti garantisce che ci sia uno standard industriale sui
computer, per cui un computer può essere giudicato per la sua velocità di
elaborazione, per la sua affidabilità e per la sua capacità di essere
aggiornato.
ML: Quali sono le differenze
fra grandi computers e PC o laptops?
RAC:
La
differenza fondamentale tra grandi computers, detti main-frame, e i PC o
laptops, è data non solo dal numero di utenti che riescono a gestire
contemporaneamente, ma anche da come sono risolti i problemi all’interno del
sistema. Oltre alla velocità di
elaborazione dei dati.
ML: Con il nostro PC anche noi
non addetti ai lavori in caso di blocco o misfunzionamento facciamo il
cosiddetto reboot, si può fare qualcosa di simile con i grandi servers?
RAC: Certamente. Sui grandi sistemi ci sono più componenti hardware e software che fanno un
monitoraggio continuo di tutto il sistema e sono in grado di inviare della
messaggistica avvisando l’operatore del computer che un problema è in procinto
di presentarsi. Per questo i grandi servers sono più affidabili dei PC o
laptops. Non solo, come ho sottolineato prima, questa tecnologia richiede
costosi componenti hardware e software per cui al momento facciamo prima a fare
reboot del PC. Costerebbe troppo un PC con una tecnologia del genere. Per ultimo, nei grandi servers di solito i
componenti vitali del computer vengono replicati, per esempio, si troveranno
due “power supply” (fonte di energia elettrica): nel caso una di queste
fallisse, automaticamente riparte l’altra.
ML: Qual è, in conclusione, lo stato dell’arte per
i sistemi che si auto-correggono?
RAC: Al momento lo stato è di
sperimentazione, più che altro su delle
applicazioni software come web o e-mail.
Lo scopo non è auto-correggere l’errore, ma minimizzare il fermo del
sistema a pochi componenti da far ripartire senza che l’utente finale se ne
accorga o al limite vengano coinvolti il minor numero di utenti finali. Il disservizio deve essere di pochi secondi.
L’errore, se applicativo, può essere
corretto in un secondo momento,
l’importante è che ogni volta che si presenta una situazione laddove una
o due delle componenti dell’applicazione non funziona, sia possibile far
ripartire solo quella o quelle due componenti senza far ripartire tutta
l’applicazione, su cui sicuramente ci sono molti utenti al lavoro.
ML: Ingegner Cappuccio, la ringrazio anche a nome di Brain Mind & Life per il tempo che ci ha dedicato e le cose interessanti che abbiamo appreso da lei.
BM&L-Ottobre
2003
________________________________________________________________________________
Si fa espresso divieto di copiare o riprodurre anche solo
in parte la presente intervista senza specifica autorizzazione. Ogni impiego o
diffusione del testo per scopi scientifici o culturali dovrà essere fatto nella
sua integralità con la riproduzione di questa nota. La presente intervista è
proprietà della Società Nazionale di Neuroscienze Brain Mind & Life-Italia,
con sede alla via Enrico Petrella 34R, 50144 Firenze, registrata presso
l’Ufficio “Firenze 1” dell’Agenzia Unica delle Entrate, con codice fiscale
94098840484.