INFLUENZA SENSITIVA SU
SCHEMI COGNITIVI
Una rarissima forma di neuropatia sensitiva
che determina la completa perdita del senso del tatto e della propriocezione,
detta deafferentazione aptica, ha consentito di studiare l’importanza dell’integrità
di queste abilità percettive per la formazione di alcuni giudizi cognitivi, con
risultati veramente interessanti.
Nella specie umana la sensibilità tattile
fine, la propriocezione cosciente e la pallestesia del tronco e degli arti,
sono possibili grazie alla via spino-bulbo-talamo-corticale che, originata dai neuroni
dei gangli dorsali, costituisce nei cordoni posteriori del midollo spinale il fascicolo
gracile di Goll e il fascicolo cuneato di Burdach, i quali terminano
negli omonimi nuclei del bulbo. Dai nuclei bulbari si dipartono le fibre che,
incrociandosi sulla linea mediana, (decussazione) formano il lemnisco mediale,
i cui assoni giungono al nucleo ventro-postero-laterale del talamo che proietta
alle aree somestesiche della corteccia del giro post-centrale. Questa via, insieme
con il lemnisco trigeminale, forma un sistema funzionale cui si è attribuita
una notevole importanza nella costituzione dei patterns cerebrali alla
base dello schema corporeo. In particolare, le elaborazioni corticali derivanti
dalla propriocezione formerebbero un paradigma interpretativo automatico delle
configurazioni di gesti ed azioni proprie e di altre persone. L’imitazione
mimica più riuscita si basa proprio sull’inferenza automatica -guidata dalla
vista o dal ricordo- di schemi di postura e di moto della persona presa a
modello.
E’ noto che la vista può guidare la selezione
della giusta inferenza conoscitiva. Ad esempio, guardando una bottiglia mentre
conversiamo durante un pranzo, ne assumiamo le informazioni relative al peso che
ci consentiranno di prenderla calibrando lo sforzo appropriato. E’ tipico il
gesto che sembra uno strappo quando si solleva una bottiglia vuota reputandola
piena, come accade con alcune tipi di bottiglie di champagne, la cui
scarsa trasparenza può ingannare la vista.
Ordinariamente ciascuno di noi, guardando
altre persone compiere delle azioni, è in grado di estrarne varie informazioni
relative al soggetto, quali le intenzioni, le finalità, le aspettative, oltre
che informazioni relative agli oggetti impiegati. Si ritiene che simili inferenze
richiedano un’elaborazione delle informazioni visive sulla base dei patterns
cui si accennava più sopra, derivanti in gran parte dalle mappe somatotopiche:
un processo convenzionalmente noto come re-mapping.
Bosbach e i suoi collaboratori hanno deciso di
mettere alla prova l’importanza attribuita alla sensibilità periferica nella
costruzione delle rappresentazioni interne che costituirebbero il paradigma per
il re-mapping che ci consente l’interpretazione di base delle azioni
altrui, confrontando le prestazioni di due pazienti affetti dalla rarissima deafferentazione
aptica selettiva con soggetti di controllo normodotati (Inferring another’s expectations from action: the role of
peripheral sensation. Nature Neuroscience 8, 1295-1297, 2005).
I ricercatori hanno mostrato ai due pazienti e
ai soggetti di controllo un video in cui si vedeva una persona sollevare una
scatola il cui peso variava di volta in volta, ed hanno chiesto loro di provare
ad indovinare il peso della scatola. Le prestazioni dei due affetti dalla
neuropatia non sono state inferiori a quelle del gruppo di controllo,
dimostrando che la deafferentazione aptica non compromette la loro capacità di
dedurre il peso della scatola dalle immagini delle azioni compiute da altri.
Allora i ricercatori hanno direttamente
chiesto ai partecipanti alla ricerca cosa pensassero dell’attore che nel video
alzava la scatola: le sue deduzioni circa il peso erano corrette o scorrette?
La risposta è stata tutt’altro che prevedibile. Infatti, i due pazienti privi
di sensibilità propriocettiva hanno dato risultati di gran lunga inferiori a
quelli dei soggetti normali, dimostrando di non riuscire ad attribuire all’attore
valutazioni coerenti con le azioni che aveva compiuto, da cui pareva che essi
stessi avessero ricavato le risposte giuste.
Allora i ricercatori, per cercare di comprendere
meglio la natura del problema interpretativo, hanno chiesto ad uno dei pazienti
di prendere il posto dell’attore e sollevare la scatola per valutare i diversi
pesi che le venivano imposti, videoregistrando le sue prestazioni. Quando il
video è stato mostrato al paziente stesso ed al gruppo di controllo, sia l’uno
che gli altri hanno avuto cattive prestazioni nel giudicare le inferenze circa
il peso della scatola da parte del protagonista del video.
Cosa è successo?
Ecco l’interpretazione fornita da Bosbach e
collaboratori. Analizzando accuratamente il comportamento del paziente durante
le prove videoregistrate, hanno rilevato la mancanza di elementi-segnale che
vengono automaticamente desunti come indicatori delle aspettative per un peso
basso o elevato. Questi elementi sono verosimilmente prodotti dagli schemi
interni basati sulle afferenze periferiche e costituirebbero i segni di un “linguaggio
del corpo” decodificato inconsciamente dagli osservatori. In tal modo si
spiegherebbe la cattiva prestazione interpretativa da parte dei normodotati, ma
anche quella del paziente stesso. Se si accetta che questa decodifica avvenga
sulla base di un paradigma, ovvero una sorta di codice basato sul re-mapping,
allora si può facilmente dedurre che gli affetti da deafferentazione aptica,
mancando di questo codice, non sono in grado né di generare gli
elementi-segnale né di interpretarli negli altri.