Indagine Doxa: la malattia mentale in Italia

 

 

MENS, un progetto nato dalla collaborazione fra società scientifiche ed associazioni dei familiari di malati psichici, ha incaricato la DOXA di effettuare un sondaggio sulle conoscenze e le opinioni degli Italiani riguardo le malattie mentali e i servizi psichiatrici. Una delle prossime indagini in programma sarà volta alla valutazione dei servizi psichiatrici su tutto il territorio nazionale.

I risultati dei questionari sulle conoscenze sono sconfortanti: ancora un numero molto elevato di persone confonde lo psichiatra con il neurologo, molti non considerano malattie la crisi di panico e le nevrosi ossessiva, fobica, isterica e d’angoscia. Le psicosi come la schizofrenia sono frequentemente riconosciute dagli intervistati, ma spesso manca in loro la distinzione fra disturbi maggiori o psicosi con deliri, allucinazioni, regressione e perdita di collegamento con la realtà, e disturbi minori o nevrosi che sono condizioni di sofferenza psichica che non si accompagna a disorganizzazione della personalità e che tutti possono sperimentare in alcuni periodi della propria vita.

La depressione viene spesso riconosciuta come malattia, ma ritenuta un’unica entità nosologica, spesso confondendo semplici stati transitori di basso tono dell’umore con sindromi depressive reattive o, addirittura, con la psicosi depressiva. Errore, peraltro, reiterato da anni in trasmissioni televisive che per alcuni sono l’unica fonte dalla quale assumere nozioni su questi argomenti. Le nozioni erronee spesso si consolidano nella mente degli spettatori perché fra gli invitati o intervistati c’è sempre almeno uno psichiatra, che viene inconsciamente assunto come garante di quanto si dice. Al contrario la trasmissione riflette, in genere, la cultura del conduttore e degli autori, dai quali l’esperto è chiamato a svolgere una parte strumentale al “copione” previsto, rispondendo a domande orientate. Spesso in buona fede, s’intende, perché si tratta di conduttori ed autori televisivi veramente ignoranti.

Circa le opinioni si può rilevare, ad esempio, che il 77,4% del campione ritiene che la guarigione si ottenga con una terapia combinata di farmaci e colloqui.

Anche domande come questa riflettono la subcultura dei mass-media che ci ha abituato alla confusione fra opinione e scienza, così bene distinte da Platone e in tutte le forme della ragione dall’epoca classica ai giorni nostri. Che senso ha chiedere all’uomo della strada come si curano le malattie psichiatriche? Come se si trattasse di un argomento di libera opinione e non un sapere tecnico-specialistico. Implicitamente suggerendo, inoltre, che esiste un solo modo per tutte. D’altra parte questa impostazione sembra ignorare che la cura della malattie psichiche costituisce l’oggetto di migliaia di progetti di ricerca condotti nell’ambito di discipline scientifico-sperimentali, quali la Farmacoterapia,  o cliniche, quali la Psichiatria e la Psicologia clinica. Porre un simile quesito equivale a chiedere alla gente per strada se contro le infezioni batteriche ritiene che si debbano impiegare gli antibiotici o gli immunosoppressori, oppure se per le valvole cardiache artificiali va bene il teflon oppure il dacron.

Più interessanti le domande circa la valutazione dei servizi psichiatrici, perché in questo caso si trattava di esprimere giudizi e valutazioni a partire da dati di comune esperienza, come la presenza o meno di un servizio, la sua efficienza per numero di richieste che è in grado di evadere, la presenza di un dato specialista e così via. Il giudizio è negativo nel 51,5% del totale, con una percentuale molto più alta nelle regioni meridionali. Si segnala la scarsa copertura territoriale e la pressoché inesistente presa in carico di molte patologie. Sebbene il presidente della Società Italiana di Psichiatria Carmine Munizza attribuisca parte di questa valutazione al fatto che i servizi siano “volutamente invisibili per evitare la stigmatizzazione dei pazienti”, è nota da tempo la carenza di centri, di operatori e di ore lavorate “sul territorio”. D’altra parte non possiamo dimenticare che un grosso problema rimasto irrisolto, anche perché mai seriamente affrontato dall’attuazione della Legge 180 del maggio 1978 che sanciva la chiusura dei manicomi, è rappresentato dal fatto che molte forme di disagio e disturbo mentale richiedono un’assistenza che non si presta ad essere organizzata come un semplice ambulatorio per visite mediche o, nei rari casi in cui è presente sul territorio, confinata in una “struttura intermedia”. L’ideale sarebbe che lo psichiatra che ha profonda conoscenza personale del paziente, fosse all’occorrenza il coordinatore di un intervento articolato nella maniera più opportuna, disponendo di ogni soluzione integrativa, alternativa o di supporto al suo intervento ambulatoriale ogni qualvolta se ne presenti la necessità.

 

BM&L-Agosto 2003